Creare spazi di libertà nella gestione del patrimonio

Lunedì 23 febbraio scorso abbiamo presentato il libro di Luca Nannipieri “Libertà di cultura”, che ha come significativo sottotitolo “Meno Stato e più comunità per arte e ricerca”, insieme all’autore e a Maria Emilia Maisano Moro, Capo Delegazione FAI di Lodi e Melegnano.

Durante la serata abbiamo assistito a una sana ventata di freschezza nel dibattito sulla gestione dei beni culturali, espressione per la verità poco amata da Nannipieri, da parte di un autore che vuole instillarvi maggiore libertà, non avendone paura ma, anzi, considerando la libera iniziativa in questo campo come un fattore fondamentale in grado di creare sviluppo economico, posti di lavoro, innovazione e creatività nella gestione e una valorizzazione concreta del nostro immenso patrimonio culturale.

Nel libro ci sono provocazioni intelligenti, affrontando di petto lo statalismo nell’ambito dei beni culturali, ma vengono anche esposte alcune proposte lucidamente liberali.

La visione prevalente è quella che potremmo chiamare soggettivistica di ciò che sono il patrimonio, la cultura e la tutela nel senso che, giustamente, l’autore rileva come non esista nei fatti e non possa esistere di principio una definizione oggettiva e imposta dall’alto di cosa sia cultura, di quale bene o opera sia un patrimonio e quindi da tutelare, ma che invece tutti questi concetti dipendano da cosa una comunità di persone viventi decide che lo siano, occupandosene con il proprio impegno concreto. Si sottolinea quindi l’importanza di una vera educazione artistica nelle scuole, privilegiando l’esperienza fisica come conoscenza di ciò è presente sul proprio territorio, affinché i ragazzi imparino a vivere le opere d’arte e i monumenti,  non considerandoli solo un qualcosa da guardare sui libri di testo.

Nel libro vengono criticate frontalmente le Sovrintendenze, proponendone la chiusura e sottolineando come spesso vengano considerate dalle comunità locali come inutili burocrazie che non vivono il territorio, essendone invece una realtà avulsa. Non possono quindi avere davvero a cuore i monumenti maggiormente sentiti da una comunità e si limitano perciò a una difesa del patrimonio culturale esistente che ne ostacola e spesso ne impedisce una possibile valorizzazione, attraverso l’imposizione di vincoli burocratici a una maggiore e migliore fruizione.

Si affronta poi la questione dei fondi pubblici, proponendo la totale eliminazione dei contributi statali automatici a enti, musei, pinacoteche e istituzioni culturali varie, ipotizzando invece un meccanismo per cui i contributi vengano destinati in proporzione a quanto ogni ente riesce a reperire “sul mercato” attraverso il coinvolgimento dei privati nella gestione, arrivando così a premiare il successo riscosso presso i cittadini che decidono liberamente di pagare per poter fruire di quell’opera.

L’autore introduce insomma ragionamenti che valorizzano il mercato, il profitto, il guadagno e l’imprenditoria in un settore come quello dei beni culturali troppo spesso dominato da una asfittica mentalità burocratica che impedisce così di cogliere, da una parte, le possibilità di innovazione nella gestione del nostro immenso patrimonio culturale e, dall’altra, di una vera valorizzazione dell’esistente.

Nella serata sono stati fatti esempi concreti e paradigmatici come quello di Pisa dove nel giro di poche centinaia di metri dalla Torre, monumento visitato ogni anno da circa 3 milioni di persone, ci sono due Musei Nazionali che contengono dei veri capolavori come il Museo di Palazzo Reale e quello di San Matteo che hanno, rispettivamente, 1 e 3 ingressi paganti al giorno, con i quali evidentemente non coprono neanche una minima parte dello stipendio dei molti custodi o del direttore, figurarsi per poter pensare a interventi di valorizzazione innovativa. Questo dimostra plasticamente, ci si passi il gioco di parole, la concezione “museale” del museo che spesso prevale nel nostro paese, nel senso di un’immobilità di un luogo spento, preoccupato solo di garantirsi l’esistenza, disinteressato ad attrarre persone, investimenti e attenzione mediatica, sapendo di poter contare su finanziamenti pubblici indipendenti dal successo nella gestione. Per questo deve essere sempre più chiaro che il problema principale non è quello di avere più fondi pubblici per la cultura o di ottenere  un maggior stanziamento per il Ministero per i Beni Culturali, quanto piuttosto quello di creare dei veri e propri spazi di libertà nella gestione e nello sviluppo del nostro patrimonio storico-artistico che in questo modo verrà non solo tutelato ma anche rigenerato.

Bisogna quindi rendersi conto che non basta il volontariato benemerito di molte persone che dedicano il loro tempo gratuitamente per tenere aperte molte piccole realtà museali. Non è neanche sufficiente il mecenatismo di benestanti benefattori che donano fondi privati per i musei più importanti,. La soluzione è quella di arrivare a comprendere, nei fatti e non solo con gli slogan, che davvero “di patrimonio potremmo vivere”, che nei musei si può fare profitto, dando così lavoro ai giovani. Serve la possibilità di fare guadagni nell’ambito culturale superando la sterile denuncia della “mercificazione” della cultura che, paradossalmente, dovrebbe solo essere auspicata perché in questo modo ci sarebbe spazio per le energie innovative di persone che avrebbero incentivi a valorizzare i siti guadagnandoci. Per fare questo però bisogna cambiare le leggi e superare il Codice dei Beni Culturali e Nannipieri in questo senso il suo contributo l’ha dato, essendo infatti l’autore di una proposta di legge che giace in Parlamento.

Insomma crediamo di aver contribuito a rompere un altro tabù, presentando una visione realmente liberale nel campo della gestione del patrimonio artistico-culturale e portando in città un autore di cui sentiremo molto parlare in futuro.

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