Liberalismo e cattolicesimo non sono incompatibili

Lo scorso mercoledì 22 Gennaio abbiamo presentato il libro “Istituzioni, persona e mercato” di Flavio Felice, professore di Dottrine Economiche e Politiche alla Pontificia Università Lateranense, insieme all’autore e al direttore del Cittadino Ferruccio Pallavera.

Il libro analizza ed espone la teoria economica liberale in una prospettiva cattolica, sottolineando non solo la compatibilità fra liberalismo e Dottrina Sociale della Chiesa, ma anzi affermando l’esistenza di un legame reciproco: una società cattolica non può che giovarsi di quel sistema economico liberale che Felice chiama “economia sociale di mercato” e che, a detta dell’autore, si è storicamente sviluppato ispirandosi al principio di sussidiarietà del moderno Magistero sociale della Chiesa. L’”economia sociale di mercato” descritta dal professore nel volume si distingue dal classico laissez-faire, perché prevede una regolazione statale e può anche ammettere manovre redistributive, ma il termine “sociale” non è da interpretare come una propensione a intervenire nel settore del welfare da parte dello Stato; è invece la libera concorrenza stessa a svolgere un “compito sociale”, prestando un servizio nei confronti della persona umana. Infatti Felice, citando l’ex cancelliere tedesco Erhard, afferma che i concetti di “libero” e di “sociale” coincidono: quanto più libera è l’economia, tanto più è anche sociale. Il liberalismo sarebbe non solo il sistema economicamente più efficiente, ma anche quello in grado di garantire la pace e la concordia, se non addirittura di “riparare” ai “mali morali” causati da un “male economico”, come sosteneva un autore come Melchiorre Delfico, figura di spicco dell’illuminismo napoletano a cui è dedicato il terzo capitolo del libro. Delfico, le cui intuizioni economiche anticipano idee esposte da Hayek o Mises due secoli più tardi, ebbe il grande merito di saper fornire una documentazione molto particolareggiata e risposte concrete, in chiave liberale, a problemi fondamentali della sua epoca. Era sostenitore di un “liberalismo delle regole”, ovvero riteneva che il mercato necessiti delle istituzioni per funzionare poiché incertezza delle regole, frodi e abusi sono un ostacolo alla libera circolazione dei beni. Insomma l’intervento dello Stato non solo è concesso, ma è anche necessario, proprio per la sopravvivenza stessa della libera concorrenza. Rimanendo sulla linea di Delfico, nel primo capitolo del libro Felice definisce le linee teoretiche fondamentali della propria concezione di “economia sociale di mercato”, espressione coniata dall’economista tedesco Alfred Müller-Armack. Qui si sottolinea che la libera concorrenza, “se da un lato presuppone l’uguaglianza delle opportunità, dall’altra non garantisce, anzi implica l’ineguaglianza degli esiti”, il che non necessariamente è un difetto. Ogni intervento statale rischia di snaturare l’anima liberale dell’economia sociale di mercato, perciò ogni intervento nel settore del welfare deve essere “conforme” al mercato (preservare dunque il meccanismo dei prezzi) e attuarsi in chiave sussidiaria, cioè solo laddove effettivamente la libera iniziativa dei privati non sia in grado di assicurare risposte adeguate ai bisogni delle persone.

Nel secondo capitolo Felice affronta la critica cattolica antiliberale di Amintore Fanfani, contrapponendolo a Luigi Einaudi e Passerin d’Entrèves, ma anche ai grandi classici della scuola austriaca Mises, Menger e Rothbard. Qui l’autore scardina l’idea che liberalismo e cattolicesimo siano incompatibili per via del presunto legame fra un’etica edonista (carica di valenze negative) e il capitalismo, inteso unicamente come “mezzo all’illimitato soddisfacimento individualistico e utilitaristico di tutti i possibili bisogni umani” (Fanfani). Felice sostiene che l’individualismo e l’idea di self-rationality (soddisfare razionalmente i propri bisogni) non siano concetti morali, ma pura metodologia aprioristica: le leggi formulate dalla scienza economica valgono a priori, indipendentemente dai fini perseguiti e questo è ciò che viene chiamato “individualismo metodologico” della Scuola austriaca.

Nel quarto capitolo Felice analizza la prospettiva federalista e autonomistica, dunque liberale e antistatalista, di don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare Italiano.

Il quinto capitolo presenta una breve analisi comparata fra tre diverse prospettive degli anni ’30 e ’40 del secolo scorso: per l’Inghilterra il Piano Beveridge (1942), per l’Italia il Codice Camaldoli (1943), per la Germania l’ordoliberalismo della Scuola di Friburgo, dalla quale ebbe origine l’idea di “economia sociale di mercato”, durante la crisi della Repubblica di Weimar.

Infine, il sesto e ultimo capitolo mette a confronto la visione economica liberale direttamente con la Dottrina sociale della Chiesa, in particolare con l’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI, dove Flavio Felice ipotizza un’analogia fra la concezione espressa dalla lettera del Santo Padre e il significato ordoliberale di ordinamento: “Il mercato è un sistema relazionale, la cui cifra «civile» è rappresentata in particolar modo dalla capacità dei regolatori di individuare con metodo «cooperativo» (partecipativo-democratico) le procedure che consentano agli operatori del mercato la condivisione delle medesime regole”.

Siamo quindi in presenza di un piccolo gioiello editoriale che contribuisce a far luce sulla perfetta compatibilità tra liberalismo e cattolicesimo.

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