Per una filosofia libera, della scienza e della società

Per una filosofia libera, della scienza e della società

Lunedì 3 febbraio 2025, in occasione delle serate dedicate ai classici del pensiero liberale e libertario, abbiamo presentato “Conoscenza e libertà” di Paul Karl Feyerabend. Erano con noi Matteo Collodel, Research Fellow presso il Vienna Circle Institute, Roberto Festa, già professore di Logica e filosofia della scienza presso l’Università di Trieste, Pietro Adamo, professore di Storia delle Dottrine politiche presso l’Università di Torino e Luca Tambolo, studioso di filosofia e storia della scienza. Il nome di Paul Karl Feyerabend può, legittimamente, non dire molto al vasto pubblico, trattandosi di un epistemologo, seppur molto noto tra gli specialisti del settore, che non ha acquisito, giusto per fare un esempio, la notorietà di Karl Raimund Popper, cui è, peraltro, legato attraverso complesse vicende biografiche e teoriche. La stessa disciplina in cui prevalentemente operò, l’epistemologia, appunto, cioè la riflessione intorno allo sviluppo, al significato e al senso della scienza, è sicuramente un campo i cui sviluppi e le cui questioni interne non sono propriamente di generale dominio. Feyerabend, inoltre, all’interno della ricerca epistemologica, si ritagliò coscientemente e volutamente un ruolo ben preciso di contestatore delle posizioni che lo precedettero e che furono a lui contemporanee, mediante uno status di anticonformismo attraverso cui volle porre la sua riflessione in un’ottica antisistemica. Il principale contributo di Feyerabend alla filosofia intorno alla scienza ed al suo sviluppo è sicuramente rappresentato da quel suo complesso di posizioni che va sotto la dicitura di “anarchismo epistemologico” e che è espresso con chiarezza nella sua opera principale e più conosciuta, “Contro il metodo”, del 1975. Realtà e risultati della scienza ci dimostrano, ad avviso di Feyerabend, esattamente l’opposto rispetto ad un percorso improntato alla necessità di un metodo (una “via da seguire”, etimologicamente intesa) fermo, immobile, vincolante. Realtà  e risultati della scienza (ma anche gli sviluppi iniziali, intermedi e successivi di essa) ci mostrano piuttosto che non ci sono regole, norme, principi e coordinate che non sono state violate. E, cosa ancora più interessante e straniante, che proprio queste violazioni dal corso della metodologia fissa, proprio le deroghe dal percorso prestabilito sono state necessarie per lo sviluppo del progresso scientifico. Inoltre, molti casi (ben più di quelli che vengono ritenuti normalmente possibili) ci hanno dimostrato come sia stato necessario, fecondo e opportuno proprio violare le norme o ignorarle, opporsi ad esse o combattere strenuamente proprio contro il complesso di fondamenti che tutta la società e la comunità scientifica riteneva indiscutibili. ci sono, infine, due aspetti dell’epistemologia anarchica di Feyerabend ancora più spiazzanti e contro intuitivi e che ricevono entrambi, dalla sua analisi storica e dalle sue posizioni ideali, molte conferme. Ci riferiamo alla rivalutazione delle cosiddette “ipotesi ad hoc” , ossia di quelle ipotesi introdotte surrettiziamente per difendere una teoria (rivalutazione che passa attraverso l’evidenza di tale fenomeno in tutte le più importante teorie invalse nella comunità scientifica) ed alla necessità di non legarsi eccessivamente ad un atteggiamento razionalistico di fondo, visto che vi sono state e vi sono sempre circostanze in cui la ragione ed il ragionamento risultano di impaccio verso il progresso. Queste, a grandi linee e senza la pretesa della completezza, le principali posizioni dell’Autore in materia epistemologica. A tal proposito, verrebbe da chiedere, da parte di chi non li avesse già intuiti, le motivazioni che hanno portato ad inserire la figura di Feyerabend, e questa sua raccolta di saggi di ispirazione <<dadaista>>, nel novero degli autori che possono variamente coniugarsi con la difesa della libertà individuale, di scelta, di opinione, di ricerca. Risulta chiaro come l’intera parabola del filosofo viennese sia improntata all’espressione, alla difesa, alla giusta considerazione che deve poter ottenere un pensiero quanto più possibile libero. Leggendo l’intera produzione di Feyerabend, infatti, si ricava con chiarezza questa sua ispirazione di fondo, un basso continuo che può essere definito “anarchico” se con anarchico si intende “quanto più possibile libero e aperto”. Rinchiudere la scienza in un concetto univoco, chiuso e angusto di metodo e applicare ad essa solo una teoria fissa della razionalità rischia non solo di mostrarsi come un tentativo infondato, ma come uno strumento infruttuoso, poggiando su una visione ingenua dell’uomo e del contesto sociale. Aggiungeremo uno spunto di riflessione, che tiene conto proprio della particolare cornice nella quale si trovò ad operare Feyerabend e che sembra emergere con particolare chiarezza dagli scritti presentati : sembra che l’Autore abbia avuto, tra le sue preoccupazioni, oltre a quella di rendere più “libera” la ricerca intorno alla scienza, anche quella di rendere più “libero” il quadro sociale in cui Feyerabend si venne a trovare, visto che ogni tentativo di spiegarlo significava, fatalmente, un atto di restringimento della sua inesauribile ricchezza. Nell’Amleto, Shakespeare fa dire al Principe di Danimarca quello che è divenuto un celeberrimo aforisma : “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne possa sognare la tua filosofia”. Al di là della ricchezza di significati che questa citazione può portare con sé, qui basti richiamare, con le parole di un grande poeta, quanto Feyerabend sembra abbia voluto far intendere intorno ai tentativi troppo angusti di spiegare un movimento tanto stratificato e complesso come quello scientifico, nel caso del pensatore austriaco, con una mente troppo rigida e, quindi, poco aperta.  read more

