Il ritorno dell’età della guerra

Con “Viene la guerra”, Mario Mauro, già vicepresidente del Parlamento europeo e ministro della Difesa, consegna un libro di straordinaria attualità e profondità morale. Non un testo di geopolitica, ma una riflessione civile sulla fragilità dell’Occidente e sulla crisi della sua coscienza storica. Il titolo, volutamente netto, non annuncia una possibilità: constata una realtà. La guerra è tornata — in Europa, in Medio Oriente, nel Pacifico — e con essa è tornata la storia, quella vera, fatta di potere, paura, ideali e sacrificio. Dopo decenni di illusione post-storica, l’Occidente scopre di non essere immune dal conflitto. Mauro mostra come l’idea di una pace perpetua garantita dalla tecnologia o dal diritto internazionale sia naufragata di fronte alla brutalità dei regimi illiberali e all’inerzia morale delle democrazie.

Il saggio muove da un’intuizione di fondo: la pace non è uno stato naturale, ma un ordine politico fondato sulla forza e sulla responsabilità. L’Europa ha purtroppo disimparato a difendersi perché ha smesso di credere in sé stessa. La “fine della storia”, promessa all’inizio degli anni Novanta, si è rivelata una sospensione della storia: un lungo intervallo in cui la libertà è stata data per scontata, e la democrazia ridotta a routine amministrativa. Il risultato è una civiltà fragile, disarmata spiritualmente prima ancora che militarmente.

Mauro parte da una constatazione  semplice e inquietante: l’Europa ha dimenticato che la pace non è uno stato naturale, ma un equilibrio precario, fondato su virtù civiche, forza morale e responsabilità politica. Dopo la caduta del Muro di Berlino, l’illusione della “fine della storia” ha prodotto una generazione disarmata sul piano ideale. Abbiamo scambiato il benessere per civiltà, la sicurezza per libertà, l’inerzia per saggezza. Così, quando la guerra è tornata – in Ucraina, in Medio Oriente, nel Caucaso – ci ha trovati impreparati non solo militarmente, ma spiritualmente.

Il cuore del libro è una domanda di natura liberale: può una società che ha smesso di credere nella libertà difenderla ancora? Mauro risponde che la libertà, per sopravvivere, ha bisogno di una gerarchia di valori e di un ordine morale. Senza un’idea di bene comune, la democrazia si trasforma in gestione del consenso; senza senso del limite, la politica diventa amministrazione dell’emozione. È la stessa diagnosi che percorre il pensiero liberale classico, da Tocqueville a Hayek: la libertà muore non quando è minacciata da fuori, ma quando viene svuotata da dentro, resa priva di responsabilità e di coraggio.

Il libro attraversa i fronti della guerra contemporanea con la doppia competenza dello studioso e dell’uomo delle istituzioni. Mauro analizza le trasformazioni strategiche – il ritorno della Russia imperiale, l’ambiguità cinese, la crisi dell’ordine multilaterale – ma non si ferma alla cronaca. Ciò che gli interessa è il senso politico e umano di questa nuova stagione del conflitto. La guerra, scrive, è la prova della verità per le democrazie: rivela la loro solidità o la loro decadenza. In essa si misura la differenza tra società libere e regimi autoritari, tra comunità che difendono persone e sistemi che usano persone.

Paradossalmente, uno dei più grandi pericoli alla nostra libertà deriva dal pacifismo ideologico che attraversa l’Europa perché dietro il rifiuto di riconoscere la realtà della guerra c’è la rinuncia a scegliere, a distinguere, a giudicare. Il vero nemico della pace non è chi combatte per difendere i propri valori, ma chi, in nome della pace, accetta la resa. Quando c’è un pericolo reale o un aggressore, la libertà non si difende con le parole, ma con la forza. La cultura occidentale, recidendo le proprie radici spirituali, ha perso la capacità di riconoscere il male. In questa cecità morale risiede il vero dramma europeo: non sappiamo più distinguere tra vittime e aggressori, tra diritto e sopruso, tra libertà e dominio.

Non è un libro pessimista, ma un richiamo alla realtà: la guerra torna dove si è smesso di credere nella pace come frutto della libertà. Il suo messaggio finale è chiaro e severo: la pace non è assenza di conflitto, ma conquista politica, e richiede cittadini maturi, capaci di rischiare e di scegliere. La libertà non si difende con le emozioni, ma con la ragione e con il coraggio. E l’Europa potrà tornare a essere protagonista della storia solo quando avrà il coraggio di guardare il male in faccia e di chiamarlo per nome.

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