Pluralità e identità nella società postmoderna

Lo scorso lunedì 11 giugno abbiamo presentato il libro di Sergio Belardinelli, “L’ordine di Babele. Le culture tra pluralismo e identità” insieme all’autore (Professore di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi all’Università di Bologna) e a Raimondo Cubeddu (Professore di Filosofia Politica all’Università di Pisa).

Il volume riporta sei saggi nei quali il sociologo si interroga su argomenti ineludibili, anche se di non agevole approccio. Uno dei suoi grandi meriti sta nel non aver eluso gli interrogativi che il nostro tempo ci pone di fronte e nell’aver avuto il coraggio di fornire numerose risposte stimolanti presentando, al contempo, al lettore una rassegna erudita di una serie di contesti interpretativi di sicuro interesse.

La serata ha vissuto sul commento degli spunti offerti dal libro, che sono molteplici e capaci di elevare il rango della presentazione al livello di confronto filosofico. I convenuti hanno ricavato la netta impressione di un momento di notevole spessore, visto che sono stati toccati in modo originale punti che la banale quotidianità politica e culturale ha cessato di proporre.

Il libro parte dalla consapevolezza della crisi dell’identità europea, una crisi antropologica, prima che economica o materiale. Una crisi che, per l’Autore, è generata dalla chiusura in se stessa che l’Europa si è autoimposta, ostile alla diversità e alla pluralità, ridotte a relativismo o a pericolo. Per rendere esplicita questa posizione, si ricorre all’episodio biblico della torre di Babele, eretta dall’orgoglio degli uomini per “farsi un nome”, ossia per la presunzione di elevarsi al cielo al posto di Dio. Una presunzione che è “peccato”, ossia incapacità di accettare la profonda ricchezza della diversità e “tentare” il pericoloso crinale della lingua unica, del linguaggio omologato, dell’espressione indistinta. In tal senso, la dispersione operata da Dio sarebbe il ripristino dell’ordine, l’armonia nella necessaria pluralità. Gli uomini hanno questo straordinario strumento espressivo che è il linguaggio, da intendersi ben oltre la sua funzione più immediata di comunicazione, bensì come chiave per penetrare il senso dell’esistenza.

La trattazione prosegue analizzando un elemento correlato al linguaggio e di affine importanza, ossia la traduzione. Tradurre è difficile, difficilissimo per alcuni versi e in alcuni contesti. Rendere la pregnanza di una lingua in un’altra presenta talora limiti che sembrano insuperabili. Ma tradurre si può, consegnare il senso di una parola espressa in una lingua in un’altra è fattibile e ci pone al riparo dal “peccato di Babele”

Una riflessione cui senz’altro rimandiamo è quella operata intorno al rapporto tra verità e democrazia: partendo dalla constatazione che nel nostro passato ogni ambito ha subìto conseguenze talora nefaste dalla cosiddetta sacralizzazione della verità, inevitabilmente anche il dialogo tra la verità e la democrazia non ha potuto essere così fecondo come auspicabile visto che, pur appartenendo ad ambiti categoriali differenti, democrazia e verità hanno bisogno dell’ausilio reciproco. Questo rapporto, al netto di squilibri ideologici, serve alla democrazia per validarsi di fronte alla realtà e non in funzione delle procedure, come troppo spesso avviene sotto i nostri occhi.

L’autore riserva un saggio alle funzioni della religione nella società globalizzata nella quale viviamo e lo fa dal punto di vista di uno studioso consapevole sia dell’importanza del sacro nello spazio politico e sociale sia del ruolo che una religione che non voglia esondare dai suoi compiti immanenti deve ricoprire. La crisi europea, infatti, è palesemente intrecciata con la mancanza o l’assenza di un ruolo decisivo da annettere alla religione, ruolo che, nella visione del sociologo Belardinelli, non è da intendersi come confessionale, ma piuttosto deve vedersi come un complesso argine a tutela del senso della verità e della preminenza della dignità dell’uomo. Creare o mantenere un contesto culturale aperto, plurale, con in cima l’idea delle inviolabili dignità e libertà dell’uomo, rappresenterebbe per la religione il grande apporto per questi nostri tempi.

Lasciamo al lettore il piacere, anche giustamente impegnativo, degli ultimi due capitoli aventi come oggetto, rispettivamente, la relazione tra utopia e realismo e il tema dell’ambivalenza della città contemporanea, al fine di recuperare un senso umano all’abitare.

Concludiamo con una citazione che sembra racchiudere il significato del libro: “Se veramente abbiamo a cuore l’ordine di Babele e vogliamo tenerci alla larga dal suo peccato […] occorre che guardiamo ai grandi concetti della tradizione occidentale – Dio, l’universalità, la verità, la dignità di ognuno di noi – da uomini liberi, fiduciosi che la pluralità non è un limite, ma l’unica opportunità che abbiamo per crescere, senza sacralizzare nessuna delle nostre lingue”.

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