La società civile, una difesa per l’individuo
Martedì sette novembre abbiamo presentato, nel contesto delle serate dedicate ai classici del pensiero liberale e libertario, il “Saggio sulla storia della società civile” di Adam Ferguson. Erano con noi Daniele Francesconi, direttore del Festival di Filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo, Paolo Luca Bernardini, professore di Storia moderna presso l’Università degli Studi dell’Insubria e Alessia Castagnino, Ricercatore di Storia Moderna presso l’Università di Firenze. Questo libro, che ha avuto uno straordinario successo appena uscito, raggiungendo la ragguardevole cifra di sette edizioni vivente il suo Autore, è un’opera che ha saputo sicuramente interpretare al meglio quelle che erano le tendenze ed il sentire della sua epoca e del suo contesto. Un libro per certi versi ambivalente, sotto molti aspetti anche contraddittorio, ma capace di far emergere alcune tematiche di estremo interesse e che si pone come un’opera in grado di dare forma a concetti non certo nuovi, e tuttavia definiti secondo modalità percepite come estremamente stimolanti dai suoi contemporanei e dai suoi successori. Il concetto stesso di “società civile”, di cui il libro si propone di fare la rassegna storica, è un concetto che, se pur non rappresenta un’invenzione originale di Ferguson, è tuttavia a lui e a quest’opera che deve la sua consacrazione, divenendo un riferimento per le analisi di filosofia politica, sociologia, analisi delle istituzioni. Ferguson sottolinea come la “società civile” non possa omologarsi con il concetto di “Stato”, essendo entità non necessariamente sovrapponibili e confondibili tra loro. Per l’autore scozzese, come pure per il formidabile inquadramento intellettuale che si ritrovò a condividere, il cosiddetto “Scottish Enlightenment”, l’organizzazione statuale è ammessa, ma ne vengono fortemente ristretti il campo, l’ambito, le possibilità. Viceversa, la società civile ha contenuti, implicanze, domini che dovrebbero rimanere autonomi e fuori da ingerenze. Lo Stato, allora, non deve entrare all’interno per cercare di controllarla e la società ha proprie pertinenze nel vivere associato, consentendo quindi agli individui di porre tra sé stessi e il sistema innaturale eretto in difesa dei propri diritti una sorta di ulteriore difesa. La “civil society” fergusoniana è una totalità dove si riflettono i fenomeni sociali e politici, ma dove manca lo Stato (a differenza di quello che avverrà per Hegel). Ferguson pensava ad elementi ben precisi quando rifletteva intorno alla società civile, ossia a quel grande, indissolubile insieme di aspetti pertinenti alla civiltà, al mercato, agli usi, ai costumi, alle maniere, alle forme di governo, agli stessi declini, ai momenti di apogeo, di corruzione. In una parola, centrale quanto condivisa, l’evoluzione. I passaggi, mediante direzioni di senso complesse, di stati di organismi intrecciati o distinti, che possono essere lette come un processo per fasi o momenti. Ferguson ebbe, nei confronti della progressiva preponderanza dei commerci, un atteggiamento differente rispetto al suo coetaneo ed omonimo Adam Smith, nutrendo verso la direzione, la forza e il senso che stava prendendo la Scozia una profonda diffidenza quando non un’aperta ostilità. Ciò che si stava producendo nel tessuto sociale, politico ed economico aveva necessità di essere disciplinato in quanto rischioso, facile alle grandi fortune come alle precipitose cadute e sicuramente fomite di corruzione e lacerazioni. Di fronte a questo mondo in rapido mutamento, che Ferguson vede scorrere dinanzi a sè con timore e fastidio, la risposta è l’intento moralizzatore, l’ancoraggio ad un’etica della consuetudine e della conservazione. Questo timore e questo fastidio si accompagnano allo sconcerto che un pensatore nel solco del realismo machiavellico come Ferguson, un filorepubblicano amante delle tradizioni delle sue terre deve necessariamente provare dopo gli avvenimenti che portano la Scozia all’Unione con la Corona Inglese dal 1707.