Appunti per una società lberalconservatrice

Appunti per una società lberalconservatrice

Con “La rivoluzione del buonsenso”, Giuseppe Valditara — ministro dell’Istruzione e docente di diritto romano — firma un libro che è insieme riflessione politica e progetto culturale. Il suo intento non è polemico, ma ricostruttivo: proporre una visione del Paese che torni a fondarsi su valori di responsabilità, merito, libertà e lavoro. Il “buon senso” evocato dal titolo non è una formula di comodo: è la virtù civile che permette di distinguere l’essenziale dal superfluo, la realtà dall’ideologia, l’interesse generale dal calcolo di parte. read more

Una riforma per la stabilità

Una riforma per la stabilità

In occasione della trecentotrentotrentunsima serata di Lodi Liberale abbiamo presentato il libro “Il premierato non è di destra. Perché cambiando la forma di governo (sempre che lo si faccia bene) si può aggiustare l’Italia”, pubblicato da UTET, insieme all’Autore, Nicola Drago (Fondatore di IoCambio e Vice Presidente De Agostini), Nicolò Zanon (Professore di Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano) e Alessandro Sterpa (Professore di Diritto costituzionale all’Università degli Studi della Tuscia). Nicola Drago affronta con rigore e senza pregiudizi una questione che, in Italia, è diventata più ideologica che razionale: la possibilità di introdurre una forma di governo che garantisca stabilità e responsabilità politica, superando i limiti di un parlamentarismo nato in circostanze storiche eccezionali e mai adattato al tempo presente. read more

Le vie della libertà sono imperscrutabili: il caso di Javier Milei

Le vie della libertà sono imperscrutabili: il caso di Javier Milei

Lunedì 22 settembre, in occasione delle serate dedicate ai classici del pensiero liberale e libertario, abbiamo presentato “L’era di Milei. La nuova frontiera argentina”, di Philipp Bagus. Erano con noi Carlo Lottieri, professore di Filosofia del Diritto all’Università Telematica Pegaso, Bernardo Ferrero, vice direttore di StoriaLibera, Salvatore Tolone Azzariti, Distinguished Professor presso la Woxsen School of Law e Gabriele Marmonti, coordinatore nazionale di “Students for Liberty” Il libro è un ritratto dell’attuale Presidente dell’Argentina, il primo Presidente libertario al mondo, un profilo attento, aggiornato e chiaro che ricostruisce le sue vicende biografiche intrecciandole sia con le sue idee, i “suoi” autori di riferimento, l’andamento delle sue importantissime riforme e la sua importanza sia per il suo Paese che per il mondo. Quest’ultimo aspetto va tenuto in adeguato conto : l’esperienza come Presidente di un grande Paese come l’Argentina di un libertario come Javier Milei ha un significato molto profondo ed impattante anche al di fuori di quelli che sono i confini del paese sudamericano. Se Javier Milei saprà fare bene durante il suo mandato e se lo farà rispettando gli impegni di stampo liberale classico (quando non esplicitamente libertario o, addirittura, anarco-capitalista) presi durante la campagna elettorale di quasi due anni fa, non sarà solo l’Argentina a beneficiarne, ma tutti coloro che si riconoscono in un ideale di riduzione della presenza dello Stato nella vita di ogni individuo, di arretramento del potere del collettivo sopra il singolo, di piena e completa libertà in tutti gli ambiti, donando nuovamente non solo una speranza, ma risultati concreti,un esempio e un fondamentale precedente. Più volte il libro si pone una domanda legittima, ossia la riflessione intorno ad un apparente paradosso, quello per cui un economista libertario, anarco-capitalista e seguace della Scuola Austriaca non solo si sia inserito nell’agone della politica