Lunedì 5 giugno, in occasione della rassegna dedicata ai classici del pensiero liberale e libertario, abbiamo presentato “L’era delle tirannie”, di Élie Halévy. Erano con noi Gaetano Quagliariello, professore di Storia contemporanea presso la LUISS Guido Carli di Roma, Giovanni Orsina, professore di Storia contemporanea presso la LUISS Guido Carli di Roma ed Eugenio Capozzi, professore di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa”.
Siamo di fronte ad un Autore di grande spessore, che, tra Ottocento e Novecento, ha saputo coniugare la sua inclinazione agli studi storici, con particolare riguardo per il mondo inglese, con una serie di riflessioni molto penetranti, in un contesto anche temporale molto significativo, al fine di far emergere le linee di tendenza intellettuali e culturali che avevano avviato il mondo verso i due conflitti mondiali.
In particolar modo, la sua analisi stratificata ed estremamente esaustiva del socialismo, definito nelle sue molteplici componenti e nella sottolineatura delle sue molte responsabilità, è un contributo da tenere sempre ben presente in ogni dibattito sul peso che le idee e le loro incarnazioni hanno avuto sul tormentato svolgersi delle vicende di tutto il XX secolo.
In quest’ottica, Halévy ha saputo intravedere il peso di un ideale fin da subito trasformatosi in ideologia, un’impostazione che ha proceduto in antitesi alla visione liberale ottocentesca ed in particolare come nemica di una precisa società, figlia dello sviluppo storico, culturale e giuridico di marca anglosassone. “L’era delle tirannie” è l’opera più nota dell’Autore, sebbene essa sia postuma – fu infatti pubblicata nel 1938, un anno dopo la sua morte – e sebbene essa sia una raccolta di scritti sparsi.
Nonostante questi che potrebbero sembrare dei limiti, l’opera è strutturata secondo un andamento che mette in rilievo, dapprima, le fondamenta filosofiche ed economiche del socialismo, vale a dire la figura filosofica ed economica principalmente di Claude-Henri de Saint-Simon e dei suoi discepoli ed a seguire la questione sociale per come si era andata sviluppando nel paese alla guida della rivoluzione industriale, ossia l’Inghilterra. Il libro ha, di seguito, un’interessantissima sezione dedicata alla crisi mondiale degli anni tra 1914-1918 e, conseguentemente, della Prima Guerra mondiale come evento causa ed effetto di questa crisi. All’interno di questa sezione, si trovano brillanti ed originali considerazioni in merito al rilievo da fornire al clima rivoluzionario che ha compenetrato ed accompagnato il contesto del conflitto.
Il prosieguo dell’opera pone il lettore di fronte ad un problema, ossia quello del rapporto tra soluzione democratico-parlamentare-rappresentativa ed il socialismo ; una relazione che, definita nelle sue linee portanti di tipo ideale e culturale, non può che esprimersi come difficile da rendere coniugabile.
Queste posizioni, che precedono gli esiti della Seconda Guerra mondiale e che si pongono al di qua di valutazioni di condizionata accettazione rispetto al contributo fornito nel conflitto, dovrebbero essere tenute presenti per la lucidità e l’equilibrio di cui sono intessute.
Nell’ultimo saggio del volume, che è quello che fornisce il titolo al volume stesso e che riporta gli esiti di una conferenza parigina del 1936, si evidenziano le contraddizioni interne, di matrice storica e filosofico-politica, del socialismo, ben presto organizzatore e gerarchico come intendeva, peraltro, proprio Saint-Simon. Il socialismo sembra quasi diviso tra due anime opposte, ma la lezione rilevante da raccogliere è che esso non accoglie certo una latente aspirazione democratica, ma piega decisamente, irrevocabilmente e, verrebbe da dire, inevitabilmente, verso un crinale accentratore, impositivo.
Con grande finezza, Halévy mostra le componenti estremamente definite del socialismo marxiano, intriso di rivoluzionarismo, anarchia e palingenesi comunista, mentre ha, al contempo, saputo intravedere come anche fenomeni e figure apparentemente molto lontane fra loro come quelle di Napoleone III e Bismarck hanno la loro radice in differenti declinazioni del socialismo stesso.
In questo modo, Halévy ci fa un grande servizio, fornendoci un quadro lucido di un universo inaspettato, una sorta di compagnia variegata dove, a causa delle brutali accelerazioni imposte dalle Guerre e dalle rivoluzioni, troviamo dittatori e “monarchi sociali”, nazionalisti ed internazionalisti, statalisti e fautori dell’economia chiusa, tutti quanti ostili a liberalismo, libero mercato e democrazia.
Si costituiscono, allora, due blocchi ben precisi, anche se le alleanze o gli schieramenti talvolta mescolano le carte : i sostenitori della libertà, del governo rappresentativo, della rule of law da un lato e il multiforme fronte dei socialisti dall’altro. Questa lezione era ben chiara ad un grande liberale come Friedrich August von Hayek quando, circa sette anni dopo, scrivendo uno dei suoi libri più noti, “La via della schiavitù”, lo dedicherà “ai sacialisti di tutti i partiti”.