La Grande Guerra, apogeo dello Stato onnipotente

Lo scorso lunedì 26 novembre abbiamo voluto ricordare nuovamente il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale presentando il libro di don Beniamino Di Martino “La Grande Guerra 1914-1918” insieme all’autore (Direttore di “Storia libera”) e a Paolo Luca Bernardini (Professore di Storia Moderna presso l’Università degli Studi dell’Insubria).

Questo lavoro è il compimento di un percorso che, dalla comparsa di alcuni articoli in riviste specialistiche nel 2015, si è snodato attraverso la pubblicazione di un primo contributo nel 2016 (“La Prima Guerra Mondiale come effetto dello “Stato totale”. L’interpretazione della Scuola Austriaca di economia”), peraltro presentato proprio in occasione di un evento di Lodi Liberale, fino ad arrivare a questo scritto denso e articolato, che si presenta come il culmine di un interesse per uno snodo centrale della contemporaneità, letto mediante una prospettiva fuori dalle comuni catalogazioni.

Questa prospettiva è quella della Scuola Austriaca di economia, una tradizione di ricerca che ha saputo non solo fornire coordinate determinanti per la lettura dei fenomeni economici, ma anche, nelle ricerche dei suoi principali esponenti, elaborare strategie metodologiche per l’interpretazione delle scienze sociali e dei fenomeni storici. Senza contare il fatto estremamente decisivo che, avendo preso le mosse da un lavoro del fondatore, Carl Menger, del 1871, proprio lo sviluppo delle riflessioni dei vari componenti di questa linea di analisi detta anche marginalista, ha attraversato tutto il periodo che ha preceduto la Grande Guerra, che ne ha fatto parte in quanto coevo e, infine, che lo ha seguito, non di rado fornendo intuizioni decisive, perfettamente integrate sia con il dato storico sia con le coordinate dei fondamenti interpretativi della Scuola stessa.

Da Carl Menger a Friedrich von Wieser, da Eugen von Bohm-Bawerk a Ludwig von Mises, da Friedrich August von Hayek fino a Jesus Huerta de Soto passando per Murray Newton Rothbard ed Hans-Hermann Hoppe, generazioni di studiosi hanno affrontato le problematiche relative alla Grande Guerra, da cui possiamo trarre spunti di interesse profondo sia per il valore che rivestono le testimonianze di coloro che hanno vissuto gli eventi in questione sia per l’insieme innovativo di risposte che propone un orizzonte culturale come la scuola marginalista, tanto ricco quanto poco conosciuto dal grande pubblico.

Il libro di don Beniamino Di Martino, dunque, legge lo spaventoso e funesto evento della Grande Guerra alla luce delle idee e delle testimonianze dirette degli esponenti della Scuola Austriaca, e lo fa con una chiarezza espositiva e con una ricchezza di erudizione che giustificano da soli la lettura.

Allo stesso modo in cui si era messo in evidenza, nel precedente contributo del 2016, la categoria di “Stato totale”, categoria sul cui drammatico sorgere i marginalisti hanno saputo mettere in guardia a più riprese mostrandone gli errori e le fatali pericolosità per la libertà individuale, così nel libro del 2018, presentato al pubblico lodigiano lunedì 26 novembre scorso, il sottotitolo stesso illustra, con icastica lapidarietà, come dall’onnipotenza dello Stato non possa che promanare la catastrofe della civiltà. Proprio questa è la tesi principale (anche se non l’unico contributo di valore) fornita dagli studiosi «austriaci» nella loro analisi dell’orrore prodotto sia dagli eventi bellici sia dalle conseguenze del conflitto. 

Tuttavia la Guerra non giunge, come spesso si è voluto far intendere, come un fulmine in una giornata di sole, come un improvviso squarcio in un’epoca felice. Il libro mostra bene, anzi, come il sentiero verso la Guerra sia stato lastricato da tensioni continue, da grandi e progressive centralizzazioni, dal soffocamento di molte istanze localistiche, dal sorgere di un mito, quello della Nazione, davvero inquietante, sotto molti aspetti, ed in cui le responsabilità degli uomini di cultura, o perlomeno di alcuni di essi, sono state precise e puntuali, al punto da indurre a postulare una correità.

La storiografia di ogni tendenza ha sicuramente con troppa fretta bollato l’epoca che precede la guerra come un mondo di pace dominato dalle idee liberali, mentre sembra più aderente alla realtà dei fatti, piuttosto, parlare di essa come del trionfo della “ragion di Stato”. Ossia della progressiva affermazione è del progressivo ampliamento dello Stato nella forma oggi nota. In quest’ottica, l’ampliamento del raggio del conflitto a tutto ciò che riguarda la vita, in ogni suo aspetto, da quello civile ed economico a quello intellettuale e sociale, oltre che politico, per farne un evento totale e totalizzante, non è che l’anticamera della totalizzazione dello Stato, ossia dell’annessione all’entità statuale di tutti gli aspetti della vita umana. In questo senso, la Grande Guerra è stata lo spartiacque, il grande discrimine, il momento decisivo in cui ovunque gli spazi per la libertà individuale vengono resi subalterni rispetto alla prospettiva statuale, in tutte le sue funzioni.

Ecco dunque come ricevono una spiegazione molto più esaustiva ed una causalità molto più probante fenomeni complessi come la Rivoluzione Bolscevica, l’avvento del Fascismo e del Nazismo, come pure l’avvio di un incremento delle istanze statali anche nelle democrazie che resistettero ai vari totalitarismi.

Insomma siamo in presenza di un libro da leggere a completamento e integrazione delle analisi ben poco liberali che abbiamo ascoltato nel 2018, anni del centenario di questa tragedia.

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