Un’analisi lucida dei sistemi socialisti all’ingresso del XX secolo

Un’analisi lucida dei sistemi socialisti all’ingresso del XX secolo

Lunedì 18 dicembre, nell’ambito delle serate dedicate ai classici del pensiero liberale e libertario, abbiamo presentato “I sistemi socialisti” , di Vilfredo Pareto. Erano con noi Pier Paolo Portinaro, professore di Filosofia politica presso l’Università degli Studi di Torino, Mario Pomini, professore di Economia politica presso l’Università degli Studi di Padova e Monika Poettinger, professore di Economia presso Polimoda di Firenze. Vilfredo Pareto è una personalità di grande rilievo internazionale, nato in Francia da una famiglia genovese in esilio e capace di animare il dibattito culturale e politico dell’italia della seconda metà del XIX secolo come di evidenziare una parabola intellettuale di notevole interesse, che lo pone tra le figure più interessanti e, per molti versi, originali anche dell’inizio del XX secolo. Il ritorno in Italia fin dalla più giovane età, con la famiglia che si integra tra la Liguria e il Piemonte, consentono al giovane Vilfredo una formazione scientifica, in special modo ingegneristica. E’ tuttavia a Firenze, ed in particolare nel salotto dei Peruzzi, che Pareto conoscerà molti amici delle battaglie liberiste a favore del commercio senza vincoli e contro il protezionismo economico. In questo clima, si ritrovò ad animare la “Società Adamo Smith”, un cenacolo di liberisti che si ispiravano al padre dell’economia. Un altro incontro decisivo fu quello che Pareto ebbe con Maffeo Pantaleoni, sia per le conseguenze ideali che per lo sviluppo di un interesse estremamente sentito per l’economia. Pantaleoni sarà il tramite che consentirà a Pareto di conoscere Leon Walras e, dopo poco tempo, di prendere la sua cattedra a Losanna. Nel clima estremamente stimolante dell’accademia svizzera, Pareto porterà a compimento quella metodologia che lo caratterizzerà, ossia l’intersezione di istanze economiche, di una profonda riflessione intorno alla filosofia politica e di una spiccata attenzione per l’impronta sociologica nell’interpretazione. In quest’ottica vanno proprio letti i Corsi universitari preparatori, prima, e la successiva pubblicazione (1902-1903) dei due volumi de “I Sistemi socialisti”. In questa trattazione, Pareto svolge un iniziale “prologo in cielo”, trattando dei principi generali della organizzazione sociale, per poi passare all’analisi pluriprospettica delle visioni socialiste e comuniste. L’excursus che ne viene presentato è estremamente profondo e notevolmente stratificato, evidenziando la formidabile erudizione dell’Autore, ma anche una prospettiva che non si limita ad un esame superficiale, dimostrando di aver ben compreso come queste idee rappresentassero un reale pericolo per le società liberali. La parte conclusiva della trattazione si occupa del cosiddetto “socialismo scientifico”, ossia le formulazioni di Fourier e Proudhon, in special modo, ma anche,e soprattutto, di Marx. L’affresco che ne emerge è quello di una relazione precisa, che non dimentica le congiunzioni con la prassi, con i motivi religiosi, con le teorie, con le diverse metafisiche che popolano l’ideale. All’inizio del XX secolo, uno studioso che sta vivendo un particolare momento di riflessione e che, di fronte alle innegabili difficoltà dei sistemi democratico-liberali da lui sempre sostenuti, si interroga sulla strada da prendere, anche alla luce dei sorgenti movimenti partitici di massa, ebbene, un intellettuale come Pareto si appunta con dovizia e con profondità proprio su quelle incarnazioni, reali e teoriche, del socialismo che sembravano prendere sempre più il favore sia degli intellettuali che di gruppi molto numerosi della popolazione. Comprendere il punto di vista di uno studioso che prova a riflettere sui suoi tempi prendendo coordinate interpretative quanto più possibili pregnanti è una delle lezioni che ci lascia Vilfredo Pareto. E vedere come il successivo sviluppo delle sue posizioni sia tanto debitore a questa vasta analisi (dalle idee sulle élites fino all’avvicinamento a posizioni di eco nazionalista, dal completamento del trattato di sociologia generale alle riflessioni intorno alla democrazia) dovrebbe indurre anche il lettore contemporaneo ad affrontarne la lettura, nella consapevolezza che ogni età si ritrova a dover affrontare il risorgere o il rispresentarsi di varie forme di socialismo. La figura di Vilfredo Pareto e la lettura che della sua complessa vicenda non ci rivelano un liberale a tutto tondo, fermo sulle posizioni per tutta una vita. Esse, piuttosto, ci mostrano un giovane liberale classico, un liberista anti protezionista oltre che oppositore della politica colonialista, come pure un elitista, con forti dubbi sulla tenuta democratica e che, forse, solo la morte tutelò da una compromissione più disdicevole con il regime fascista. Ma Pareto va valutato al di là delle letture preconfezionate e va letto come il testimone di un’epoca ben precisa, un’epoca anche di crisi, e di cui, tuttavia, seppe anche essere un interprete. read more

