Lunedì 17 ottobre abbiamo avuto l’onore di ospitare Vito Tanzi, economista di fama mondiale, per presentare il suo libro “Dal miracolo economico al declino?” insieme all’imprenditore Adriano Teso. Il professor Tanzi, originario di Mola di Puglia, ha svolto tutta la sua formazione, i suoi studi e la sua attività negli Stati Uniti d’America, da cui in seguito è partito per lunghi viaggi ed incarichi di grande responsabilità per il Fondo Monetario Internazionale in tutto il mondo. Ha studiato principalmente le dinamiche della spesa e del debito pubblico, oltre che della tassazione, in molti Paesi e ne ha ricavato un’esperienza pluriennale di ricerca che gli è valsa il riconoscimento della comunità intellettuale internazionale.
Nel 2001 venne nominato, su proposta dell’allora Ministro Giulio Tremonti, sottosegretario all’Economia nel secondo Governo Berlusconi. Tanzi accettò per spirito di servizio e per riconoscenza nei confronti del suo paese d’origine, nella speranza di poter dare un contributo. Purtroppo questa esperienza fu molto deludente e lo portò a rassegnare le dimissioni nel 2003, decidendo di tornare negli Stati Uniti. Di questa parentesi nelle istituzioni politiche, vissuta anche per vedere dall’interno le meccaniche del processo decisionale, si parla in un’estesa e stimolante parte del libro, che è gravida di insegnamenti per l’attualità.
Il professor Tanzi ricorda come davvero sembri quasi irreale il fatto che l’Italia sia stata il teatro di un miracolo economico, di uno scenario con livelli di crescita molto importanti, con molte contraddizioni, sicuramente, eppure tale da consegnarci al gruppo delle potenze industrializzate del mondo. Soprattutto se si tiene presente la fase di progressivo e quasi inarrestabile declino che, a partire dal 1974, vede l’aumento vertiginoso di fattori importantissimi quali la spesa pubblica, la pressione fiscale e il debito pubblico. Un aumento che è stato accompagnato da un dilatarsi delle sfere di azione dello Stato, oltre che da un parallelo, e non casuale, ampliamento dei vari livelli della politica, tanto da tramutare l’Italia in un immenso rompicapo apparentemente irrisolvibile. Il testo richiama anche un fattore ideologico-economico, legato all’affermarsi ormai indiscutibile del “dogma” keynesiano dell’incremento della spesa pubblica quale anticamera dello sviluppo e del benessere. Questo grande paradigma ha potuto usufruire di molte varianti, con riverberi pesantemente presenti anche nella nostra attualità, e soprattutto ha potuto godere della maggior fortuna possibile a dispetto dei suoi risultati.
Nel libro, che è, come recita il sottotitolo “Una diagnosi intima”, sono riportati i rapporti di un autorevole intellettuale italiano sul nostro, e per certi versi anche suo, Paese: dalle visite come consulente del FMI, alle conferenze accademiche, ai suoi viaggi nel Sud natìo. Soprattutto viene riportata, con dovizia di dettagli e con un gusto sottile per l’ironia, la sua biennale esperienza di governo come sottosegretario del Tesoro, dove gli aneddoti che accompagnano il suo cammino si inframezzano con i progressivi dubbi che sorgono sull’effettiva volontà di porre in atto politiche conformi al programma e alle dichiarazioni di voto, fino alle perplessità sulla stessa politica economica del governo, ostacolata nelle riforme da barriere istituzionali tese a rallentare più che ad agevolare.
In Italia domina una burocrazia tentacolare e bizantina che “condiziona” e “soffoca” le riforme. Le leggi sono migliaia, non sono chiare, spesso sono fra loro in conflitto. Manca la certezza del diritto, così come manca una generale, e spesso anche specialistica, conoscenza delle basilari norme di funzionamento dell’economia. L’Italia che ci viene consegnata dal libro è un luogo meraviglioso, ma ai limiti del controllo della spesa pubblica, dove il rispetto delle regole non è prassi comune, mentre lo è il suo calpestìo quotidiano, dove la radicata diversità non è accompagnata da una parallela e auspicabile condotta univoca che rispetti gli ambiti e le competenze.
In breve, l’Italia potrà anche essere nominalmente nel novero delle super potenze industriali del Primo Mondo, ma non lo è effettivamente. E, quel che è più grave, non sembra avere consapevolezza, forza, conoscenza e volontà per invertire la rotta. Ciò che è necessario è proprio questo: la visione incontestabile dello sfacelo dovrebbe indurci ad abbandonare le idee, i comportamenti e le condotte che ci hanno portato fin qui; a seguire, il desiderio di far ripartire i meccanismi che i nostri talenti sono in grado di far funzionare qui come altrove dovrebbe indurre ognuno ad abbracciare la via opposta rispetto a quella battuta finora.
Il relatore ha voluto concludere la serata con una nota di speranza che facciamo nostra: l’esperienza storica ci ha mostrato che il trend negativo può essere ribaltato grazie all’azione energica di leader che credono nella forza del mercato, della competizione e della libertà individuale. La Gran Bretagna di Margaret Thatcher e gli Stati Uniti di Ronald Reagan sono non solo esempi fattivi, ma modelli possibili da seguire. Ed è per questo che, nonostante tutto, continuiamo ad essere positivi sulle sorti del nostro paese, popolato da splendidi individui ed eroici imprenditori che, se non fossero ostacolati da una burocrazia oppressiva e da una tassazione asfissiante, sarebbero in grado di sprigionare una serie di energie innovative capaci di farci ritrovare la strada della crescita economica.