Davvero il comunismo è un’illusione del passato?

Davvero il comunismo è un’illusione del passato?

Martedì 12 novembre, nell’ambito delle serate dedicate ai classici del pensiero liberale e libertario, abbiamo presentato “Il passato di un’illusione”, di François Furet. Erano con noi Marina Valensise, giornalista e curatrice dell’edizione Silvio Berlusconi Editore presentata durante la serata, Giulio Di Ligio, ricercatore associato all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales (EHESS) di Parigi e Salvatore Carrubba, giornalista. Il testo rappresenta una pietra miliare nel dibattito storiografico intorno al comunismo nel XX secolo e, significativamente, il sottotitolo ci ricorda proprio l’oggetto dell’opera, ossia “L’idea comunista nel XX secolo”. Sia nel dispiegarsi storico, fattuale, oggettivo, sia nelle sue componenti ideali e strategiche, come pure nelle ragioni del suo affermarsi, della sua strabiliante fortuna e della sua sopravvivenza a dispetto, verrebbe facilmente da dire, degli esiti e dei tentativi della storia di mandarlo in soffitta. Anzi, si potrebbe, usando una formula che ci dovrebbe indurre a riflettere anche su altre componenti presenti nella vita di tutti in modo inversamente proporzionale al loro successo, questo libro è un formidabile contributo storico e storiografico, ma è anche un’eccellente promemoria sul fatto che non sempre la storia ammaestra l’umanità, che, talvolta, preferisce credere alle illusioni nonostante i fatti. Il valore di questo libro, di cui andremo più avanti a sintetizzare la struttura, sta anche – non solo, ma anche – nel mostrarci come gli uomini e le donne di questo pianeta spesso, in larga parte e in ogni epoca, preferiscono le loro illusioni al giudizio della storia e come spesso, molto spesso, si cerchi nel passato un rinforzo fondamentale alle proprie utopie per non ricevere dalla realtà la smentita dei propri sogni. En passant, non si ricorderà mai abbastanza come questi sogni si siano concretizzati in traumatici ed orribili incubi, come le nazioni dove il comunismo ha preso il potere nella storia novecentesca presentino un bilancio di dittature, stragi, sopraffazioni, mancanza di ogni libertà. Inevitabilmente, questo libro, uscendo nel 1995 ha scatenato un dibattito intellettuale tempestoso, un dibattito che ha visto schierati contro l’Autore tutti coloro che, per convinzione o per interesse, hanno sempre sostenuto l’illusione dell’idea comunista. Tutti quelli che, nonostante la relativamente recente caduta del Muro di Berlino e dell’ex URSS, della quotidiana rivelazione dei crimini perpetrati in nome del comunismo nell’Europa dell’Est, ma anche in altri paesi gravitanti nell’orbita sovietica, hanno continuato a sostenere un progetto ideale destituito di fondamento ed anti-umano, una compromissione che,a tutti gli effetti, si può definire più propriamente come una correità. Furet, nella sua opera, mostra lucidamente gli spettri che hanno agitato l’Europa nel XX secolo, da quando i venti della Rivoluzione, prima, la Prima Guerra Mondiale e la presa bolscevica del potere in Russia, poi, si sono impadroniti a vario titolo e con vari strumenti fin nelle fibre più intime dell’Occidente. E definisce, in un parallelo non recepito ancora tutt’oggi, la fratellanza sostanziale, più che la parentela, tra il comunismo e gli altri due principali totalitarismi dell’epoca, vale a dire fascismo e nazismo. Fare