Per una critica a Marx e al marxismo

Per una critica a Marx e al marxismo

Lunedì 11 dicembre 2023 abbiamo presentato il libro “L’anti-Marx. Anatomia di un fallimento annunciato”. Erano con noi Giancristiano Desiderio, autore del libro, Marco Menon, borsista presso l’Università della Svizzera italiana e Leonardo Trabalza, coordinatore FGV dell’Istituto Liberale. L’opera, come recitano titolo e sottotitolo, è chiaramente ed esplicitamente una critica profonda ed argomentata al contributo intellettuale di Karl Marx. Una figura apparentemente rimossa, ma non adeguatamente criticata, e questo non solo in Italia, dove ha dominato l’intero secondo dopoguerra, ma anche in Europa. Il libro sostiene che questo non può che accadere, proprio alla luce del tipo di ideologia rappresentato sia dalla dottrina marxista che dalla sua natura di per sé totalitaria. Il marxismo è di per sé pervasivo, soffocante, anti-liberale, anti-umano. Ha ovunque fallito, eppure continua a ricevere credito. E’ pieno di contraddizioni e tuttavia viene ritenuto ancora oggi un punto di vista imprescindibile di cui tenere conto, nonostante esso abbia mostrato i suoi limiti inoppugnabilmente e si sia dimostrato non solo superato, ma perfino insensato ed infondato. read more

La riflessione intorno al conoscere come chiave interpretativa di Friedrich A. von Hayek

La riflessione intorno al conoscere come chiave interpretativa di Friedrich A. von Hayek

