Robert Nozick: l’incoercibilità dei diritti individuali e degli ambiti di libertà

Lunedì 20 settembre scorso, in occasione del centoquarantatreesimo evento di Lodi Liberale, abbiamo presentato, nell’ambito della sezione dedicata ai Classici del pensiero liberale e libertario, il libro di Robert Nozick “Anarchia, stato e utopia”. Erano con noi Angelo Maria Petroni, professore di Logica e Filosofia della Scienza presso l’Università La Sapienza di Roma, oltre a Corrado Del Bo’, professore di Filosofia del Diritto presso l’Università degli Studi di Milano e Luigi Marco Bassani, professore di Storia delle Dottrine politiche presso l’Università degli Studi di Milano.

“Quanto stato ci serve?” si chiede (e ci chiede) Nozick nel significativo sottotitolo.

Qual è la dimensione di potere pubblico più consona alla libertà individuali ed ai diritti inalienabili dei singoli? È possibile tracciare un confine, porre una delimitazione, capire quando e come abbia un senso l’organizzazione e la gestione delle pretese dello stato? Sono questi, e molti altri, i temi affrontati nel saggio del filosofo americano, attraverso un’esposizione brillante e frequenti momenti di spassoso humour accademico, intervallato da immagini plastiche e da esemplificazioni che, in taluni casi, sono divenute proverbiali.

Robert Nozick, giova ricordarlo, fu precoce talento accademico nelle più prestigiose università americane, fino alla cattedra conquistata in giovanissima età nella fortezza del sapere accademico statunitense, la prestigiosa università di Harvard. Qui Nozick trova colui che rappresenterà per sempre il suo contraltare, ossia il filosofo John Rawls, allora e anche successivamente fra i più autorevoli filosofi politici della seconda metà del XX secolo.

Rawls aveva fatto uscire nel 1971 un libro divenuto il riferimento fondamentale per ogni discussione in merito al concetto di giustizia ed alla filosofia politica in genere, ossia “Una teoria della giustizia”. Un’opera complessa, di indubbia profondità e dall’elaborazione progressiva nel corso degli anni seguenti, essa si presentò fin da subito come un evento, ma soprattutto come la giustificazione teorica delle democrazie imperniate sul Welfare State. Ora, in questo clima di assenso pressoché unanime (seppur con talune significative eccezioni), in un contesto di crisi economica dell’Occidente e di ripensamento dei valori stessi a fondamento della nostra civiltà, emerge il libro di Robert Nozick, nel 1974. Un libro che scardina il monolite del consenso, che mette in discussione la posizione di Rawls e tutte le teorie a favore di uno stato che non rispetti i diritti individuali. L’opera, pertanto, si fa portatrice di un modello di potere “miniarchico”, ossia una presa di posizione articolata a favore di uno “stato minimo”, che, invece, ponga come assolutamente imprescindibile il rispetto, la tutela e la difesa dei diritti degli individui. Tutta la prima parte del libro, articolato in tre parti, è incentrata sulla giustificazione dello “stato minimo”, cioè di un’organizzazione politica che si limiti strettamente alla protezione contro violenza, furto e frode, oltre che alla tutela dei contratti. Ogni organizzazione politica che vada oltre questi limiti di “stato guardiano notturno” (come avrebbe detto il liberalismo classico ottocentesco) è, secondo Nozick, illegittima e immorale, in quanto esondante sui diritti individuali inviolabili. L’analisi e la critica di tutti i modelli, per così dire, oltre lo “stato minimo” è affrontata nella seconda parte, dove possiamo trovare anche la complessa definizione della posizione dell’Autore di fronte alla teoria di John Rawls. Nella terza parte, intitolata “Una struttura per utopia”, troviamo le riflessioni di Nozick sulla necessità, a suo avviso, di coniugare l’auspicabilita’ della sua proposta di “stato minimo” con la tradizione secolare rappresentata dal pensiero utopico, per far sì che entrambe le istanze si nutrano a vicenda, creando i presupposti per una desiderabilità ed una consequenzialità della proposta politica delineata.

In questa sede non crediamo sia opportuno ne’ adeguato fornire posizioni argomentative ulteriori, che vadano, cioè, al di là di questa generale presentazione. Molto si potrebbe dire, molto è stato detto ed il libro costituisce davvero uno stimolante arsenale per intraprendere un percorso di riflessioni, costellato com’è da una notevole erudizione e da una brillantezza espositiva, oltre che da un linguaggio per lo più chiaro e brillante. 

Ci limitiamo ad alcune considerazioni, estese in un’ottica cara all’associazione, quale quella della tutela dei diritti degli individui e delle libertà personali. Ebbene, questo testo si spende verso un ribaltamento della prospettiva consolidata, tesa a circoscrivere i diritti individuali all’interno di una subalternità rispetto alle esigenze della comunità politica o del potere pubblico. Questo testo si prefigge di capovolgere la consueta gerarchia, a mettere, perciò, al di sopra di tutto i diritti e le libertà dei singoli.

L’approdo allo “stato minimo” come soluzione più giusta ed auspicabile, poi, secondo le conseguenze stesse desunte dall’Autore, non dovrebbe indurre l’autorità politica a far compiere atti al singolo cittadino che egli stesso non approvi direttamente, nemmeno quelli, presuntamente, di superiore livello morale. Inoltre, sempre come implicito corollario allo “stato minimo”, dovremmo poter contare sul fatto che, nuovamente, l’autorità politica (lo stato) non dovrebbe permettersi di proibire alle persone attività in relazione ad un ipotetico bene superiore o in vista della loro protezione. Non è solo il richiamo a questa contingenza contrassegnata dalla pandemia, con tutto ciò che sta comportando, a poterci offrire pensieri collegati a questo libro, ma è, in genere, ad ogni relazione tra le esigenze insopprimibili dell’uomo e della donna, da una parte, e l’azione coercitiva dell’autorità politica, dall’altra,  a costituire un continuo banco di prova sul quale esaminare la nostra quotidianità. Queste istanze, peraltro, fanno parte a pieno titolo del contributo offerto proprio dalla tradizione liberale al dibattito politologico moderno e contemporaneo.

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