un’affermazione di questo tipo, ancorché supportata da tutta una serie di dati irrefragabili e da evidenze inoppugnabili, significava sfidare apertamente una vulgata, equivaleva a suscitare l’eterno biasimo della grandissima parte dell’intellettualità che, nelle nostre democrazie, ha potuto sperare nel sovvertimento rivoluzionario. Quest’opera, più che accantonata, va posta all’attenzione, va discussa, va tenuta sempre in considerazione, perchè il rischio del suo oblio è la perdita della memoria di quanto ogni giorno rischiamo in termini di libertà concreta. Sia consentito non addentrarci ulteriormente in una sintesi che rischia, inevitabilmente, di assumere i tratti di un laconico resoconto. Piuttosto, crediamo sia un’opera costruttiva quella di riflettere intorno a due punti, fra i tanti. Il primo ci porta a chiedere, provocatoriamente, ma non troppo, se questa illusione, l’illusione comunista faccia parte del passato. Indubitabilmente, le macerie del bolscevismo, dell’ex Unione Sovietica, la volontà di riscatto da parte dei paesi satelliti, convintamente orientati verso il superamento di una stagione spaventosa e verso forme di democrazie liberali e di libero mercato, ci dimostrano una chiara lezione ed un’esplicita propensione. E tuttavia, ancora oggi, alla metà del terzo decennio del XXI secolo, ci sono Paesi dove ancora il totalitarismo di marca comunista detiene il potere, nelle modalità consuete e nelle tristi riproposizioni di scenari già visti. Come pure, ancora oggi, assistiamo all’adesione entusiastica, sebbene straniante, alla luce di quanto avvenuto nel recente passato, di una gran parte degli intellettuali operanti nei paesi democratici di posizioni che sono una diretta emanazione, teorica e pratica, della visione socialista e comunista del mondo e della vita, economica e sociale. Pertanto, questa illusione non sembra essere mai davvero passata, anzi. La seconda considerazione ci può essere evocata da una risposta più articolata e meglio strutturata che le democrazie e l’idea liberale, apparentemente vincenti nello scenario globale, debbono saper opporre al neo-totalitarismo di questi tempi. I regimi nazionalistici, le autocrazie che reggono nazioni dalle dimensioni immense, le dittature personalistiche, le stesse derive stesse interne nelle medesime democrazie occidentali, devono imporre alla soluzione liberale non tanto il credere di esser stati in grado di coronare la storia, quanto di porsi sempre come guardiani delle libertà ovunque esse siano minacciate. In formule rinnovate e, se necessario, con modulazioni nuove, perchè i pericoli sono e saranno sempre presenti, tanto da sapere che il prezzo da pagare per chi ha a cuore la nostra sopravvivenza è, come recita una famosa citazione, “l’eterna vigilanza”. read more

Come declina un paese

Come declina un paese

“A scuola di declino. La mentalità anticapitalista nei manuali scolastici”, scritto a sei mani da Andrea Atzeni, Luigi Marco Bassani, Carlo Lottieri ed edito da Liberilibri nel 2024, è un pamphlet che documenta e analizza i contenuti di alcuni manuali scolastici utilizzati in diversi istituti italiani, portando alla luce quello che sembra essere un denominatore comune: temi economici, storici e  sociali vengono trattati mettendo sempre sotto accusa e cattiva luce le varie rivoluzioni industriali e i sistemi di libertà economiche e politiche che le hanno accompagnate e succedute. read more

