Il liberalismo conseguente : Gustave de Molinari
Lunedì 22 gennaio abbiamo presentato, in occasione delle serate dedicate ai classici del pensiero liberale e libertario, “La società del futuro” di Gustave de Molinari. Erano con noi Carlo Lottieri, professore di Filosofia del diritto presso l’Università di Verona, Nicola Iannello, giornalista e Fellow dell’Istituto Bruno Leoni e Alessandro Giuliano, traduttore del libro. L’autore, di cui abbiamo in un’altra occasione presentato le “Serate di rue Saint-Lazare” (alla cui lettura rinnoviamo l’invito, anche per la comprensione degli scritti raccolti nel volume illustrato in questa occasione), è, giova ricordarlo, un’importante figura di economista che, nella sua lunga vita, si battè durante tutto il XIX secolo e all’inizio del XX per il libero mercato, la libertà degli scambi, l’antischiavismo, l’anticolonialismo ed opponendosi ad ogni forma di protezionismo, di interventismo statale in economia e di nazionalismo. Molinari ebbe una fase iniziale della sua riflessione politico-economica in cui contesta con dovizia di dettagli ed argomentazioni serrate i monopoli dello Stato nei settori della giustizia, della sicurezza, della protezione. Questa contestazione non rimane fine a se stessa, ma si completa con una proposta alternativa rappresentata da quello che, a suo parere, può essere il gestore più efficiente dei servizi sopraindicati, ossia il libero mercato. Molinari propose per primo, peraltro, di affidare la gestione di questi importantissimi settori della vita pubblica comune all’iniziativa privata, al libero gioco del mercato, alla concorrenza ed alle forze migliorative che ne venivano sia dalla loro sottrazione all’inefficienza pubblica, tale in quanto monopolistica, sia, va sottolineato, dalla superiorità morale data dalla libertà, che, attraverso le dinamiche imprenditoriali e di scelta, consentiva a questi servizi, entro questa nuova, rivoluzionaria cornice, di assumere un valore incomparabilmente superiore. Lo fece, come si ricordava, per primo ed è per questo che viene ritenuto – ed è stato indicato da molti, su tutti Murray Newton Rothbard – come l’antesignano dell’anarco capitalismo, cioè di quell’indirizzo di politica economica che affranca ogni servizio ed ogni ambito dal controllo o dall’ingerenza dello Stato e lo consegna al libero mercato ed ai suoi attori. A ben voler vedere, de Molinari, in queste riflessioni, va persino oltre la prospettiva liberoscambista e l’orizzonte del liberalismo classico, che ancora lasciavano moltissimi campi di intervento all’esclusivo ed indiscusso ambito dello Stato e, fra questi, sicuramente, la giustizia e la sicurezza (con questo termine si intenda la salvaguardia personale della incolumità e della sicurezza dei beni e delle proprietà dei membri della società). Molinari, insomma, oltrepassa persino le colonne d’Ercole rappresentate dalla prospettiva indiscussa dello Stato o del governo “guardiani notturni” all’interno della società e si pone esplicitamente su un piano toto coelo differente, contestando alcuni pilastri fondamentali che fino ad allora avevano retto il vivere civile associato. Questo passo è compiuto all’interno di uno degli scritti contenuti nel volume che abbiamo presentato, uno scritto del 1849 intitolato “La produzione della sicurezza”, ma è presente, inoltre, anche nelle stesse “Serate di rue Saint-Lazare”, scritte nello stesso periodo. Arrivando a teorizzare un punto di vista che potremmo, senza tema di smentita, definire come radicale, de Molinari si rivolge sicuramente verso i cantori delle prerogative assolute dello Stato, cantori che, in quegli anni e nei decenni a seguire, avrebbero ingrossato le loro fila -socialisti, comunisti, marxisti, nazionalisti, centralisti di tutti i partiti e di tutte le fedi – fino ad assumere, nel XX secolo, caratteristiche ed incarnazioni che avrebbero portato alle Guerre mondiali. Tuttavia, è oltremodo possibile rintracciare nelle speculazioni di de Molinari sopra precisate anche una polemica nemmeno troppo larvata nei confronti dei compagni di viaggio liberali classici, ossia verso coloro che meglio avrebbero dovuto comprendere il valore e l’importanza del mercato veramente libero, della concorrenza, dell’iniziativa privata. Ed infatti, la posizione radicalmente estremista in merito tenuta dall’economista belga non mancò di creare sconcerto e contrasto ai suoi sodali del gruppo del “Journal des Economistes” di Parigi, tanto che perfino il suo amico personale e compagno intellettuale di molte battaglie combattute in nome degli ideali di una società economica incentrata sul libero mercato, vale a dire Frédéric Bastiat, espresse a chiare lettere in una famosa riunione di redazione il suo completo dissenso da opinioni tanto categoriche. Di fatto, alla lettura dei contributi presentati, contributi che comprendono, tradotta per la prima volta in italiano, anche “La società del futuro”, un saggio del 1899, ciò che emerge primariamente è la limpida consapevolezza che, una volta che vengono accettati a livello pratico e teorico i benefici, la correttezza etica e la validità per gli attori coinvolti ottenuti dal libero mercato, non è possibile non essere conseguenti ed estendere questi benefici a tutte le branche del vivere associato. Quindi, la prospettiva di Gustave de Molinari, è quella di un liberale classico conseguente, quella, dunque, di un pensatore che prende sul serio (per usare un’espressione usata in altri ambiti) le proprie posizioni di partenza, traendone le inevitabili conclusioni. E se il saggio del 1899 sembra proporre, a distanza di cinquant’anni dalle visioni più radicali del 1849, un parziale ritorno ad una prospettiva liberale classica, sono comunque presenti al suo interno accenni e riprese di notevole valore a quella serie di intuizioni che lo avevano contraddistinto agli albori della sua carriera e per le quali ha rivestito un ruolo pionieristico nella scienza economica.