I moniti di Friedrich August von Hayek a suoi posteri

Lunedì 17 giugno abbiamo presentato, in occasione delle serate dedicate ai classici del pensiero liberale e libertario, “La presunzione fatale”, di Friedrich August von Hayek. Erano con noi Alberto Mingardi, professore di Storia delle dottrine politiche presso l’Università IULM di Milano, Gilberto Corbellini, professore di Storia della medicina presso la Sapienza Università di Roma e Andrea Bitetto, avvocato. Si tratta dell’ultimo libro pubblicato dall’Autore, nel 1988, quattro anni prima di morire, ormai novantaquattrenne, nel 1992. E’ un libro che, pur scritto da un Hayek ormai novantenne, mantiene inalterato il fascino del periodare hayekiano, talvolta involuto, ma capace di rendere con prepotente chiarezza il senso di quanto egli ha sostenuto lungo il corso di una formidabile esistenza. Questo libro, infatti, potrebbe essere letto anche come la presentazione che Hayek fa alla storia del proprio percorso : dopo aver a lungo combattuto il socialismo ed aver additato a tutti i pericoli in cui incorreva la nostra civiltà percorrendo <<la via verso la schiavitù>>, dopo aver espresso moniti contro tutte le forme di interventismo pubblico nella vita degli uomini, dopo essere divenuto il più prestigioso ed al contempo inascoltato rappresentante del pensiero liberale dell’intero XX secolo ed aver delineato con analisi raffinate le fondamenta economiche, gnoseologiche e morali delle società libere ed aperte, creatrici del nostro benessere diffuso, Hayek si apprestava, sulla soglia della caduta del Muro di Berlino e sull’onda di un suo ritorno in auge – ritorno che farà da sfondo intellettuale necessario alle esperienze di Margaret Thatcher e Ronald Reagan – a raccogliere i frutti delle sue intuizioni ed a vedere nei fatti e nella realtà quel cambio di paradigma che lo scienziato sociale viennese aveva più volte paventato ed auspicato. Ed è proprio questo il primo aspetto su cui si vuol porre l’attenzione, ossia che proprio Hayek, e proprio in questo libro, sintesi e testamento della sua lunga ricerca, ci ricorda come la confutazione del socialismo e di tutti i suoi portati, in tutti gli ambiti e in tutte le sue forme, avviene principalmente nei fatti e nella realtà. Indubitabilmente l’aspetto teorico era ritenuto vitale (del resto, era stato proprio Hayek nel 1949 a scrivere “se possiamo riguadagnare la credenza nel potere delle idee – che era il tratto distintivo del liberalismo al suo meglio – la battaglia non è persa”) ed Hayek non poteva certo essere additato di essersi risparmiato nella battaglia delle idee, a favore della libertà; tuttavia, qui, come in altri punti della sua vasta opera, Hayek ci ricorda di non dimenticare mai che la confutazione del socialismo, dell’interventismo, del presunto potere salvifico di organismi sovraindividuali sul singolo si concreta nella realtà, nei fatti, in ciò che vediamo quotidianamente, in ciò che la storia ha dimostrato. Chi sostiene che l’ordinamento delle interazioni umane debba essere deliberato, sovra diretto, razionalmente impostato dall’alto da un’autorità centrale e presuntamente onnisciente è destinato a creare danni, tragedie e dolori, e questo avviene proprio in quanto questo modo di vedere le cose, questa strategia adottata per provare a risolvere i problemi si imposta e si incardina su un errore nei fatti. Le conoscenze e le risorse, infatti, non possono essere utilizzate così, mediante, cioè, una pianificazione centralizzata da un organismo presuntamente capace di avere doti superiori. Sono i fatti e la realtà, lo ripetiamo, a dirlo. Sebbene le motivazioni per le quali conoscenze e risorse non possono essere utilizzate così siano complesse, contro-intuitive e generalmente contro le nostre molte, umane presunzioni, è al valore fattuale di evidenza e di palmare realtà inconfutabile che tutti dobbiamo guardare per dire che <<il socialismo non può fare ciò che promette>>. Hayek mostra molti altri errori del socialismo, certo. Esso si basa, per esempio, come si accennava, su una presunzione tipicamente umana, una tracotanza razionalistica, più che razionale, ossia la credenza che la ragione possa tutto e che tutto sia originato e spiegabile da essa. Tutta la vita di studioso di Hayek, nei molti campi in cui si trovò ad operare, in virtù della sua erudizione enciclopedica e dei suoi svariati interessi, fu mirata anche allo screditamento ed alla confutazione di questa presunzione. Che la storia ha dimostrato essere fatale per coloro che hanno dovuto subirne gli effetti. Fra costoro, non solo i moltissimi che si trovarono sotto le frequenti tirannidi presenti nei secoli della civilizzazione del nostro pianeta, ma anche i cittadini delle nostre democrazie, spesso angariati e brutalizzati dal peso di decisioni adottate e volute da governi e governanti che hanno fatto leva su  interpretazioni molto interessate di consenso e rappresentanza. Hayek ha voluto porre sotto l’attenzione di tutti che l’ordine esteso cui dobbiamo il nostro benessere e la nostra civiltà non si basa su un progetto deliberato, su una determinazione, ma su un processo per lo più spontaneo, inintenzionale, evolutivo, adattativo, ancorato spesso alla tradizione e a componenti morali. Un processo sul quale la razionalità è solo una delle tante componenti e spesso nemmeno la più rilevante. Un gigantesco e straordinario apparato che soggiace, per esempio, a regole di condotta umana che si sono gradualmente evolute lungo l’arco di generazioni. In campi quali il mercato, il linguaggio, il diritto, lo scambio, la moneta, non tutto può essere spiegato da considerazioni strettamente razionali, né nel loro svolgersi che nel loro dipanarsi storico. Hayek ha saputo dimostrare a tutti di essere un analista della società di formidabile acume e di grande preparazione, capace di inserirsi, consapevolmente, nel solco di una grande e multiforme tradizione; inoltre, ha saputo mostrare a tutti di aver avuto, con le sue riflessioni e le sue premonizioni, molte ragioni. La realtà ed i fatti, insieme alle idee a cui tanto teneva, sono state dalla sua parte. Ci auguriamo che possa rappresentare sempre per tutti quel classico che ha saputo essere e che, quindi, la sua lezione non sia dimenticata.

Commenta l'articolo

commenti