Maffeo Pantaleoni, ricercatore del senso del suo tempo

Maffeo Pantaleoni, ricercatore del senso del suo tempo

Martedì 29 ottobre, in occasione delle serate dedicate ai classici del pensiero liberale e libertario, abbiamo presentato il libro di Maffeo Pantaleoni “Erotemi di economia”. Erano con noi Manuela Mosca, professore di Storia del pensiero economico presso l’Università del Salento, Piero Bini, professore di Economia e Storia del pensiero economico presso l’Università di Roma3 e Nicola Giocoli, professore di Economia politica presso l’Università di Pisa. Si tratta di un libro pubblicato, originariamente, presso i tipi di Laterza nel 1925 e successivamente ripubblicato presso la casa editrice Cedam di Padova nel 1963. Stiamo, pertanto, parlando di un libro ormai entrato nel secolo dalla prima pubblicazione, fatto uscire l’anno successivo rispetto alla morte del suo Autore, di cui, lo scorso anno, appunto, si ricordavano i cento anni dalla scomparsa. E’ comunque un’opera che, al netto di un inevitabile radicamento al contesto teorico-linguistico dell’epoca, mostra ancora la sua freschezza oltre a notevoli punti di interesse. E’ opportuno premettere sempre, quando si affrontano dei classici, che la questione della loro attualità non dovrebbe essere vista come un metro di giudizio fondamentale per la loro valutazione. Molti testi, se non tutti, vanno valutati primariamente per il loro radicamento contestuale, proprio in quanto espressione di una ben precisa cornice concettuale e di posizioni storicamente determinate, sulla quale ogni valutazione di merito, radicata ineluttabilmente su idee ancorate nel presente, si trasforma fatalmente in qualcosa di infondato e di anacronistico. Questa avvertenza metodologica è particolarmente applicabile per un caso come quello di Maffeo Pantaleoni, economista tenuto in alta considerazione ai suoi tempi, che va, tuttavia, compreso e letto all’interno di una parabola che ebbe sicuramente risvolti ed esiti quantomeno discutibili come pure una serie di posizioni teoriche di tutto rispetto. In questa sede si cercherà di analizzare proprio il Pantaleoni economista, ed in particolare lo studioso di vaglia che emerge da un’opera vasta come gli “Erotemi di economia”, una sorta di compendio e di sintesi delle principali posizioni dello studioso frascatano dall’inizio del Novecento alla morte. Ne emergerà un sostenitore non ideologico del liberismo, quanto, piuttosto, intimamente convinto, al punto da spendersi personalmente nella convinzione di poter convertire ad esso sia Mussolini che la politica economica del nascente regime fascista. Maffeo Pantaleoni fu una personalità molto complessa, difficile, per certi versi scontrosa e combattiva ai limiti dell’invettiva, un polemista per nulla incline alle mezze misure ed uno studioso di economia di valore assoluto, i cui indubbi meriti e le originalissime intuizioni stanno ricevendo ultimamente l’attenzione che uno studio non condizionato merita, al fine di restituire l’interezza anche intellettuale di un analista estremamente lucido. Seppe opporsi da par suo alle commistioni tra politica e mondo dell’imprenditoria, fu l’implacabile censore della corruzione, dei monopoli, del capitalismo assistito e compromesso dall’abbraccio soffocante dello stato, un abbraccio che ne snatura  la funzione e la natura, Pantaleoni, inoltre, presagiva, come conseguenza inevitabile dell’allargamento del suffragio, uno spostamento dell’asse politico verso il socialismo e il cristianesimo sociale, due esiti che rigettò sempre decisamente. E, fra i due, in special modo il primo,vale a dire il socialismo, che fu il suo bersaglio costante e la sua continua fonte di preoccupazione. La sua comprensione delle dinamiche sociali, economiche e politiche, con le quali non esitava a misurarsi da diversi pulpiti, unita ad un temperamento per nulla incline al compromesso o al comodo accomodamento, ne fecero, spesso, un testimone scomodo della sua epoca e di un contesto storico che, al contrario, faceva del disinteresse per i principi e per accordi davvero “scandalosi” il perno attorno cui ruotare lo sviluppo delle istituzioni. Pantaleoni avvertì, come altri, il timore per una società appiattita e statalizzata e seppe comprendere perfettamente le ansie e le tensioni che pervasero l’Europa dei primi quindici anni del XX secolo, leggendo, di conseguenza, anche la Prima Guerra mondiale, e, soprattutto, la Rivoluzione bolscevica come inopinati allontanamenti – quando non palesi sconfessioni – da quel mondo democratico liberale guidato dall’economia libera di mercato. Un ordine che, faticosamente, ma con significativi progressi generalizzati, stava guidando l’Occidente e che si era dimostrato capace di condurre la civiltà verso strabilianti risultati. Si potrebbe, applicando un’analogia ardita, ma, probabilmente, non aliena da elementi di verità, accostare questi progressi e questi risultati della civiltà occidentale con quella metodologia evocata nel sostantivo, desueto e non certo di uso comune, del titolo. Ci riferiamo all’argomentare filosofico di ascendenza socratica che interroga incessantemente, ricerca, pone quesiti per giungere ad una serie di conclusioni fondate sulla razionalità. Maffeo Pantaleoni fu un instancabile “ricercatore”, in questo senso, un economista che interrogò il suo mondo e il suo tempo per comprenderne il senso e la tendenza read more