tradizionale (quell’ambito che, per tradizione e convinzione un libertario dovrebbe rifiutare come antitetico), ma abbia puntato al “bersaglio grosso”, per così dire, ossia la Presidenza della Repubblica, la carica apicale argentina. E’ bene partire da qui per provare sia a risolvere quello che è effettivamente un paradosso sia per provare a capire meglio “il caso Milei”. E’ Milei stesso, infatti, che, conscio della problematica, ribalta il tavolo sul quale vengono apparecchiate le categorie politologiche per proporre una strategia che potremmo definire, latu sensu, “gradualista”. Milei si fa attuatore effettivo (cosa assolutamente non scontata) di un programma di rigoroso “stato minimo”, dove la spesa pubblica viene tagliata effettivamente e non solo nelle promesse elettorali, dove la guerra al debito pubblico non è solo un vacuo slogan, ma parte effettiva di un’azione quotidiana, dove tutti i settori della società sono toccati da un fenomeno unico nel suo genere, l’arretramento della sfera di ingerenza dello Stato. Tutto questo ha ricevuto la conferma dalla realtà, dalla forza dei fatti, dalla certezza della concretezza dei provvedimenti, sotto gli occhi di tutti e senza risparmiare nessuno. Si erano già verificati, nella storia politica ed economica, casi in cui Primi Ministri (si pensi a Margaret Thatcher) o Presidenti (si pensi a Ronald Reagan) hanno potuto vincere elezioni con programmi di deregulation, di privatizzazione, di disimpegno della presenza statale dalle sfere più attinenti al privato dei singoli cittadini, ma, ad onor del vero, abbiamo anche assistito, soprattutto con il prosieguo della loro esperienza governativa di gestione della cosa pubblica e delle politiche economiche e di spesa a quella che Milton e Rose Friedman hanno chiamato, con un termine molto pregnante, “la tirannide dello status quo”, ossia quel fenomeno per il quale alle migliori intenzioni e alle migliori politiche si sostituiscono le attenzioni agli interessi consolidati o agli equilibri di potere. In una parola, la conservazione sostituisce brutalmente l’ideale originario. Ebbene, Javier Milei non si è piegato alla “tirannide dello status quo”. Non ancora, perlomeno, ma nulla fa presagire che lo faccia. E la sua indulgenza strategica per una rigorosissima ed inflessibile modalità governativa di uscita dello stato dalla vita dei cittadini è proprio funzionale alla loro <<autonomizzazione>> progressiva cui da sempre vertono i suoi obiettivi e la sua storia. Milei, insomma, ha scelto di percorrere una delle vie possibili per giungere a far sì che l’individuo, il singolo, la persona tornino a riappropriarsi di sé, la via della presa del potere per spogliarsi del potere, per depotenziare le funzioni della macchina statale in favore del ritorno alla dimensione umana dell’esistere. Ed in questo si misura la risoluzione del paradosso cui si faceva riferimento sopra : l’anarco capitalista Milei, il sostenitore di una visione ispirata all’individualismo della Scuola Austriaca di economia e alle sue coordinate metodologiche per sconfiggere lo statalismo imperante, decenni di socialismo mascherato da peronismo e da assistenzialismo nel suo Paese, decide di provare a vincere le elezioni da antisistema sostenitore del rigoroso stato minimo e quello che da intellettuale aveva criticato e provato a confutare, Milei si ritrova a praticarlo consapevolmente in vista di un fine superiore, ossia proprio gli obiettivi di liberazione progressiva degli individui dalle spire collettive che erano sempre stati il suo mantra. Più che un paradosso, ciò che dovrebbe essere sottolineato è, piuttosto, l’ironia di una condizione che può rappresentare una speranza per tutti. read more

