lunedì 6 febbraio abbiamo presentato il libro “La Sharia e il denaro. Un confronto tra finanza islamica ed economia sociale di mercato” insieme ai due autori, ovvero Alessandro Pavarin e Flavio Felice. Il testo, affrontando una tematica insolita e al tempo stesso stimolante, si articola lungo due direttrici, condotte rispettivamente dai due autori: nella prima parte troviamo un’illustrazione del concetto, della storia e delle implicanze delle categorie di Economia Islamica e Finanza Islamica, la seconda verte invece sul tentativo di sottoporre queste categorie al vaglio delle istituzioni liberali, provando a tratteggiarne una possibile somiglianza con gli esiti e le istanze dell’economia sociale di mercato.
L’opera affronta, dunque, un duplice piano. Il primo potrebbe essere definito storico-descrittivo, ossia il passaggio dalla formulazione di un complesso di teorie economiche islamiche alla creazione di una vera e propria disciplina finanziaria islamica, un passaggio che dagli anni Settanta del secolo scorso si è dipanato, attraverso la crisi degli anni Duemila, fino ad oggi. Sintetizzando al massimo quello che è un mondo complesso e affascinante, potremmo dire che lo sforzo operato dagli economisti islamici per rendere scientificamente feconda la connessione tra economia di mercato e antropologia islamica, insieme alle sue componenti teologiche, giuridiche e istituzionali, si è rivelato assolutamente vano. I motivi sono molteplici, anche se il risultato comune è la mancata produzione di un’autentica teoria della domanda Inoltre, come viene riportato nel testo, “Il tentativo di rendere compatibili analisi economica e religione non produce […] modelli realistici”, senza contare che “non è stato […] fino ad oggi elaborato un persuasivo sistema di incentivi soggettivi che potrebbe dare verosimiglianza all’identità di un soggetto economico islamico”. È possibile comunque avanzare alcune possibili comparazioni fra l’impostazione economica islamica e alcune tradizioni di ricerca occidentali – quali soprattutto il corporativismo cattolico, l’economia post-keynesiana e le riflessioni di Mayer – comparazioni che servono come possibile ancoraggio per un dialogo tra le civiltà.
Questo progetto è uno dei moventi che hanno mosso le intenzioni del secondo contributo che si basa sulla consapevolezza che punti di incontro devono essere possibili, oltre che necessari. In questo senso, i richiami analizzati sono relazionali e finalizzati ad indagare, da un lato, se un’economia islamica possa essere compatibile con le istituzioni più genericamente democratico-liberali e, dall’altro, le eventuali convergenze con la proposta economica comunemente denominata “economia sociale di mercato”. Essa si è elaborata e sviluppata nella Germania pre-nazista ed è riemersa con forza alla fine del secondo conflitto mondiale grazie al gruppo di intellettuali che aveva in Walter Eucken e Wilhelm Röpke i suoi principali alfieri e a personalità politiche come il Cancelliere Konrad Adenauer e Ludwig Erhard, Ministro dell’economia per 14 anni nella Repubblica Federale Tedesca del dopoguerra. Una visione economica più attenta agli aspetti comunitari, a un grado superiore di coinvolgimento degli attori economici e delle parti sociali in una riforma in senso “etico”, con la convinzione di una maggiore moralità nella dinamica di mercato per il richiamo a valori di grado superiore. Di fatto, una maggiore possibilità di incontro tra mondi che, seppur diversi, possono trovare terreni comuni o anche occasioni di dialogo e di confronto.
Siamo indubbiamente di fronte a una serie di sfide, che vedranno impegnati Islam e Occidente in uno scenario nel quale la contrapposizione frontale è non solo deleteria, ma anche lontana dalle pagine più alte della storia di entrambi i mondi. Indubitabilmente ogni visione che subordini il pieno sviluppo delle potenzialità produttive, imprenditoriali e concorrenziali a un condizionamento pervasivo delle componenti teologiche o di una religiosità onnicomprensiva deve far riflettere sui propri effetti. Naturalmente nessuno è in grado di prevedere il futuro, che è per definizione sfuggente a chi vive nel presente. Quanto è emerso dalla serata è stato però il richiamo a una delle componenti che hanno innervato la riflessione liberale, ossia la fecondità del confronto, anche con mondi apparentemente molto lontani. E questo, nella consapevolezza delle nostre radici irrinunciabili, è l’unico modo per affrontare, e vincere, le sfide poste dalla sempre più presente realtà dell’Islam.