Le regole a favore degli individui e delle loro sfere di attività

Lunedì 11 aprile abbiamo presentato il libro di Stefano Moroni “Libertà e innovazione nella città sostenibile” insieme all’autore (Professore di Etica e Diritto del Territorio presso il Politecnico di Milano) a e Claudio De Albertis (Presidente dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili). Il filo conduttore del volume si può sintetizzare con queste parole dell’autore: «Le regole non devono e non possono determinare tutte le soluzioni; possono piuttosto – definendo più chiaramente e stabilmente sfere individuali protette e vietando solo esternalità negative specifiche – creare le opportunità perché individui e gruppi cerchino soluzioni contestualizzate». Naturalmente sotto accusa non è “la regola in se stessa e per se stessa”, ma l’abuso che ne viene fatto dalla classe politica e dall’apparato burocratico a livello nazionale, regionale e locale. Si tratta di un fenomeno che, per portata ed implicazioni, ha finito col generare un vero e proprio “bizantinismo di sistema” ormai consolidato e che produce come effetto sistemico primario lo “spreco” di energie umane. Infatti, ci si affida ancora a una concezione “meccanicistica delle regole”, per cui una norma deve essere pensata per risolvere ogni singolo e particolare problema direttamente, piuttosto che fornire una coerente visione d’insieme. Regole e burocrazia costituiscono una sorta di barriera: vincoli e obblighi pubblici che, senza reali vantaggi, introducono limitazioni alle azioni individuali. In particolare le regole urbanistiche ed edilizie sono troppe e provengono da troppe fonti. L’uso di suoli ed edifici è soggetto a regolamenti edilizi locali, provinciali, regionali, piani urbanistici e piani di settore: Numerosissime norme che entrano spesso in contrasto tra loro, specialmente regolamenti edilizi e piani regolatori. La soluzione proposta di Moroni è di ridurre localmente gli strumenti urbanistici ed edilizi, introducendo un unico “Codice Urbano” che contenga tutte le regole (come accade in città all’avanguardia come l’olandese Almere che ha 5 regole edilizie scritte in un’unica pagina). In Italia la drastica diversità di norme da comune a comune rappresenta un ostacolo alla creazione di un mercato efficiente poiché non vi è concorrenza fra aziende di diverse località, essendo ciascuna specializzata nel conformarsi alle regole locali. Non solo le regole provengono da enti diversi e sono in contrasto l’una con l’altra, ma sono anche altamente instabili, poiché modificabili da maggioranze semplici.

Un altro grave problema delle normative edilizie è il dettaglio delle norme che è eccessivo e impossibile da definire in modo ragionevole a priori. Secondo Moroni le prescrizioni urbanistiche, anziché riguardare in modo dettagliato “gli usi” degli edifici, dovrebbero normare “gli effetti”, ovvero quali esternalità negative un edificio o un uso dell’edificio non deve produrre, indipendentemente da quello che all’interno vi accade. Oggi troppi sono i vincoli al “cambiamento degli usi”, che costituisce la vera vita di una città. Tutto ciò porta a procedure burocratiche asfissianti e le conseguenze sono un elevato costo pubblico, per gli uffici tecnici, ed elevati costi privati, per permessi edilizi e conformità alle regole che obbligano a soddisfare requisiti futili. Bisognerebbe quindi semplificare le procedure burocratiche, permettendo ogni trasformazione possibile purché rispetti le normative vigenti e non viceversa, ovvero rendendo ogni trasformazione impossibile se non è approvata dall’apparato burocratico. Eventualmente, solo per le trasformazioni più grandi e impattanti, si potrebbe tenere in vita una semplice verifica preventiva di conformità alla normativa esistente, insomma un atto dovuto senza discrezionalità e possibilità di introdurre giudizi. Infatti, troppo spesso le commissioni edilizie non si attengono al semplice ruolo di organo consultivo, ma provvedono ciascuna a fornire una particolare idea di estetica e funzionalità in maniera totalmente indipendente dalla normativa preesistente.

Gli eccessivi vincoli alla libertà di azione hanno progressivamente eroso gli spazi di sperimentazione, sia rispetto alla risoluzione di problemi che alla progettazione di opportunità, e portato ad una rincorsa sistematica alla codifica di prassi e soluzioni standardizzate che hanno prodotto un continuo irrigidimento degli apparati burocratici e degli interlocutori politici, sempre meno propensi ad assumere decisioni. Dal punto di vista urbanistico-edilizio questo approccio conduce, almeno nelle intenzioni, ad un modello insediativo e abitativo tranquillizzante (in quanto noto), ma, proprio per questo, la sua staticità come “prodotto” contiene forme “omologate” di errori e rigidità che impediscono allo stesso – per propria natura dinamico, in quanto fondato su rapporti tra persone e su movimentazione di cose, conoscenze e competenze – di migliorare ed evolversi assecondando le esigenze e le aspettative della popolazione.

Aprendo ad una lettura antropologica, è assolutamente contestabile il preconcetto secondo cui una regola possa salvare l’essere umano da sé stesso, sostituendosi al buon senso o al rispetto, o possa costruire sistemi di relazioni in grado di sollevare l’individuo dalle responsabilità civili e morali ad esso riservate. La città e il territorio sono luoghi fatti di persone ed interazioni, di rapporti socio-economici, di individui e di idee “in movimento”. Nell’ambito di questa cornice, troppo spesso data per scontata, l’autore evidenzia come “Ci preoccupiamo molto (e giustamente) del consumo di “risorse naturali”, ma assai meno del crescente e indesiderabile consumo di “energia umana” (ossia, della distruzione di slanci, passioni, talenti, capacità e speranze degli individui)”.

Dunque, l’obiettivo di fondo portato avanti dalla trattazione è quello di stimolare il lettore ad “immaginare se e come sia possibile” arrivare a “ridurre lo spreco di energie umane”, semplificando non tanto “il peso” – ovvero l’autorevolezza – delle norme, ma piuttosto riducendone la numerosità – sia in termini di “ridondanza”, che di “scala” (ovvero la stratificazione e il livello di dettaglio). In questo modo l’autore intravede la possibilità che la creatività dell’individuo o di gruppi di individui (unita ad una contestuale e consapevole assunzione di responsabilità) possa arrivare a proporre e realizzare nuovi modelli insediativi, maggiormente sostenibili non solo a livello ambientale, ma anche economico e sociologico. Tutte cose che ad un liberale sembrano assolutamente scontate e che vengono suffragate dalla esemplare chiarezza espositiva dell’autore.

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