Lunedì 4 dicembre abbiamo presentato, in occasione delle serate dedicate ai classici del pensiero liberale e libertario, “Conoscenza e processo sociale”, di Friedrich August von Hayek. Erano con noi Lorenzo Infantino, professore emerito di Filosofia delle Scienze sociali presso la LUISS Guido Carli di Roma, Salvatore Carrubba, giornalista e Alessandro De Nicola, presidente di “The Adam Smith Society”. Il problema della conoscenza, ossia l’interrogarsi intorno alle modalità con le quali l’uomo conosce, i limiti di questa sfera e gli ambiti di essa, sono stati fra le prime preoccupazioni dello studioso Hayek, che, nel corso della sua lunga parabola intellettuale, ha affrontato fin dai primi momenti queste tematiche, avvertendo la necessità di una risoluzione metodologica iniziale intorno a questi aspetti fin da giovanissimo. Il grande intellettuale viennese è stato, infatti, un formidabile economista, un filosofo della politica, un teorico del diritto, uno storico delle idee, ma è stato anche un metodologo e uno studioso a tutto tondo delle scienze umane, fra le quali la psicologia teorica, che ha rivestito uno dei suoi primi interessi. Si può dire senza esagerare che fu l’incontro con gli scritti di Carl Menger, fondatore della Scuola Austriaca di Economia, e la conoscenza personale con Ludwig von Mises, di cui frequentò il famoso Privatseminar (o seminario ristretto) a distoglierlo da quelle che erano le sue iniziali propensioni verso la scienza sperimentale. La botanica e la psicologia sperimentale, infatti, avevano, a vario titolo, occupato il campo delle sue inclinazioni più remote. La stessa Scuola Austriaca di Economia, nelle formulazioni e nelle opere di Menger, Bohm-Bawerk, Wieser e Mises, non era certo esente da riflessioni intorno alla metodologia (si ricordi il Methodensreit, ma non solo), come pure non era certo ostile ad ogni forma di discussione intorno agli statuti, agli iter conoscitivi, ai confini disciplinari. Questo libro, raccolto e meritoriamente curato dal professor Infantino, è un’antologia ragionata e ordinata di queste istanze gnoseologiche, tratte da opere dedicate, per esempio “L’ordine sensoriale”, ma anche gli “Studi”, i “Nuovi Studi”, come pure da opere inedite in traduzione italiana e da “Diritto, Legislazione e libertà”. Esso si completa con il testo della commemorazione redatta dal medesimo curatore della nascita di Adam Smith, commemorazione datata cinque giugno 2023, che ha alcune importanti afferenze con le posizioni gnoseologiche hayekiane, sia per la grande ammirazione nutrita da Hayek per Smith sia per la frequente comunanza di impostazioni a proposito delle problematiche in questione. read more

