Mercato ed etica, un rapporto da comprendere

Lunedì 5 febbraio abbiamo presentato il libro di Paolo Del Debbio “Più etica nel mercato? L’inganno di un luogo comune e le responsabilità della politica” insieme all’autore e a Giovanni Sallusti.

Nel libro Del Debbio illustra quella che, a suo parere, è l’illusione e la fallacia di un luogo comune ormai conclamato, ossia la pretesa di una maggiore eticità del mercato. Secondo l’autore, infatti, non si può e non si deve chiedere al mercato qualcosa che strutturalmente non può dare: aspetti quali la riduzione delle disuguaglianze, la questione ambientale e la creazione di un sistema di regole sono per definizione precluse al mercato. Secondo l’autore tale questione costituisce una grave problematica del mondo contemporaneo, ma non è nel mercato, bensì altrove che si deve guardare per comprenderne le responsabilità e quindi i rimedi.

Tuttavia, avendo come proprie guide numi tutelari espressamente evocati quali Luigi Einaudi e San Giovanni Paolo II, Del Debbio assume un concetto preciso e ristretto di mercato e invita a non considerare tutto come soggiacente all’ambito del mercato o alla sua logica, poiché la società è più ampia del mercato e comprende fini quali quelli di giustizia, di equità, di solidarietà, di dovere verso i più deboli. Qui starebbe, allora, il problema etico: ci sono bisogni che il mercato non può soddisfare e che, però, vanno necessariamente soddisfatti. Ciò spiega la nascita dell’organismo statuale, delle varie forme in cui si declina, dallo stato nazionale a quello sovranazionale, dagli organismi internazionali agli enti mondiali di regolazione, equilibrio e controllo. Se sorge lo stato come necessità promanante da desideri e bisogni che il mercato non può prevedere, allora si produrranno, a cascata, anche effetti quali il sorgere di un’economia pubblica, nazionale e internazionale. 

Di converso, l’economia di mercato, contrassegnata da concorrenza, efficienza ed equilibrio, deve continuare ad esistere, ma tutelata da uno stato che, vedendo in essa l’unica fonte del proprio sostentamento, deve predisporne le condizioni ideali di svolgimento. Tuttavia, al contempo, esso deve regolamentarne e controllarne ogni fase, al fine di svolgere quella funzione di supremo reggitore ed ideale redistributore.

Assumendo come premessa la necessità di sintetizzare le istanze individuali dei diritti morali soggettivi con quelle dei diritti sociali, Del Debbio delinea una versione per così dire sincretistica di un’etica dei diritti economici e sociali e fa convergere la dimensione della politica a cinque grandi princìpi: persona, libertà e autodeterminazione; proprietà privata; mercato e concorrenza; sussidiarietà; giustizia.

Nel libro quindi si definiscono alcuni casi di applicazione virtuosa di questi princìpi in ambiti specifici: il debito pubblico, il lavoro, il problema urbanistico, la questione ambientale, la finanza e il commercio internazionale, la cooperazione allo sviluppo.

Nonostante l’enunciazione di principi non sempre liberali in senso stretto, il merito del libro sta nel saper presentare questioni controverse e di grande attualità in una panoramica dinamica, toccando temi e opinioni differenti. Significativo, in tale senso, e non a caso, il richiamo pressante alla Dichiarazione del 1948, di cui quest’anno ricorrono i settant’anni dalla divulgazione. Essa viene richiamata come il punto di partenza etico, ed insieme l’approdo di un lungo percorso, da cui ripartire per ridefinire uno scenario simile a quello del Secondo Dopoguerra, caratterizzato da una leadership occidentale che funga da guida attraverso i suoi due principali vettori, gli Stati Uniti e l’Europa.

Tutti coloro che vedono con favore l’aumento del ruolo delle istituzioni statuali non potranno che accogliere con favore questo libro. Viceversa, esso rappresenta, per chi è dubbioso o apertamente contrario a un ulteriore aumento della mano pubblica nelle vite degli individui, un’esplicita testimonianza dello spirito che guida il nostro tempo.

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