L’attacco ad Israele, responsabili e complici

L’attacco ad Israele, responsabili e complici

Lunedì 21 Ottobre, in occasione della duecentottantaseiesima serata di Lodi Liberale,  è stato presentato il libro “Ottobre Nero”, alla presenza dell’autore  Stefano Piazza, giornalista e saggista ticinese, esperto di fondamentalismo islamico, che collabora con il gruppo editoriale Panorama/La Verità, Stefano Magni, giornalista di “Informazione Corretta” e “La Nuova Bussola Quotidiana”,  l’avvocato Cristina Franco, Presidente dell’Associazione Italia-Israele di Savona e Stefano Parisi, Presidente dall’ “Associazione  7 Ottobre”, collegato da remoto. read more

Una analisi corrosiva della politica monetaria ed una suggestione libertaria

Una analisi corrosiva della politica monetaria ed una suggestione libertaria

Lunedì 14 ottobre, nell’ambito delle serate dedicate al pensiero liberale e libertario, abbiamo presentato “Il mistero dell’attività bancaria”, di Murray Newton Rothbard. Erano con noi Giovanni Birindelli, Presidente di “Catallaxy Institute”, Francesco Carbone, consulente finanziario, Francesco Simoncelli, community manager per “Mellis Wallet” e Antonio Foglia, vice presidente di “Ceresio Investors”. Lo studioso libertario e anarco-capitalista ha più volte, nella sua prolifica produzione, trattato delle tematiche contenute in quest’opera, e lo ha fatto, pur nelle diversità dei contesti e nella peculiarità dei momenti storici, dalla prospettiva della Scuola Austriaca di economia (seppur filtrata dalla sua peculiare personalità e dalla sua originale parabola intellettuale). Lungo tutto il corso della sua vita, Rothbard ha riflettuto intorno al denaro, ai prezzi, alla moneta, al sistema bancario, con particolare riguardo (polemico) per le Banche centrali, cercando di mostrare come questi argomenti siano impattanti sul novero delle libertà personali di ogni individuo. Riteniamo sia adeguato, preliminarmente, proprio sottolineare come troppo spesso non vi sia la consapevolezza dei pericoli che le libertà di ognuno corrono quotidianamente in virtù delle decisioni di politica monetaria, creditizia, inflazionistica. Porre mente a questo aspetto, vale a dire comprendere appieno che ben precise direttive intorno a questi argomenti possono avere conseguenze molto pesanti, siano esse intenzionali o inintenzionali, sulla vita quotidiana di ciascuno come pure sul livello generale ed individuale di libertà, sarebbe già un’acquisizione di rilievo, in un panorama dove questi atti sembrano essere accettati senza comprenderne il peso. Rothbard ha sempre avuto, lungo tutto il corso della sua multiforme attività e in ciascuna delle sue molteplici opere, la preoccupazione quasi maniacale a farsi comprendere, utilizzando, se necessario, semplificazioni ed un linguaggio piano e chiaro orientato verso i propri lettori più che verso il mondo accademico. Questo ha generato, abbastanza comprensibilmente, il pregiudizio che Rothbard fosse poco profondo, superficiale, in generale ben poco autorevole. In realtà, il suo è sempre stato un intento metodologico preciso, volto ad esprimere concetti precisi in un modo piano, relativamente semplice e, comunque, con alle spalle una solida preparazione. Questo libro non fa eccezione e l’interesse per le tesi esposte non è disgiunto dal modo estremamente comprensibile con cui queste tesi sono esposte. Azzardando, ma non troppo, si potrebbe dire che porsi, come ha fatto sempre Rothbard, in opposizione al mainstream accademico e