Montesquieu, la bellezza di un ingegno profondo

Lunedì cinque febbraio abbiamo presentato, nell’ambito delle serate dedicate ai classici del pensiero liberale e libertario, “Pensieri. Riflessioni. Massime” di Montesquieu. Erano con noi Giovanni Giorgini, professore di Storia delle dottrine politiche presso l’Università di Bologna, Andrea Bitetto, avvocato e Gregorio Fiori Carones, dottorando in Filosofia politica presso l’Università di Torino. Quando si affrontano autori come Montesquieu, ossia autentici riferimenti non solo del liberalismo classico, ma vere e proprie pietre miliari dello sviluppo del pensiero, non si può che essere colti da un senso di grata vertigine. Vertigine che coglie chi approccia la complessità, la vastità e la profondità di un ingegno tanto multiforme quanto capace di dare in fondamentali campi del sapere e del vivere civile un contributo basilare. Una vertigine che, tuttavia, diventa gratitudine per la ricchezza ed il piacere che la lettura di questo formidabile pensatore fornisce a distanza di quasi tre secoli dalle date di composizione dei suoi scritti. Fra questi, oltre al monumentale “Spirito delle Leggi”, opus magnum della produzione dell’Autore bordolese, che abbiamo presentato e recensito in un’altra serata dedicata, alle “Lettere persiane”, alle “Considerazioni sulla grandezza dei Romani”, ci sono molti altri scritti che, in omaggio all’erudizione poliedrica del suo autore, hanno trattato di tematiche anche apparentemente inusuali. Oltre a testimoniare la brillantezza di una preparazione tanto ampia e di una mente tanto acuta, la sua produzione è il segno di un intelletto sempre attento, sempre attivo, sempre originale. In quest’ottica, vanno letti i “Pensieri”, ossia quello che potremmo definire come il cumulo di appunti, tracce ed idee che sarebbero andati, spesso, a fornire la struttura per parti molto riconoscibili delle sue pubblicazioni. Questa sterminata serie di schizzi, riflessioni, massime, intuizioni, brani per elaborazioni future, osservazioni sugli argomenti più disparati si dipanò lungo l’intero arco della produzione di Montesquieu, andando dagli anni Venti del XVIII secolo alla morte, avvenuta nel 1755. Potremmo definire questo vastissimo materiale l’arsenale entro il quale ravvisare la germinazione dei suoi ragionamenti, il grande laboratorio entro il quale la formidabile multidisciplinarietà della sua mente sapeva costruire arguzie, esposizioni del suo sapere, colloqui con gli amati classici latini e greci, dialoghi con filosofi e scrittori, in un caleidoscopio pirotecnico, dove a brillare è il lume della sua intelligenza. A colpire, inoltre, è la forma, quel senso chiaro e preciso per una scrittura intelligibile, lineare, precisa, anch’essa promanazione della sua vastissima conoscenza, a contatto con i migliori modelli retorici, con i sommi esempi letterari, con i più eleganti ed efficaci scrittori della sua immensa biblioteca. Quest’opera può essere definita, dunque, uno scritto ben individuato, con tutte le caratteristiche che normalmente possiede un libro o un contributo così come noi lo conosciamo ? In parte no ed in parte sì, verrebbe da rispondere. In parte no in quanto non ci troviamo palesemente di fronte ad un’opera organicamente costruita e definita secondo modalità di pianificazione interna così come siamo abituati a conoscere (e, quindi, non ci troviamo di fronte ad introduzioni, capitoli, paragrafi etc.). E, tuttavia, in parte sì, perchè in quest’opera pulsa e si avverte fortissima la presenza di Montesquieu, cioè la forza e l’acume di un genio al lavoro. E se le mirabili riflessioni sono espresse sotto una convenzionale ripartizione alfabetica di argomenti, il loro ritmo e la loro bellezza ci impongono, spesso, la sosta, quasi a trasformare l’intuizione in un aforisma da ritenere, riportandolo in un’ideale galleria di citazioni. Il gioco dei rimandi alle opere, allora, può anche non essere il principale sforzo cui impegnarsi, pur nella sua importanza. Infatti, questo laico breviario di saggezza e di osservazione rappresenta uno dei frutti più straordinari di un’epoca straordinaria, luce in un’età di Lumi cui attingere come da un lago senza tempo, sospeso tra i secoli, in una distanza che sembra, a volte (molte più di quelle che sia lecito attendersi), scomparire, per consegnarci intatte e vive quelle che, fortunatamente, possiamo ancora gustare come perle da ammirare. Affrontare Charles Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu significa immergersi in un’esperienza che, per chi sa apprezzare l’arguzia dei contenuti, la rilevanza dei concetti, il fluire della prosa, la finezza con cui i pensieri vengono presentati, una finezza che si è incerti a dire se sia conseguenza o causa del valore della scrittura. Ma questi brani dell’universo Montesquieu non acquistano il loro valore solo dalla loro qualità estetica, ma si pongono di fronte al lettore con la cristallina perentorietà di brevi guide sugli aspetti decisivi della vita associata. Montesquieu fu espertissimo in molte materie, ma è nel campo della filosofia politica e della elaborazione storica e giuridica che fornì i suoi contributi più rilevanti e duraturi, capaci di influenzare i suoi contemporanei e, a vario titolo, tutti coloro che vennero dopo di lui. Questi “Pensieri” ce lo restituiscono in una forma spesso embrionale, ma che non perde nulla – anzi ! – del suo immenso valore.

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