Proibire è immorale e antiliberale

Proibire è immorale e antiliberale

Con “L’erba e le sue buone ragioni”, la giornalista Nadia Ferrigo affronta con coraggio e rigore un tema che in Italia resta ostaggio di pregiudizi ideologici e retoriche moralistiche: la liberalizzazione della cannabis. L’autrice non indulge in slogan, ma costruisce un saggio lucido, fondato su dati economici, giuridici e sociali, che si inserisce pienamente nel solco del pensiero liberale: quello che rifiuta il paternalismo dello Stato e difende la libertà e la responsabilità individuale come cardini della convivenza civile. read more

Alle origini del sionismo : Theodor Herzl e lo Stato Ebraico

Alle origini del sionismo : Theodor Herzl e lo Stato Ebraico

Lunedì primo settembre abbiamo presentato “Lo Stato degli Ebrei”, di Theodor Herzl. Erano con noi Stefano Parisi, presidente dell’Associazione Sette Ottobre, Daniele Scalise, giornalista e scrittore, Paolo Macry, professore di Storia contemporanea presso l’Università di Napoli Federico II e Roberta Ascarelli, professore di Lingua e Letteratura tedesca presso l’Università di Siena. Quando si deve affrontare un testo come questo, pubblicato dal più noto padre del sionismo nel 1896, un testo dove affonda le proprie radici il progetto effettivo di ritorno ad una Terra Promessa, sia essa in una qualche colonia inglese, principalmente la Palestina, allora Protettorato britannico, o in Argentina, ebbene, quando ci si trova nella necessità di descriverlo, la tentazione più grande è quella di compiere un anacronismo. Vale a dire, leggere il testo, che ha un suo contesto, un suo inquadramento, una sua storia ed un suo preciso background, attraverso le lenti rovesciate della contemporaneità. Per meglio far intendere, al cospetto di opere come queste, dove il richiamo ad una categoria tanto palese quanto “pericolosa” come quella della “attualità” sembra risultare irresistibile, la lettura che se ne desume e la prospettiva entro la quale ci si mette rischia di essere falsata. In un certo qual modo, è come se, per essere espliciti e chiari, un’opera della fine del XIX secolo, composta da un ebreo ungherese di formazione giuridica divenuto brillante giornalista e testimone diretto dell’antisemitismo nella seconda metà dell’Ottocento in Europa, venisse ridotta a mera anticipazione degli avvenimenti che dilaniano il Medio Oriente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ai nostri giorni. Può risultare sicuramente interessante valutare un testo anche – non solo, ma anche – alla luce degli eventi presenti, o. perfino, della più stretta cronaca giornalistica, e non sono certo di poco conto le riflessioni che se ne possono trarre dal confronto e da un’analisi comparata, ma tutto ciò non deve rappresentare il fuoco interpretativo attorno al quale mettere in esame un testo come questo. Qui si vuole, insomma, far intendere come ogni elaborato, ogni composizione, per quanto non possa essa stessa prescindere dalla storia successiva e dalla storia concreta dei suoi effetti, non può e non deve ridursi ad esse, quanto, piuttosto, tenere primariamente conto dell’insieme di coordinate che emergono dal testo stesso, nella sua centralità. Il testo parte da un problema gravissimo e innegabile : l’antisemitismo è ovunque in Europa, dalla Russia alla Francia, passando per la Germania. Sono gli anni, giova ricordarlo, dell’Affaire Dreyfus, ossia di quel complesso intrigo diplomatico militare che vide la condanna, la degradazione e l’umiliazione di un capitano ebreo dell’esercito francese, Alfred Dreyfus, rivelatosi, poi, innocente. Ma quanto emerse da questo scandaloso episodio, e dalle sue implicazioni, fu un odio profondo verso gli ebrei sia nelle alte gerarchie militari che nella società che nella politica francesi. Di questo, Theodor Herzl ebbe modo di compiere resoconti e di rendersi conto, al punto da maturare la convinzione che i progetti di integrazione degli ebrei nelle nazioni europee erano delle pure illusioni. Herzl, sotto questo aspetto, ebbe il merito di porre la questione ebraica, vale a dire il posizionamento dei suoi correligionari nei diversi stati europei, sotto una visione estremamente realistica, in un’ottica lucida e, perfino, spietata, rifiutando ogni sogno di possibile coagulazione senza discriminazione. L’ottimismo post-illuministico e il clima di maggiore integrazione della componente ebraica nelle società europee nel primo cinquantennio dell’Ottocento, al netto di frequenti pogrom nell’Europa Orientale avevano lasciato il posto al risorgere di un antisemitismo diffuso e stratificato, arricchito di ulteriori componenti. In questo panorama, giunse sia “Lo Stato degli Ebrei”, sia l’elaborazione di un programma pratico di insediamento in una vera e propria nazione a parte, sorretto da un ideale, il sionismo, che si prefiggeva il ritorno dopo la diaspora secolare e la fine della condizione di ospiti sgraditi in luoghi stranieri. Questo programma fu veicolato, oltre che da quest’opera, vero e proprio manifesto di una volontà di sopravvivenza, dal Congresso Sionista di Basilea, dove, nel 1897, queste idee furono espresse e dove si procedette ad un confronto, ad una pianificazione organizzativa, alla delineazione di strategie per giungere ad un fine ben preciso, l’affrancamento della popolazione di lingua, religione e ascendenza ebraica presente negli stati europei verso uno Stato che fosse esclusivamente sotto la giurisdizione ebraica. Le alternative alla Palestina non mancarono e lo stesso Herzl propose, più tardi, anche un possibile insediamento in Uganda, anche questo un territorio al tempo possedimento inglese. Ma Herzl si contraddistinse per la risolutezza con cui perseguì l’idea che uno Stato per gli Ebrei fosse necessario se gli Ebrei volevano esistere o semplicemente sopravvivere. Ed Herzl fu capace di trasmettere un’altra idea fondamentale al movimento sionista, ossia che proprio le persecuzioni, l’inasprirsi della discriminazione e l’aumento delle angherie fossero il chiaro segnale di un avvicinamento della vittoria oltre che della necessità di aumentare l’impegno per concretare il risultato finale. Quest’uomo, nonostante la sua morte prematura, a quarantaquattro anni, seppe infiammare masse di ebrei in molti paesi d’Europa, seppe convincere con la ragione e con la passione, ma soprattutto fu tra i principali artefici del ritorno degli Ebrei nella loro Terra Promessa. Herzl non ha mai disgiunto la questione ebraica dalla questione dello Stato Ebraico, della Nazione ebraica. Il successo del suo progetto passa anche dal riconoscimento delle componenti dello stato moderno e contemporaneo, delle sue basi giuridiche e della necessità dei riconoscimenti nei consessi delle Nazioni, necessità che Herzl trasmise come un lascito indissolubile. Le sue ceneri riposano, in un monte che porta il suo nome, a Gerusalemme. In suo onore, gli Ebrei di tutto il mondo celebrano una festa a lui dedicata, l’Herzl Day, avendo ben capito quanto a questo pragmatico e risoluto intellettuale mitteleuropeo essi debbano in termini di autonomia e di indipendenza. read more