intellettuale per sostenere idee spesso controcorrente non poteva che presupporre una modalità espositiva nitida, volutamente lontana da astruserie verbali o terminologiche. Quest’opera ne è l’ennesima riprova, con posizioni che, se per molti versi si agganciano alla tradizione austriaca in materia, di certo mostrano un’adeguatezza al senso comune, all’analisi concettuale e logica e alla ricerca storico-critica di notevole valore. Non ci introdurremo nel merito di un intrico di punti che hanno originato da sempre fiere contrapposizioni tra gli studiosi della materia economica di vario orientamento, anche per l’impossibilità di trattare in una sintesi argomenti tanto vasti cercando di fornirne un’impressione perlomeno veridica. Ci limiteremo a due aspetti, fra i tanti, che riteniamo di notevole interesse, vale a dire la posizione dell’Autore sul complesso di vicende che ha portato alla creazione delle Banche centrali e, infine, alla proposta che Rothbard avanza per offrire un’alternativa plausibile dopo una critica tanto distruttiva. Nel primo caso, non sarà nostra intenzione discutere o riportare tutto il complesso di idee che soggiacciono al complesso punto di vista di Rothbard in materia, ma ci basterà cercare di indurre all’attenzione sul fatto che, di fronte ad un fenomeno che sembra ormai irreversibile e, per certi versi, in espansione come quello del controllo pressoché omnicomprensivo dell’attività creditizia e di politica monetaria da parte delle Banche centrali, Rothbard eleva più di un dubbio, molte riserve e delle critiche che non possono essere accantonate a cuor leggero. Lasciamo ai lettori, che, ci auguriamo, molti, la scoperta di queste precise critiche, mentre a noi il compito di considerare come estremamente importante, in un’ottica di discussione e di elaborazione del consenso intorno a punti tanto importanti, l’emergere di una voce che si permette di non accettare ogni cosa come inevitabile, ma, piuttosto, di un punto di vista in grado di esercitare un controllo critico che passa anche da una contestazione acuminata e precisa. Il secondo punto riguarda l’interesse rappresentato, nella parte conclusiva dell’opera e prima dell’Appendice, dalla proposta avanzata dall’Autore in merito ad un’alternativa. Questa proposta, che viene definita come il tentativo di “tornare ad una moneta sana ed onesta”, si configura come il ritorno ad uno standard aureo veridico, alla riscossione delle riserve auree a fronte di un cambio definito, la soppressione della Banca centrale (qui è il caso americano ad essere tenuto in conto, ma lo stesso schema potrebbe essere esteso alle altre nazioni con sistemi monetari simili), il riallineamento del sistema bancario, la soppressione della Zecca centrale e statalizzata e, in generale, la privatizzazione dell’intero settore. Tutto questo, ancora una volta, dovrebbe insegnarci che chiuderci nello steccato di una sola opzione, fatta cadere dall’alto, controllata dal potere politico e dalle autorità finanziarie centrali, ci preclude possibili opzioni più libere e, magari, più confacenti ai desideri degli uomini che fanno impresa . Non a caso, anche nella nostra epoca, che ha fatto del controllo soffocante delle istituzioni e del dirigismo un freno allo sviluppo della libertà economica, stanno inevitabilmente emergendo realtà che sono l’espressione concreta di una reazione alla coercizione finanziaria e che non possono che rappresentare una speranza per chi ha a cuore le sorti della libertà tout court.  read more