Il Partito Liberale Italiano dal secondo dopoguerra allo scioglimento

Lunedì 26 settembre scorso abbiamo presentato il libro di Pierluigi Barrotta “Storia del Partito Liberale Italiano nella Prima Repubblica”. Erano presenti, oltre all’Autore, professore ordinario di Filosofia della Scienza, titolare della Cattedra “Galileo Galilei” e Direttore del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa, anche Gerardo Nicolosi, professore associato di Storia Contemporanea presso l’Università di Siena e Domenico Bruni, professore di Storia Contemporanea e Storia delle Istituzioni e dell’Amministrazione presso la Luiss Guido Carli di Roma.

Il libro è un importante contributo alla conoscenza di una forza politica, ma soprattutto di un insieme di ideali, concentrati in un numero sicuramente esiguo della popolazione, ideali che hanno comunque rivestito una profonda rilevanza nella storia del nostro Paese. Il periodo analizzato è quello che va dall’immediato secondo dopoguerra, caratterizzato da un’atmosfera di ricostruzione politica, ideale e sociale, dal Referendum che vide il prevalere dell’opzione repubblicana, dalla Costituente e dalle prime elezioni. Inevitabilmente, la trattazione si concentra, in questa fase, sulle due personalità che, in virtù del prestigio e della considerazione che anche al di fuori dei confini nazionali erano riconosciute loro – stiamo parlando, ovviamente, di Benedetto Croce e di Luigi Einaudi – e ne illustra l’importanza intellettuale e morale. La statura di questi due “cavalli di razza” è stata anche misurata da una famosa polemica, una querelle che li ha divisi, seppur solo in punta di penna, a proposito della preminenza o della precedenza da fornire, rispettivamente all’ambito etico filosofico, da un lato, ed economico in senso alto dall’alto. Le vicende politiche di questa prima fase del PLI (Partito Liberale Italiano) ci consegnano, a parte i due universi per certi versi contrapposti di Benedetto Croce e Luigi Einaudi, un partito schierato su un fronte conservatore, nazionalista, quasi di retroguardia, ma soprattutto di orientamento monarchico. Gli esiti agglomerati del Referendum Monarchia-Repubblica e delle elezioni generali del 1948 penalizzarono fortemente il PLI, all’epoca alleato con il movimento dell’Uomo Qualunque. Alla segreteria di Roberto Lucifero d’Aprigliano, seguì il mandato di Bruno Villabruna, che cercò di riunificare le componenti variamente disperse del partito oltre che di riorganizzare la struttura, di modo tale che il PLI potesse tornare ad avere una linea politica adeguata ai tempi. Il suo mandato fu caratterizzato dal tentativo di tenere in equilibrio le anime interne, primariamente le due correnti opposte, di sinistra e di destra, per mantenere un’unità. La sua linea fu improntata al tentativo di elaborare una strategia detta di “terza forza”, ossia un’alleanza con il Partito Socialdemocratico in funzione equilibratrice delle spinte centriste e conservatrici presenti nella Democrazia Cristiana. Il partito, dopo aver registrato l’uscita della componente più reazionaria, trovò un fragile compromesso fra liberali di sinistra, transfughi e unionisti all’insegna del dialogo privilegiato con i socialdemocratici.

Dal 1953 si registrò l’ascesa di Giovanni Malagodi, capace, in un tempo relativamente ristretto, di far mutare la linea politica del partito e di porre le basi per una sua ascesa alla leadership. I contrasti si acuirono e questo portò alla scissione del dicembre del 1955, cioè quel momento in cui Villabruna, il referente della sinistra interna Carandini, Pannunzio e Scalfari dettero vita al Partito Radicale.

Dal 1954 al 1972 la segreteria del PLI fu appannaggio di Giovanni Malagodi. Un lungo periodo, nel quale la bussola venne orientata ad una più spiccata difesa degli interessi confindustriali, quindi della media e grande proprietà, attraverso una direttrice economica più marcatamente liberista. La componente di sinistra del PLI, che si rifaceva al gruppo de “Il Mondo”, diretto da Mario Pannunzio, si distaccò nuovamente dal partito, per fondare nel 1955 quello che sarà il Partito Radicale. Intanto il nucleo del PLI, diretto da Malagodi, assunse una linea politica di opposizione al centro-sinistra, come pure di lontananza dai monarchici e dalla destra post-fascista. Questa linea premiò in termini di consenso tanto da consentire, nel 1972, un ritorno al Governo nella coalizione di maggioranza. La stagione di una rinnovata centralità della funzione del PLI non ebbe una lunga durata ed il partito cambiò leadership nel 1976, con l’assunzione della segreteria da parte di Valerio Zanone. Nel frattempo, vennero sposate le battaglie laiche che infiammarono il periodo, tra cui il referendum sul divorzio. Il nuovo spostamento a sinistra fu sancito da una formula, il cosiddetto “lib-lab”, ossia la definizione di un orientamento che assumeva le parallele istanze riformatrici e filo socialiste del laburismo inglese dell’epoca. Il PLI proseguì nella sua azione di appoggio ai governi pentapartiti dell’epoca, fino allo scioglimento decretato nel 1994. Una storia, in questa parte terminale, prevalentemente a favore di una linea di sinistra, sebbene fortemente contraria l cosiddetto “compromesso storico” con il PCI. 

La storia del Partito Liberale nell’età repubblicana mostra alcune caratteristiche evidenti: il prestigio di moltissimi suoi componenti presso tutte le forze politiche e presso la stessa opinione pubblica, sia a livello nazionale che locale; il grande apporto fornito soprattutto alla fase iniziale della nascente Repubblica italiana, in particolare con la Presidenza di Luigi Einaudi, capace di esercitare una straordinaria influenza sia a livello di dirittura morale che di disciplina delle politiche monetarie e finanziarie; la profonda condivisione dei valori dello Stato di diritto, al punto da essere un riferimento epr un certo qual modo di intendere la serietà dell’agire politico; la litigiosità interna, quasi proverbiale e incapace di trovare, in alcuni momenti, un punto di accordo, al punto che le scissioni, le fuoriuscite, gli scontri, i disaccordi divennero, in alcuni casi, inevitabili; un progressivo declino della componente ideale di partenza, a causa dell’assunzione di prospettive che, se furono in linea con le istanze più evidenti del momento storico in cui si produssero, non erano certo parte della storia anche gloriosa, per certi versi, di un gruppo politico e di una classe dirigente.

Affrontare questo libro, tuttavia, non ha solo un interesse storico, ma si configura come una salutare riflessione intorno a dinamiche che, sotto altri nomi e per altri versi, possiamo riconoscere anche nella nostra contemporaneità. 

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