Il libero mercato come condizione necessaria per la pace fra le nazioni.

Lunedì 30 gennaio abbiamo presentato, nell’ambito della rassegna sui classici del pensiero liberale e libertario, la raccolta di “Scritti e discorsi politici” di Richard Cobden.

Erano presenti Alberto Mingardi, curatore del volume e professore di Storia delle Dottrine politiche presso l’Università IULM di Milano, Mario Tesini, professore di Storia delle Dottrine politiche presso l’Università di Parma e Franco Di Sciullo, professore di Storia delle Dottrine politiche presso l’Università di Messina.

Il volume reca un sottotitolo, al solito, esplicativo : “Il libero scambio per la pace tra le nazioni”. Ed infatti il gruppo di scritti scelti fra la mole considerevole della produzione cobdeniana si divide in interventi a proposito dell’opposizione alle leggi protezionistiche sul prezzo del grano e dei cereali dette “Corn Laws” (interventi esposti o nel Parlamento inglese o in pubblico tra 1842 e 1846) ed in scritti che prendono posizione contro l’espansionismo militare, il che significa contro il crescente favore alla politica imperialistica seguita dagli esecutivi della Corona dalla metà del XIX secolo in poi.

Per finire, il volume reca un’Appendice con il discorso tenuto proprio da Richard Cobden all’Accademia dei Georgofili di Firenze. Prima di analizzare maggiormente nel dettaglio il contenuto ed il notevole interesse rappresentato dagli scritti antologizzati, e prima di definire il carattere anti-protezionistico dei primi a fronte di quelli più afferenti alla politica internazionale dei secondi, sia consentito fare una premessa. La premessa è che i due ambiti sono fra loro interrelati, concatenati e recanti tali interdipendenze da dover essere considerati come facce di un’unica medaglia o come fronti e versi di un unico discorso sulla libertà di intraprendere e di operare.

La grande battaglia intrapresa da Richard Cobden, da John Bright e da tutta la “Anti- Corn Laws League” per scardinare il fronte protezionista favorevole ad una legislazione impostata sui dazi commerciali alle derrate in entrata, una battaglia combattuta nelle piazze e nel Parlamento, ma soprattutto una battaglia per persuadere e cambiare l’opinione pubblica di un paese e di una classe dirigente, ebbene, questa battaglia aveva sicuramente motivazioni ideali basate sul valore del libero commercio, del libero mercato e dell’economia autonoma quanto possibile dalle ingerenze politiche, ma aveva anche una forte spinta data dalla convinzione che un mercato libero ed aperto avrebbe tenuto lontano il Regno Unito dalla guerra.

Opporsi a tutte le misure con cui potentati, lobbies e gruppi di pressione condizionavano di fatto il sistema di mercato e il livello dei prezzi non era soltanto una posizione basata su una difesa ideale dell’apparato economico libero di una società aperta, ma rappresentava una risposta ad ogni tentazione bellica, ad ogni istinto guerresco, ad ogni regressione, visto che risulta molto più difficile, per nazioni legate da interessi commerciali, porre in atto un conflitto.

Questo razionale convincimento, purtroppo, non è stato sempre osservato ed, anzi, spesso la storia, anche quella immediatamente successiva agli indubbi successi della campagna anti protezionistica, ha mostrato esiti incardinati sulla follia di Stati che pure hanno avuto l’evidenza dei vantaggi di una pace basata sul libero commercio. Il caso che qui viene mostrato è, in questo senso, esemplare : raramente si è potuto registrare, nei climi politici e culturali, nella vita parlamentare e legislativa un tale successo di registro eminentemente liberale (norme a favore del libero scambio e che hanno rimosso leggi protezionistiche, con ricadute positive anche su altri ambiti e, in genere, sul timbro conferito alla vita economica dell’età vittoriana) seguito, purtroppo, da una successiva mobilitazione bellicista, a favore dell’entrata in guerra e dell’intervento della Gran Bretagna in Crimea, anticipazione di quell’espansionismo militare e di quella politica di potenza imperialista che ha segnato, anche qui, i destini questa volta internazionali della Corona inglese.

Questo è avvenuto a dispetto ed anzi in opposizione all’evidenza di quanto fosse dolce la pace garantita da un’economia di libero mercato. Ma l’Europa ha preferito incamminarsi lungo la strada accidentata e dolorosa delle guerre locali, dei conflitti animati da un nazionalismo deteriore, da un espansionismo incurante del diritto delle genti, da un colonialismo che ha assunto le pretese di civilizzazione portata sul filo delle baionette.

Questo quadro prelude e prepara le spaventose tragedie del XX secolo, ma può anche essere letto come il misconoscimento della funzione pacificatrice dello scambio ed il suo esplicito, progressivo tradimento da parte delle società europee tra 1850 e la fine della Seconda Guerra Mondiale.

Dopo aver mostrato quanta ingiustizia e quanta inefficienza c’è nel protezionismo economico, Cobden ed i suoi sodali hanno mostrato, sulla scia dei loro maestri, in primis Adam Smith, come un ordine economico contraddistinto dalla libertà, dall’impresa, dalla limitazione delle interferenze statuali alla tutela di una cornice di regole produca pace e come il suo mantenimento sia nell’interesse di tutti gli attori coinvolti.

La storia ha dimostrato l’irrazionalità umana o la preferenza verso altre prospettive, ma è incontestabile che, laddove questo è avvenuto, i risultati e le conseguenze sono stati quasi sempre nefasti. Cobden ci ricorda sempre come la soluzione liberale può portare prosperità e pace per tutti, mentre non sempre questo avviene per chi pone altre logiche che non siano la libertà individuale e di impresa come fulcro della società.

Senza contare che ogni visione del mondo imperniata sulla libertà, sullo scambio, sul commercio presuppone, implica e fa discendere da sé un insieme di relazioni basate sulla tolleranza, sull’equiparazione delle opportunità, su un sistema giuridico che si definisce tra pari, e quindi una società di uomini e donne che possono sviluppare prosperare nella pace, mentre ogni complesso di motivazioni di tipo bellicista, sia esso di natura sociale che economica o politica, conduce inevitabilmente ad esiti contraddistinti da devastazioni, tragedie, morte.

Richard Cobden ha impostato la propria vita, il proprio percorso intellettuale e la sua attività politica in una triplice direzione : sostenere, sulla scia dell’economia classica, i benefici del libero commercio, evidenziando, d’altro canto, le miserie del protezionismo commerciale, capace, in ultima analisi, di condurre le società ed i paesi che lo abbracciavano alle guerre militari.

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