L’antisionismo come nuova versione dell’antisemitismo

Con Maledetto Israele, pubblicato dalla casa editrice Liberilibri di Macerata, Niram Ferretti – scrittore, saggista e tra le voci più lucide dell’ebraismo italiano – firma un libro che si colloca nel solco della migliore tradizione civile europea: un’analisi rigorosa, colta e coraggiosa dell’odio antiebraico nella sua forma contemporanea, l’antisionismo militante. Il titolo è volutamente provocatorio: non è un’accusa, ma la constatazione di una condizione storica, del “maledetto” che la cultura occidentale continua a proiettare sugli ebrei e, oggi, sullo Stato di Israele. Ferretti mostra con finezza come il bersaglio sia mutato, ma il meccanismo sia rimasto lo stesso. La demonizzazione dell’ebreo come individuo si è trasformata nella demonizzazione dell’ebreo collettivo: Israele. Al posto del deicidio, la colonizzazione; al posto dell’usura, l’apartheid; al posto della “questione ebraica”, la Palestina. Cambiano le parole, non l’impianto mentale. L’antisemitismo non scompare: cambia pelle, linguaggio, strumenti. È questa la tesi forte e scomoda del libro. Il merito di Ferretti è di non limitarsi alla denuncia morale, ma di documentare con precisione quasi filologica il modo in cui Israele è diventato l’epicentro di una narrazione distorta. Il saggio attraversa università, ONG, media, diplomazie internazionali, social network, movimenti identitari. Ovunque, spiega l’autore, opera la stessa dinamica: Israele non viene giudicato per ciò che fa, ma per ciò che rappresenta. Non è più uno Stato reale con problemi reali: è un simbolo negativo, una proiezione ideologica, una metafora del male. Il libro ricostruisce episodi, dichiarazioni, risoluzioni ONU, campagne mediatiche. Mostra come perfino fatti documentati vengano manipolati per alimentare un pregiudizio antico: l’idea che tutto ciò che riguarda gli ebrei debba essere letto alla luce di una colpa originaria. Ferretti non concede attenuanti: l’antisionismo contemporaneo è l’ultima reincarnazione dell’antisemitismo europeo. Lo stile di Ferretti è asciutto, quasi chirurgico. Ogni capitolo si apre con un fatto, una citazione, un evento che diviene esempio di un meccanismo più profondo. La scrittura resta sempre elegante, mai risentita, attraverso la chiarezza argomentativa, il rifiuto del sensazionalismo, la difesa della razionalità contro il dogma. La prospettiva del libro è profondamente liberale. Ferretti difende Israele non come mito, ma come democrazia liberale, unica della regione, con stampa pluralista, magistratura indipendente, diritti civili protetti e un dibattito interno vivacissimo. È questo, paradossalmente, che più irrita i suoi detrattori. Israele dimostra che libertà, responsabilità, sovranità e identità nazionale possono convivere; ed è proprio questa convivenza a essere inaccettabile per chi sogna modelli rivoluzionari o teocratici. Ferretti denuncia, inoltre, un fenomeno inquietante: la crescente convergenza tra estremismi opposti – islamismo radicale, neo-marxismo accademico, populismo identitario – uniti dalla comune ossessione anti-israeliana. La figura dell’ebreo torna così al centro dell’immaginario politico occidentale, non per ciò che è, ma per ciò che permette di dire: che il mondo sarebbe migliore se un certo ordine liberale non esistesse più. Le pagine finali sono tra le più potenti. Ferretti avverte che l’odio antiebraico non è mai un fenomeno isolato: è un indicatore della salute morale di una società. Quando l’antisemitismo cresce, la libertà arretra. Quando Israele viene demonizzato, l’Occidente rinnega sé stesso. Difendere Israele, scrive l’autore, non significa aderire a un partito, ma difendere la civiltà della libertà, quella che ha posto l’individuo, la legge e la dignità umana al centro della vita pubblica. Maledetto Israele è un libro necessario, perché racconta la verità in un tempo di menzogne sicure, e perché ricorda che la libertà – come l’antisemitismo – non riguarda mai un solo popolo. Riguarda tutti noi.

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