Lunedì 2 dicembre l’Associazione Lodi Liberale ha presentato “Conoscenza. Governo degli uomini e governo della legge” di Lorenzo Infantino. Erano con noi l’Autore, professore emerito di Filosofia delle Scienze sociali presso la LUISS Guido Carli di Roma, Raimondo Cubeddu, Senior Fellow presso l’Istituto Bruno Leoni e Antonio Masala, professore di Filosofia politica presso l’Università di Pisa. Il lettore è condotto attraverso una trattazione che è adeguato definire come istruttiva, una trattazione che ha, tuttavia, molti altri meriti, non ultimi la chiarezza espositiva e il rigore del contenuto, sostenuto, a sua volta, da una frequentazione assidua di queste tematiche e delle relative fonti. Nel libro è nitidamente intuibile un percorso che si snoda partendo da una serie di presupposti riguardanti le scienze sociali ed il loro ambito, presupposti che possono costituire una serie di coordinate generali con cui affrontare anche ambiti molto lontani. Inoltre, nell’opera sono presenti una serie di intuizioni che, facendo necessario riferimento alla letteratura critica in materia, pongono il lettore di fronte ad una serie di riflessioni per certi versi necessarie o, anche, ad una serie di opposizioni logiche e contenutistiche che impongono per lo meno una presa di posizione. Il libro, ancora, ha il costante merito di presentarci una ricostruzione intellettuale che esce dalle comode e consunte versioni offerte come le uniche degne di validità, per definirsi come un itinerario di concetti ed autori capaci di dare allo scenario delle idee una validissima alternativa. L’analisi di questo contributo ci rivelerà, per iniziare, come all’uomo, per costituzione e natura, meglio si confacciano la modestia e il “sapere di non sapere” di ascendenza socratica piuttosto che la presunzione di sapere, la tracotanza di conoscere tutto e la pretesa di stabilire “il fondamento indiscutibile”, l’ubi consistam attorno a cui tutto ruota e tutto si riduce. Ed è altamente significativo di una impropria quanto generalizzata tendenza umana proprio il paradosso per il quale tanto più la realtà, la storia e l’analisi delle nostre facoltà evidenziano i nostri limiti tanto più si proclamano quella che, infondatamente, si potrebbe definire come una sorta di <<onnipotenza umana>>. Quanto troviamo costantemente, quotidianamente e ovunque applicata è proprio questa hubris , questa arroganza, questa pretesa di tutto sapere, di tutto conoscere, di tutto poter decidere. Il libro del professor Infantino ci ricorda, sulla scorta delle acquisizioni più avvertite – e, verrebbe da dire, assennate – degli scienziati sociali, come il problema sia innanzitutto gnoseologico, ossia come sia proprio il piano della conoscenza quello attorno al quale e dal quale si sviluppano gli orientamenti in grado di modellare le idee o gli atti, In questo senso, è possibile tracciare non soltanto una coppia di itinera fra loro divergenti, ma anche, essenzialmente, due linee intellettuali molto lontane fra loro, addirittura opposte e, inevitabilmente, con esiti e conseguenze diversissime. Da un lato, l’indirizzo gnoseologico seguito da Cartesio, da Bacone, da Hobbes, dall’Illuminismo costruttivista di marca prevalentemente continentale ed in particolare francese, come pure da Bentham e Comte, per i quali l’uomo può orientare con successo ogni aspetto della propria vita e di quella degli altri proprio perchè tutto può conoscere, sapere, decidere. E’ in virtù di questo previo riconoscimento della sua facoltà onnisciente che l’uomo può e deve proporre la propria candidatura come Grande Legislatore del mondo. Egli ne è misura, ed, in quanto misura, egli è conoscitore del tutto e demiurgo sul tutto. Dall’altro lato troviamo Socrate, e quindi Cusano, Erasmo, Montaigne e la versione incompresa dell’Illuminismo francese, quel Montesquieu tanto lodato quanto volutamente emarginato. Ma, soprattutto, troviamo la grande tradizione anti costruttivista ed evoluzionistica, quella opposta al valore conferito altrove al Grande Legislatore umano : è quella tradizione che si svolge con Mandeville, Bayle, Hume, Smith, Burke, Savigny e che avrà nella Scuola Austriaca di economia e scienze sociali quegli interpreti capaci di comprenderne il senso ed il profondo significato. Perché queste due grandi vie mettono capo a due ben precise interpretazioni della società e del diritto, a due distinte connotazioni della realtà stessa, a due approcci molto lontani fra loro sul mondo e sull’agire umano. Mentre la prima via genera inevitabilmente come portato insito nelle sue stesse premesse la necessità del “governo degli uomini” – ossia non solo della possibilità o della fattibilità, ma anche della inevitabilità e della cogenza dell’unica soluzione ritenuta valida, il possesso della certezza che l’uomo o un gruppo di essi abbia in mano la verità al punto da doverla imporre sugli altri – , la seconda via è contraddistinta da quel tipo di opzione che si potrebbe definire il “governo della legge”, dove l’autonomia del singolo individuo, e quindi quel formidabile tesoro costituito dalla sua libertà personale e di scelta, riesce a coesistere, ad intersecarsi, a mantenersi autonomo con le istanze della società, attraverso un sistema di regole condivise e di legami che tutelino i diritti di ciascuno nel rispetto delle sfere di ciascuno. Purtroppo la storia non solo ideale, come pure la dura realtà quotidiana e perfino le preferenze degli individui tendono a mostrarci con inquietante frequenza la preferenza verso la prima via, quella via, giova ricordarlo, che è l’opposto teorico e gnoseologico della libertà. Sarebbe interessante chiedersi i motivi di questa perdurante fascinazione. Crediamo che quest’opera notevole, mostrando chiaramente le fallacie di questa illusione e sostenendo argomentativamente con lucidità e profondità le molte ragioni del “governo della legge”, possa contribuire allo sviluppo di una consapevolezza critica e che dalla sua lettura si possa partire anche per un’utile “ricerca su se stessi”, non a caso un esercizio di ascendenza socratica. read more