Una difesa libertaria del diritto alla prostituzione
Venerdì 8 marzo abbiamo presentato, in occasione delle serate dedicate ai classici del pensiero liberale e libertario, “Le gambe della libertà”, di Wendy McElroy. Erano con noi, Giuseppe Cruciani, giornalista e conduttore radiofonico, Greta Mastroianni, dottore di ricerca in Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli Studi Roma 3 e Aurora Pezzuto, membro del direttivo nazionale dell’Istituto Liberale. Si tratta di un libro che affronta, nel solco degli interessi e delle tematiche che l’Autrice, femminista libertaria canadese, ha fatto proprie, una serie di questioni controverse. Per “questioni controverse” ci riferiamo all’esercizio della prostituzione, oggetto di questo contributo, e all’esercizio della pornografia, nelle trattazioni che sono state compiute dall’Autrice in altre opere. E con l’aggettivo “controverse”, non è lontanamente nostra intenzione esprimere un giudizio morale sullo specifico, cosa che, del resto, non è espressa nemmeno dalla scrittrice, che affronta questi argomenti secondo angoli visuali molto lontani da una visione moralistica. Dette tematiche, nella trattazione che emerge dalle riflessioni della McElroy, non possono essere riassunte o sintetizzate in maniera laconica, pena l’incomprensione di alcuni scenari che la scrittrice, giornalista ed attivista ha sempre avuto presenti e che ha sempre cercato di manifestare con chiarezza. I fondamenti che Wendy McElroy fa propri, come si diceva, sono quelli del libertarismo, nelle versioni che di esso sono state fornite da Murray Newton Rothbard e David Friedman; e, perciò, una posizione che connette all’individuo la piena ed assoluta proprietà di sé e del proprio corpo, non ammettendo che su di essi abbiano tutela o potestà altre istituzioni sovraindividuali nè che su di essi abbia alcun potere altri se non il singolo nella sua intangibilità. Questo significa, nella pratica, che lo Stato non può, secondo questa prospettiva, impedire il libero esercizio di attività quali la prostituzione o la pornografia in quanto esse si connettono con la libera scelta di chi le pratica. Il sottotitolo di questa raccolta di interventi è, di per sé stesso, indicativo e rivelatore : “Una difesa dei diritti delle prostitute”. Perché un’altra delle tesi “forti” dell’opera è che non si sono mai volute ascoltare, specie da parte del femminismo più tradizionale ed in particolar modo del femminismo radicale di sinistra, le voci e le volontà di buona parte di molte donne che, negli anni e nei contesti che sono stati indagati con dovizia di dettagli, hanno espresso la precisa volontà di praticare la prostituzione. Per i motivi più svariati, con le spiegazioni più varie, ma con un preciso, inequivocabile, fermo intento : esprimere in questo modo la loro autonomia attraverso una libera scelta. Il libro si pone tutta una serie di interrogativi che, davvero, risultano urticanti, quali, per esempio, il fatto che spesso un intento moralistico o un giudizio di valore aprioristico sembra condizionare l’intera legislazione in materia, inibendo o vietando a donne che vogliono prostituirsi il diritto di esercitare una libera scelta sul tipo di attività da intraprendere. O, ancora, il fatto che molti e molte sembrano volersi sostituire, con atteggiamenti paternalistici o comunque coercitivi, alla facoltà decisionale di altri in nome di definizioni morali soggiacenti perlomeno soverchianti. Quando si è fatto cenno al femminismo tradizionale, e quindi ad una visione militante, che connette la prostituzione ad un’espressione palese di patriarchiato maschile e di sfruttamento della condizione femminile per mantenere la donna stessa in una subalternità tale da impedirle il riscatto, l’Autrice si interroga sulla liceità e sulla correttezza di una posizione che, invocando la rimozione di un presunto abominio compiuto ai danni delle donne che devono prostituirsi in virtù della coercizione, di fatto impedisce ad altre di esercitare una professione che hanno scelto consapevolmente e che proseguono liberamente. La McElroy non nega che esistano moltissimi casi di brutale costrizione, ma dalla sua ricerca sociologica emerge che detta costrizione è tanto più presente nelle prostituzione cosidetta “da strada” quanto più la costrizione si fa molto più rara nella prostituzione individuale, quella esercitata lontano dai marciapiedi e gestita in proprio, secondo ritmi ed orari scelti e concordati. Il problema davanti al quale, insomma, l’Autrice vuole mettere di fronte i suoi lettori a costo di scandalizzarli è il fatto che proibendo la prostituzione, o limitandone l’esercizio o penalizzandola attraverso un codice che colpisce chi la pratica e chi ne usufruisce, di fatto si impedisce a molte persone che hanno scelto questo lavoro in libertà e lontane dalle inibizioni di esercitare un proprio diritto all’autodeterminazione. Perché il problema fondamentale che pone Wendy McElroy, e con lei buona parte del pensiero libertario, è stabilire chi detiene il potere su noi stessi, sul nostro corpo, sulle nostre manifestazioni. Nel libro, insomma, ci si interroga se sia lecito impedire a due persone un libero scambio, che non comporta aggressione o danno ai contraenti. E nel libro, soprattutto, ci si interroga se le indubbie problematiche legate all’esercizio della prostituzione non siano meglio affrontate in uno scenario in cui qualsiasi autorità si trae fuori da quelle che sono relazioni di tipo personale, laddove dette relazioni non comportano coercizioni, aggressioni, violenze, imposizioni. Siamo di fronte, sicuramente, ad una posizione anomala nello scenario che ha affrontato queste tematiche, ma si tratta di una posizione che pone molte riflessioni da compiere e, come tale, va vista come un contributo di sicuro interesse.