Holodomor, un genocidio comunista

Holodomor, un genocidio comunista

Lunedì 20 novembre abbiamo presentato, in occasione delle serate dedicate ai classici della riflessione intorno alla libertà, una ricostruzione storica di grande valore e di immenso interesse, vale a dire il libro di Robert Conquest “Raccolto di dolore. Collettivizzazione sovietica e carestia terroristica”. Erano con noi, Federico Argentieri, professore di Scienze politiche presso la John Cabot University, Marco Clementi, professore di Storia delle relazioni internazionali presso l’Università della Calabria e Dario Fertilio, giornalista e scrittore. Questo libro è stato l’artefice principale del disvelamento di una delle pagine più tragiche e spaventose della storia del XX secolo, ossia la rivelazione del genocidio perpetrato scientemente da Stalin e dagli apparati del Partito Comunista sovietico (PCUS) ai danni di uomini, donne, vecchi e bambini del territorio ucraino (anche se non solo) negli anni che culminano con il biennio 1932-1933. La principale responsabilità di milioni di morti, di devastazioni, deportazioni e di una carestia pianificata a tavolino è da ascriversi, senza alcuna ombra di dubbio, all’allora capo supremo dell’Unione Sovietica Iosif Stalin, come pure a tutta la struttura del Partito Comunista che a lui obbediva ciecamente. Per fornire un brutale dato, al fine di far comprendere anche solo lontanamente ciò di cui si sta parlando : l’Holodomor , il nome con cui si caratterizza un periodo dove l’oppressore comunista sovietico intese affamare mediante carestia un territorio ritenuto avverso alle direttive della politica economica pianificata, ha generato più morti di quanti ne siano stati numerati durante tutta la Prima Guerra mondiale, presso tutti i combattenti ed i civili coinvolti ! La determinazione precisa delle vittime non è, di fatto, ancora possibile a livello definitivo, ma quello che è certo è che ci fu un genocidio in un ben preciso momento, che esso fu pensato in maniera sistematica, che di esso sono irrefutabilmente responsabili alcuni ben precisi individui ed un ben preciso sistema ideologico-politico, e che questo sterminio interessò un’area ben precisa (l’Ucraina e molte altre terre cosacche a est, anche di altre nazionalità) oltre ad essere orientato sia verso la classe contadina che verso la nazione ucraina. Gli avvenimenti, come detto, si compirono novant’anni fa, mentre il libro fu scritto circa cinquant’anni dopo, contribuendo a squarciare un velo di silenzi e connivenze che interessarono, e per certi versi interessano ancora, anche l’Occidente. Sono due le fasi degli avvenimenti, fasi della cui minuziosa ricostruzione si occupa l’opera : una prima fase, indicativamente occupante il triennio 1929-1932, dove l’attacco contro i contadini assunse le caratteristiche della soppressione e della deportazione di milioni di individui per raggiungere l’obiettivo della collettivizzazione, ossia dell’abolizione della proprietà privata e della concentrazione dei contadini sopravvissuti in aziende agricole controllate dal partito comunista. Nella seconda fase, che rappresenta il vero e proprio fuoco del libro, il periodo considerato sono i due anni 1932-1933 ed in essi vengono presi in esame gli atti di carestia indotta, di affamamento forzato, di quote impossibili da sostenere, di requisizione dei generi alimentari, di isolamento provocato rispetto al resto del mondo, di attacchi alla cultura, all’identità e alle chiese in tutto un vastissimo territorio che andava dall’Ucraina al Kuban, dalle regioni del Don fino a quelle del Volga, dalle nazioni che solo tre anni prima contavano su quaranta milioni di abitanti e che, al termine di tutto, si trasformò in un gulag a cielo aperto. Quello che avvenne fu difficilmente descrivibile : si giunse a frequenti episodi di cannibalismo ed effettivamente si può legittimamente dire che questo libro parla di uomini e donne condannate a morire di fame, di inedia, di stenti e delle peggiori privazioni a causa dell’odio provato nei loro confronti per il fatto di essere contadini, proprietari, di diversa etnia ed ostacolo sulla strada di una politica economica. Questo conflitto ha sempre agitato questo lato dell’Europa orientale e oggi lo vediamo riproposto in forme che, sebbene non identiche, ne ripercorrono le strutture. Come pure, sebbene con caratteristiche proprie e modulate sui contesti precedenti, detto conflitto era stato visibile fin dai primordi della Rivoluzione Bolscevica, assumendo i toni del contrasto tra la Russia, il suo imperialismo egemone, e le altre nazionalità della galassia ex sovietica, con le loro storie, le loro lingue, le loro identità. A ben voler vedere, questa dialettica prosegue dai tempi dell’Impero zarista ed ha assunto varie connotazioni, configurandosi, tuttavia, come lo scontro tra un centralismo soverchiatore di tipo dittatoriale, marchiato con i colori insanguinati dell’ideologia, e le istanze insopprimibili delle singole nazionalità. Sarebbe di grande valore se, dalla lettura di questo libro, si sapesse cogliere, fra le altre, la lezione di libertà e autonomia che vanno sempre lasciate a tutte le entità che le desiderano. read more

