Il comunismo come droga delle coscienze nell’analisi di Raymond Aron

Lodi Liberale ha presentato, lunedì primo febbraio scorso, durante il nostro centoquindicesimo evento, il libro di Raymond Aron “L’oppio degli intellettuali”. Erano presenti Angelo Panebianco, saggista e Professore di Sistemi Internazionali Comparati presso l’Università di Bologna, Piero Craveri, Storico e Professore Emerito di Storia Contemporanea presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli e Alessandro Campi, Professore di Storia delle Dottrine Politiche presso l’Università di Perugia.

Si trattava della presentazione del nostro settimo classico, e questa volta abbiamo voluto incentrarci sia su un’opera che, pur così rilevante, non è  stata adeguatamente tenuta sempre in considerazione sia su un Autore tanto significativo quanto poco seguito nel nostro Paese. E questo a dispetto della grande acutezza delle sue analisi, confermate, peraltro, anche dagli sviluppi storici successivi. 

L’opera fu pubblicata nel 1955, in piena Guerra Fredda, cioè in un periodo di esaspera-ta contrapposizione ideologica e militare tra i due blocchi in cui era diviso il pianeta. L’Occidente libero e democratico, costituzionale e parlamentare, proprio in quanto tale, consentì’ soprattutto in Europa, che al proprio interno potessero esservi partiti che si richiamavano all’obbedienza verso Mosca. Allo stesso modo, le istanze di libertà espressiva contenute nelle istituzioni occidentali tutelavano la presenza di intellettuali che parteggiavano apertamente per il comunismo, l’estrema sinistra ed, in un senso più propriamente legato al conflitto in atto, per i nemici della nostra coalizione. Detta presenza non aveva un adeguato corrispettivo nel campo opposto, dominato, piuttosto, dalla repressione del dissenso e dalla presenza di un Partito unico, di un’unica ideologia e di spietato e brutale controllo su ogni aspetto della vita di ogni individuo, a partire dalle relazioni umane per arrivare alla soppressione della proprietà privata in nome della collettivizzazione dei mezzi di produzione. È bene ricordare, in un’epoca che sembra a volte dimenticarlo, quali fossero i contesti, vale a dire un mondo perfettibile ed aperto da una parte ed un universo dispotico e chiuso dall’altra. Nel mezzo dell’Occidente, partiti ed intellettuali palesemente schierati a favore della sovietizzazione, del congiungimento con un “paradiso” d’oltre Cortina di ferro rivelatosi, con il tempo, un orribile inferno. È dunque in un clima minoritario (in particolare modo nel suo Paese (la Francia) che emerge la denuncia ed insieme la critica effettuata da Raymond Aron con questo libro corrosivo. Assommando, infatti, le sue numerose competenze, Aron, infatti, porta a compimento in quest’opera un duplice obiettivo, ossia da un lato la demolizione dei miti della sinistra (dal concetto stesso di sinistra al mito della rivoluzione fino a quello di proletariato) e da un altro la denuncia dei molti errori degli uomini di cultura, alienati dalla loro ideologia, da una ben precisa visione della storia, dall’illusione di possedere una religione immanente, totalizzante ed intollerante delle altre visioni del mondo.

Leggere “L’oppio degli intellettuali” non è compito agevole, e per molti motivi. Siamo condotti, infatti, nelle vaste pieghe dell’erudizione dell’Autore, filosofo, sociologo, storico, esperto delle relazioni internazionali oltre che di dottrine strategico-militari, e di molto altro ancora; e lo siamo in un viaggio che proprio per la ricchezza delle informazioni e delle angolazioni offerte rischia di disorientarci come all’interno di un caleidoscopio. Ma si tratta di un disorientamento solo apparente, visto che il lettore viene sempre ricondotto all’interno di un percorso preciso, chiaro, evidente. E visto soprattutto che la ricchezza di prospettive ci viene talora in aiuto per fornire un angolo visuale ulteriore, un piano differente per comprendere meglio.

Ci possono aiutare in tal senso le due citazioni che fungono da esergo alla Prefazione, una relativa al celebre passo di Karl Marx in cui si afferma che “La religione […] è l’oppio del popolo” e l’altra, di Simon Weil, che omologa proprio il marxismo ad una religione dal senso impuro, inferiore, e proprio per questo usato come “oppio del popolo”. L’ideologia marxista (e per estensione tutta la visione del mondo della sinistra estrema e più in generale del comunismo, dalle incarnazioni sovietiche a quelle maoiste) è oppio, narcosi, ottundimento dei popoli. Essa incarna questa funzione principale, propalata da una schiera di esponenti della cultura protesi verso l’inganno e la mistificazione. Si serve di categorie del tutto infondate, come pure di una volontà di dominio e di asservimento delle coscienze. Pretende di possedere la verità, oltre che il senso della storia. Il comunismo, attraverso i suoi corifei, ha volutamente vanificato la libertà di ricerca, di dibattito, di critica con la stessa protervia, inconsistente, con la quale l’economia pianificata ha preteso di sostituirsi al libero mercato e con gli stessi spaventosi esiti con i quali lo Stato socialista collettivista ha calpestato gli individui.

Molte riflessioni possono essere compiute sulle grandi opere quando queste travalicano il contingente per diventare dei classici. Nel caso di questo ricchissimo saggio (e sia detto ancora con grande chiarezza, tanto coraggioso quanto da sempre osteggiato), non si sbaglia affermando che fra i suoi grandi meriti ci sia sicuramente quello di recare in sè una tale ricchezza di spunti da poter generare dalla proprio stesso interno altre opere. Sarebbe oltremodo un notevole successo se dalla sua lettura si potesse trarre anche solo una fra le tante lezioni in essa contenute.

Commenta l'articolo

commenti