Holodomor, un genocidio comunista

Lunedì 20 novembre abbiamo presentato, in occasione delle serate dedicate ai classici della riflessione intorno alla libertà, una ricostruzione storica di grande valore e di immenso interesse, vale a dire il libro di Robert Conquest “Raccolto di dolore. Collettivizzazione sovietica e carestia terroristica”. Erano con noi, Federico Argentieri, professore di Scienze politiche presso la John Cabot University, Marco Clementi, professore di Storia delle relazioni internazionali presso l’Università della Calabria e Dario Fertilio, giornalista e scrittore. Questo libro è stato l’artefice principale del disvelamento di una delle pagine più tragiche e spaventose della storia del XX secolo, ossia la rivelazione del genocidio perpetrato scientemente da Stalin e dagli apparati del Partito Comunista sovietico (PCUS) ai danni di uomini, donne, vecchi e bambini del territorio ucraino (anche se non solo) negli anni che culminano con il biennio 1932-1933. La principale responsabilità di milioni di morti, di devastazioni, deportazioni e di una carestia pianificata a tavolino è da ascriversi, senza alcuna ombra di dubbio, all’allora capo supremo dell’Unione Sovietica Iosif Stalin, come pure a tutta la struttura del Partito Comunista che a lui obbediva ciecamente. Per fornire un brutale dato, al fine di far comprendere anche solo lontanamente ciò di cui si sta parlando : l’Holodomor , il nome con cui si caratterizza un periodo dove l’oppressore comunista sovietico intese affamare mediante carestia un territorio ritenuto avverso alle direttive della politica economica pianificata, ha generato più morti di quanti ne siano stati numerati durante tutta la Prima Guerra mondiale, presso tutti i combattenti ed i civili coinvolti ! La determinazione precisa delle vittime non è, di fatto, ancora possibile a livello definitivo, ma quello che è certo è che ci fu un genocidio in un ben preciso momento, che esso fu pensato in maniera sistematica, che di esso sono irrefutabilmente responsabili alcuni ben precisi individui ed un ben preciso sistema ideologico-politico, e che questo sterminio interessò un’area ben precisa (l’Ucraina e molte altre terre cosacche a est, anche di altre nazionalità) oltre ad essere orientato sia verso la classe contadina che verso la nazione ucraina. Gli avvenimenti, come detto, si compirono novant’anni fa, mentre il libro fu scritto circa cinquant’anni dopo, contribuendo a squarciare un velo di silenzi e connivenze che interessarono, e per certi versi interessano ancora, anche l’Occidente. Sono due le fasi degli avvenimenti, fasi della cui minuziosa ricostruzione si occupa l’opera : una prima fase, indicativamente occupante il triennio 1929-1932, dove l’attacco contro i contadini assunse le caratteristiche della soppressione e della deportazione di milioni di individui per raggiungere l’obiettivo della collettivizzazione, ossia dell’abolizione della proprietà privata e della concentrazione dei contadini sopravvissuti in aziende agricole controllate dal partito comunista. Nella seconda fase, che rappresenta il vero e proprio fuoco del libro, il periodo considerato sono i due anni 1932-1933 ed in essi vengono presi in esame gli atti di carestia indotta, di affamamento forzato, di quote impossibili da sostenere, di requisizione dei generi alimentari, di isolamento provocato rispetto al resto del mondo, di attacchi alla cultura, all’identità e alle chiese in tutto un vastissimo territorio che andava dall’Ucraina al Kuban, dalle regioni del Don fino a quelle del Volga, dalle nazioni che solo tre anni prima contavano su quaranta milioni di abitanti e che, al termine di tutto, si trasformò in un gulag a cielo aperto. Quello che avvenne fu difficilmente descrivibile : si giunse a frequenti episodi di cannibalismo ed effettivamente si può legittimamente dire che questo libro parla di uomini e donne condannate a morire di fame, di inedia, di stenti e delle peggiori privazioni a causa dell’odio provato nei loro confronti per il fatto di essere contadini, proprietari, di diversa etnia ed ostacolo sulla strada di una politica economica. Questo conflitto ha sempre agitato questo lato dell’Europa orientale e oggi lo vediamo riproposto in forme che, sebbene non identiche, ne ripercorrono le strutture. Come pure, sebbene con caratteristiche proprie e modulate sui contesti precedenti, detto conflitto era stato visibile fin dai primordi della Rivoluzione Bolscevica, assumendo i toni del contrasto tra la Russia, il suo imperialismo egemone, e le altre nazionalità della galassia ex sovietica, con le loro storie, le loro lingue, le loro identità. A ben voler vedere, questa dialettica prosegue dai tempi dell’Impero zarista ed ha assunto varie connotazioni, configurandosi, tuttavia, come lo scontro tra un centralismo soverchiatore di tipo dittatoriale, marchiato con i colori insanguinati dell’ideologia, e le istanze insopprimibili delle singole nazionalità. Sarebbe di grande valore se, dalla lettura di questo libro, si sapesse cogliere, fra le altre, la lezione di libertà e autonomia che vanno sempre lasciate a tutte le entità che le desiderano.

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