Lunedì primo settembre abbiamo presentato “Lo Stato degli Ebrei”, di Theodor Herzl. Erano con noi Stefano Parisi, presidente dell’Associazione Sette Ottobre, Daniele Scalise, giornalista e scrittore, Paolo Macry, professore di Storia contemporanea presso l’Università di Napoli Federico II e Roberta Ascarelli, professore di Lingua e Letteratura tedesca presso l’Università di Siena. Quando si deve affrontare un testo come questo, pubblicato dal più noto padre del sionismo nel 1896, un testo dove affonda le proprie radici il progetto effettivo di ritorno ad una Terra Promessa, sia essa in una qualche colonia inglese, principalmente la Palestina, allora Protettorato britannico, o in Argentina, ebbene, quando ci si trova nella necessità di descriverlo, la tentazione più grande è quella di compiere un anacronismo. Vale a dire, leggere il testo, che ha un suo contesto, un suo inquadramento, una sua storia ed un suo preciso background, attraverso le lenti rovesciate della contemporaneità. Per meglio far intendere, al cospetto di opere come queste, dove il richiamo ad una categoria tanto palese quanto “pericolosa” come quella della “attualità” sembra risultare irresistibile, la lettura che se ne desume e la prospettiva entro la quale ci si mette rischia di essere falsata. In un certo qual modo, è come se, per essere espliciti e chiari, un’opera della fine del XIX secolo, composta da un ebreo ungherese di formazione giuridica divenuto brillante giornalista e testimone diretto dell’antisemitismo nella seconda metà dell’Ottocento in Europa, venisse ridotta a mera anticipazione degli avvenimenti che dilaniano il Medio Oriente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ai nostri giorni. Può risultare sicuramente interessante valutare un testo anche – non solo, ma anche – alla luce degli eventi presenti, o. perfino, della più stretta cronaca giornalistica, e non sono certo di poco conto le riflessioni che se ne possono trarre dal confronto e da un’analisi comparata, ma tutto ciò non deve rappresentare il fuoco interpretativo attorno al quale mettere in esame un testo come questo. Qui si vuole, insomma, far intendere come ogni elaborato, ogni composizione, per quanto non possa essa stessa prescindere dalla storia successiva e dalla storia concreta dei suoi effetti, non può e non deve ridursi ad esse, quanto, piuttosto, tenere primariamente conto dell’insieme di coordinate che emergono dal testo stesso, nella sua centralità. Il testo parte da un problema gravissimo e innegabile : l’antisemitismo è ovunque in Europa, dalla Russia alla Francia, passando per la Germania. Sono gli anni, giova ricordarlo, dell’Affaire Dreyfus, ossia di quel complesso intrigo diplomatico militare che vide la condanna, la degradazione e l’umiliazione di un capitano ebreo dell’esercito francese, Alfred Dreyfus, rivelatosi, poi, innocente. Ma quanto emerse da questo scandaloso episodio, e dalle sue implicazioni, fu un odio profondo verso gli ebrei sia nelle alte gerarchie militari che nella società che nella politica francesi. Di questo, Theodor Herzl ebbe modo di compiere resoconti e di rendersi conto, al punto da maturare la convinzione che i progetti di integrazione degli ebrei nelle nazioni europee erano delle pure illusioni. Herzl, sotto questo aspetto, ebbe il merito di porre la questione ebraica, vale a dire il posizionamento dei suoi correligionari nei diversi stati europei, sotto una visione estremamente realistica, in un’ottica lucida e, perfino, spietata, rifiutando ogni sogno di possibile coagulazione senza discriminazione. L’ottimismo post-illuministico e il clima di maggiore integrazione della componente ebraica nelle società europee nel primo cinquantennio dell’Ottocento, al netto di frequenti pogrom nell’Europa Orientale avevano lasciato il posto al risorgere di un antisemitismo diffuso e stratificato, arricchito di ulteriori componenti. In questo panorama, giunse sia “Lo Stato degli Ebrei”, sia l’elaborazione di un programma pratico di insediamento in una vera e propria nazione a parte, sorretto da un ideale, il sionismo, che si prefiggeva il ritorno dopo la diaspora secolare e la fine della condizione di ospiti sgraditi in luoghi stranieri. Questo programma fu veicolato, oltre che da quest’opera, vero e proprio manifesto di una volontà di sopravvivenza, dal Congresso Sionista di Basilea, dove, nel 1897, queste idee furono espresse e dove si procedette ad un confronto, ad una pianificazione organizzativa, alla delineazione di strategie per giungere ad un fine ben preciso, l’affrancamento della popolazione di lingua, religione e ascendenza ebraica presente negli stati europei verso uno Stato che fosse esclusivamente sotto la giurisdizione ebraica. Le alternative alla Palestina non mancarono e lo stesso Herzl propose, più tardi, anche un possibile insediamento in Uganda, anche questo un territorio al tempo possedimento inglese. Ma Herzl si contraddistinse per la risolutezza con cui perseguì l’idea che uno Stato per gli Ebrei fosse necessario se gli Ebrei volevano esistere o semplicemente sopravvivere. Ed Herzl fu capace di trasmettere un’altra idea fondamentale al movimento sionista, ossia che proprio le persecuzioni, l’inasprirsi della discriminazione e l’aumento delle angherie fossero il chiaro segnale di un avvicinamento della vittoria oltre che della necessità di aumentare l’impegno per concretare il risultato finale. Quest’uomo, nonostante la sua morte prematura, a quarantaquattro anni, seppe infiammare masse di ebrei in molti paesi d’Europa, seppe convincere con la ragione e con la passione, ma soprattutto fu tra i principali artefici del ritorno degli Ebrei nella loro Terra Promessa. Herzl non ha mai disgiunto la questione ebraica dalla questione dello Stato Ebraico, della Nazione ebraica. Il successo del suo progetto passa anche dal riconoscimento delle componenti dello stato moderno e contemporaneo, delle sue basi giuridiche e della necessità dei riconoscimenti nei consessi delle Nazioni, necessità che Herzl trasmise come un lascito indissolubile. Le sue ceneri riposano, in un monte che porta il suo nome, a Gerusalemme. In suo onore, gli Ebrei di tutto il mondo celebrano una festa a lui dedicata, l’Herzl Day, avendo ben capito quanto a questo pragmatico e risoluto intellettuale mitteleuropeo essi debbano in termini di autonomia e di indipendenza. read more