La complessità della società: Bernard de Mandeville

Lunedì  15 marzo 2021, in occasione del nostro centoventunesimo evento, abbiamo presentato “La favola delle api” di Bernard de Mandeville. Erano con noi ad illustrarne i molti aspetti di rilievo Raimondo Cubeddu, professore di Filosofia politica presso l’Universita’ di Pisa, Paolo Luca Bernardini, professore di Storia moderna presso l’Universita’ degli Studi dell’Insubria e Daniele Francesconi, direttore di Festivalfilosofia di Carpi, Modena e Sassuolo.

Il libro rappresenta un grande classico che, dalla sua prima formulazione in apologo burlesco di 433 versi dal titolo “L’alveare scontento, ovvero i bricconi fatti onesti” del 1705 e passando attraverso varie edizioni, giunge alla sua redazione più compiuta nel 1732, assumendo, fin dal 1714, il titolo con il quale oggi è conosciuto, ossia “La favola delle api”.

Allo stesso modo, sarà con una sintesi di notevole fortuna (eppure molto da analizzare per essere adeguatamente compresa) che l’opera verrà accompagnata dal motto esplicativo “Vizi privati benefici pubblici”.

Cominciamo con il dire che siamo di fronte ad uno scritto che, per esplicito intento del suo Autore, si stratifica nel corso del tempo e che  nel corso del tempo cambia, assommando nuovi elementi o trasvalutando il senso di altri. Eviteremo di riassumerne analiticamente la storia testuale e ci limiteremo ad alcune considerazioni che, ci auguriamo, possano indurre a leggere quest’opera, tanto importante tanto quanto poco nota, apprezzandone tutta l’originalità. Bernard de Mandeville immagina un alveare ricco, opulento, potente, dispensatore di lavoro e benessere per tutti, ma immorale, vizioso, peccaminoso. Proprio in quanto immorale, vizioso e peccaminoso in tutti i suoi atti, detto alveare – immagine metaforica dell’Inghilterra dei suoi tempi, ossia del primo trentennio del XVIII secolo – è ricco, opulento, potente e pieno di benessere per tutti. Nel momento in cui le api, ravvedendosi dei loro comportamenti fin lì tenuti, chiedono a Giove di far ritornare la moralità e la virtù, l’alveare inizia una precipitosa rovina, che lo porta alla fine della ricchezza, del lavoro per tutti, del benessere. La stessa sopravvivenza dell’alveare viene fortemente minacciata, con il rapido declino sia del numero delle api che della potenza difensiva, tanto da essere attaccato da sciami bellicosi e da salvarsi a stento, accettando un drastico ridimensionamento nel cavo di un albero. 

Mandeville, con un linguaggio sublime per ironia e tono satirico, con questo apologo ci suggerisce in modo solo apparentemente scherzoso alcune tematiche su cui – profondamente – riflettere, e cioè, tanto per cominciare, che vizio e peccato possono portare a vantaggi per tutti, a conseguenze positive per la comunità nel suo insieme.

Inoltre, mentre si può istituire un rapporto di proporzione inversa tra virtù e benessere, così come si può istituire allo stesso modo un rapporto di proporzione diretta tra vizio (peccato, interesse personale, ricerca del lusso, etc) e prosperità economica generale oltre che difesa militare assicurata.

La narrazione ci mostra come il desiderio di essere (o tornare) morigerati conduce a gravissimi danni per i singoli e per la comunità nel suo insieme. Sarà solo grazie a grandissimi sforzi, oltre che ad ingenti perdite, che verrà assicurata la sopravvivenza, sebbene al prezzo della fine di ogni agiatezza.

Uno dei messaggi sovversivi che sembrano promanare da questo scritto dal fascino incontestabile è che grandezza e ricchezza (potremmo dire benessere, lavoro per tutti, società armonica nella sua grande differenza) devono poter contare sulla presenza del vizio, del peccato, della volontà di perseguire i propri interessi personali e le proprie passioni. Fu indubitabilmente questo uno dei motivi che resero Mandeville un autore “scandaloso”, capace di attirare gli strali dei tradizionalisti come dei benpensanti senza che ne riuscissero, nella maggior parte dei casi, a comprenderne pienamente il peso e la portata delle sue intuizioni. Del resto, Mandeville ebbe una formazione scientifica, medica, in particolare, ed i suoi scritti mostrano tutti una formidabile capacità di introspezione psicologica nelle più riposte ed insospettate pieghe dell’animo umano.

Egli ebbe la capacità di rendere visibili e manifeste talune inclinazioni della natura umana, di illuminare taluni atteggiamenti e determinate attitudini e di mostrarle con l’attenzione dell’anatomista per far comprendere come anche dalle componenti ritenute più basse e turpi la società potesse trarne incommensurabili giovamenti.

Certo, non è esclusivamente da dette componenti che possiamo trarne i “pubblici benefici” di cui si parlava sopra, ma sicuramente l’aver posto l’accento su di essi e sulla loro funzione ha avuto l’effetto di indurre al pensare come le dinamiche sociali ed economiche siano sicuramente più complesse rispetto a quanto fino ad allora si credeva. Se “L’alveare scontento” porta in nuce le coordinate entro cui situare anche il prosieguo del pensiero mandevilliano, ciò non di meno sarà dai contributi successivi che emergerà una compiuta teoria dell’origine della società oltre che il suo tentativo di comprensione. La socialità, per esempio, verrà fatta derivare dalla molteplicità dei bisogni umani oltre che dai loro appetiti. Le passioni, inoltre, sono centralissime nel dispiegarsi della socialità, secondo Mandeville, ed esse sono correlate fra loro, al punto da stare alla base del commercio, del lusso, della piena occupazione, del benessere diffuso e della crescita economica.

Tutte le parti de “La Favola delle api” e tutte le successive edizioni evidenziano una compenetrazione di tematiche “eversive” e linguaggio satirico-sarcastico, in una osmosi felicissima e molto personale, che non sacrifica la serietà delle argomentazioni e, soprattutto, la fecondità degli spunti per tutti quei pensatori – e furono molti – che vollero raccoglierli (e che, magari, non furono disposti a riconoscere in Mandeville la loro origine). Le più recenti e serie ricerche su tutti questi contributi presenti nell’opera hanno evidenziato un universo ricchissimo, dove accanto a stilemi letterari pungenti e articolati (con uso sapiente dei toni paradossali e volutamente anti-classici) sono presenti parti teoriche di estremo valore, idee ed osservazioni intorno alla natura umana di intatto interesse. Esse seppero colpire i suoi contemporanei, la generazione dei grandi Illuministi Scozzesi e francesi e gli ultimi cento anni fino a noi, che si connotano come una vera e propria riscoperta di questo pensatore e delle moltissime prospettive visuali che offre. Spesso, sull’onda del l’entusiasmo che la lettura di quest’opera talvolta induce, alcuni intesero spingersi in anacronismi da cui ci si deve guardare. È tuttavia innegabile che la lettura di questo filosofo sociale abbia saputo offrirci un’interpretazione dell’avvento della società civile e commerciale attraverso i suoi (molti) benefici ed i suoi (pochi) svantaggi, ma essa ha saputo descriverla con uno sguardo lucido ed originale.

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