Il tesoro di Putin in Occidente

Il tesoro di Putin in Occidente

“Il Tesoro di Putin”, edito da Laterza, rappresenta l’ultima inchiesta dei giornalisti Jacopo Iacoboni e Gianluca Paolucci, successiva a “Oligarchi. Come gli amici di Putin stanno comprando l’Italia” (2021). In questo nuovo volume, attraverso l’analisi di documenti dettagliati, testi istituzionali europei, rapporti di sicurezza e inchieste, i due autori svelano una realtà apparentemente inaccessibile, gettando luce sulle intricate connessioni tra il patrimonio e gli interessi politici e finanziari di Vladimir Putin e le reti personali e commerciali di individui fedeli a lui. L’indagine si sviluppa in una mappa dettagliata che si estende da Mosca a tutta l’Europa, narrando una controstoria parallela al conflitto in Ucraina. Con lo scoppio del conflitto, ha infatti preso avvio una nuova fase: la caccia agli asset degli oligarchi.
Il volume esplora oscuri intrecci societari, prestanome e influenti studi legali internazionali, noti come “enablers” o facilitatori occidentali della corruzione del Cremlino, che cercano di evitare il congelamento e il sequestro dei beni dei russi, e racconta di come stiano cambiando le dinamiche del potere russo in risposta alle sanzioni imposte a seguito della guerra in Ucraina.
Quello che gli autori ci offrono è un resoconto della Russia post invasione, dipinta come una prigione a cielo aperto: si sono verificati oltre 20.000 arresti di cittadini russi per motivi politici, molti dei quali legati alla protesta contro la guerra, la nuova legge che punisce chi critica le forze armate russe ha portato a oltre 5.000 fascicoli di indagine e le sanzioni internazionali hanno inciso pesantemente sul patrimonio di Putin e dei suoi oligarchi, con conseguenze significative sul valore dei loro asset e sulle loro società offshore in Europa e nei Caraibi; nel testo si stima una perdita di 330 milioni di dollari al giorno.
Tra i vari personaggi vicini a Putin di cui parla il volume, un nome spicca sopra gli altri: Roman Abramovich, indicato come il principale oligarca di Putin. Si esplorano le storie legate al suo patrimonio distribuito in Europa, dalle case in Francia agli yacht in Sardegna, evidenziando la sua connessione con Putin e la sua funzione di mediatore informale nella prima tornata di trattative con l’Ucraina in Turchia. Il testo racconta quindi come Abramovich, e come lui tutti gli altri oligarchi russi, stiano cercando, nonostante le difficoltà, di proteggere i loro interessi e patrimoni. L’ex patron del Chelsea, in particolare, ha apportato modifiche alla struttura societaria di dieci trust tra Cipro e Jersey, trasferendo almeno quattro miliardi di dollari di beni ai suoi sette figli.
Particolarmente rilevante, all’interno dell’inchiesta è il racconto dell’esistenza di un preoccupante rapporto tra gli uomini di Putin e l’Italia. Un esempio emblematico è la storia del funzionario dell’ambasciata russa, Oleg Kostyukov, che ha contattato emissari di un partito – lasciamo ai lettori indovinare quale – che appoggiava l’allora Governo Draghi per indurre la compagine a dimettersi. Ciò rappresenta un’ingerenza allarmante, ma anche un punto di partenza per comprendere l’infiltrazione russa e le operazioni di ingerenza nel nostro Paese.
La figura di Oleg Kostyukov non è certamente di poco conto, essendo il figlio di Igor Kostyukov, già sanzionato per il coinvolgimento nell’avvelenamento di Sergey Skripal a Salisbury, prima capo della stazione italiana dei servizi segreti militari russi (Gru) a Roma, poi in cima alla piramide del Gru. Il tutto a dimostrazione del fatto che lo Zar tenga particolarmente alle relazioni col nostro Paese, non mandando “gente qualunque”.
Il ruolo della Chiesa ortodossa russa in Italia emerge come un altro aspetto rilevante. Iacoboni e Paolucci individuano tre oligarchi ortodossi chiave, raccontandone il legame con il nostro Paese: Vladimir Yakunin, ex generale del KGB; Konstantin Goloshchapov, ex massaggiatore di Putin; e Konstantin Malofeev. Non viene risparmiato neanche il patriarca Kirill, di cui si raccontano non solo le ricche proprietà ma anche i bonifici (di cui sono riportati gli importi precisi) che arrivano alla chiesa ortodossa in Italia, soldi sporchi di sangue legati all’assassinio in un carcere russo di Sergey Magnitsky.
“Il Tesoro di Putin” si pone come una lettura indispensabile per chiunque voglia comprendere le complesse relazioni tra Putin, gli oligarchi russi, l’Europa e l’Italia, offrendo una prospettiva chiara e approfondita, che svela una rete intricata che ha implicazioni dirette sulla stabilità geopolitica e sulla sicurezza delle democrazie occidentali. Una testimonianza coraggiosa e incisiva che mette a nudo la realtà dietro le quinte del potere russo e delle sue connessioni internazionali. read more