Per promuovere la crescita urge incentivare le liberalizzazioni

Lo scorso 11 dicembre abbiamo presentato l’edizione 2017 dell’Indice delle liberalizzazioni insieme a Franco Debenedetti (Presidente dell’Istituto Bruno Leoni), Pietro Ichino (Professore di Diritto del Lavoro presso l’Università degli Studi di Milano e Senatore della Repubblica) e Paolo Caresana (Presidente di Lodi Export).

Le liberalizzazioni sono il principale strumento di politica economica che un paese come il nostro può utilizzare per promuovere la crescita. Anche nel 2017 l’Istituto Bruno Leoni ha pubblicato l’“Indice delle liberalizzazioni”, come da tradizione ormai decennale. Il posizionamento dell’Italia ha compiuto dei piccoli passi avanti, dovuti al consolidamento di mercati che hanno assistito a un processo, anche normativo, di apertura alla concorrenza. Eppure vi sono ambiti, come il trasporto ferroviario o le poste, dove si potrebbe puntare a obiettivi molto più ambiziosi, mentre in altri, come l’energia, è necessario che le norme vengano attuate senza cedere a tentazioni conservatrici.

L’indice è un paper di ricerca compiuto per settori (carburanti, gas, lavoro, elettricità, poste, telecomunicazioni, televisione, trasporto aereo, trasporto ferroviario e assicurazioni) nell’ambito dei Paesi dell’Unione Europea al fine di stabilire quale sia il grado di liberalizzazione di ognuno, per settore e nel complesso. Fra i principali fattori considerati vi sono il grado di apertura alla concorrenza e la non ingerenza dello Stato e del governo nella vita economica. 

Durante la serata sono stati commentati i risultati della ricerca, in particolare quelli che riguardano il nostro Paese, anche per capire quanto ancora sia lunga la strada da percorrere per arrivare a un autentico mercato libero in Italia e quanto preponderante continui invece ad essere la presenza statale in settori così strategici per la vita economica. L’Italia è il quinto dei paesi più liberalizzati dell’Unione Europea, ma al buon posizionamento in taluni settori (telecomunicazioni, mercato elettrico, servizi audiovisivi e trasporto aereo) fanno da contraltare le pessime posizioni in altri campi, come la distribuzione dei carburanti, mercato del lavoro e trasporto ferroviario.

Il quadro generale non deve quindi indurre ad entusiasmi, in quanto si ravvisano situazioni migliorabili anche nei settori con un posizionamento migliore, con evidenti casi di ingerenza governativa davvero difficili da giustificare: su tutti l’esempio di Alitalia, che presenta proprio la lampante evidenza degli errori originati dall’intromissione statale. Nei settori dal punteggio più basso, poi, si ravvisano pesanti arretratezze e tare normative che si tramutano, per i fruitori finali di questi mercati, in un’offerta insufficiente, ingerenze indebite e inefficienze.

L’intero lavoro, così come i suoi precedenti negli anni scorsi, è sorretto da una convinzione difficilmente confutabile: i paesi i cui settori economici più importanti lasciano spazio a una reale ed effettiva liberalizzazione – con ampi spazi di manovra per ogni agente, nel rispetto di un quadro normativo condiviso e, soprattutto, senza interferenze politico-governative – sono i paesi che presentano ai consumatori, veri sovrani del sistema, le migliori opportunità e una maggiore libertà di scelta.

L’obiettivo liberale non è la concorrenza perfetta (irrealizzabile nei fatti e non auspicabile di principio perché presuppone staticità, assenza di profitto e perciò di innovazione), ma la libera concorrenza, che implica l’esistenza di tre tipi di libertà: la libertà di entrata, la libertà di esercizio e la libertà di uscita. Con la prima espressione si intende ovviamente l’assenza di barriere normative che impediscano la possibilità di libero ingresso in un mercato da parte di nuovi operatori che vogliano sfidare le imprese esistenti proponendo nuovi o migliori prodotti e/o a un prezzo inferiore. La libertà di esercizio significa la totale libertà delle aziende presenti in un mercato nel prendere le proprie decisioni imprenditoriali (prezzo, quantità prodotta, tecnologia utilizzata…). Con libertà di uscita si intende semplicemente che le imprese che in un mercato continuano a perdere perché, evidentemente, non soddisfano le esigenze dei consumatori devono poter essere “libere” di fallire, senza ricevere aiuti statali a spese dei contribuenti, lasciando quindi spazio a concorrenti più efficienti.

L’auspicio è che l’Unione Europea, e conseguentemente anche l’Italia, sappiano comprendere che la ricetta per una politica economica orientata ai cittadini sta proprio nell’abbandono di una pratica statalista e accentratrice, uniformatrice e burocratica, a favore, piuttosto, di un’alternativa che nei fatti si rivela a favore dei cittadini, un’alternativa segnata dalla libertà economica.

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