La confutazione del sistema di Marx operata da Eugen von Böhm-Bawerk

Lunedì 17 ottobre scorso, nell’ambito della presentazione dei Classici del pensiero liberale e libertario, l’associazione Lodi Liberale ha presentato “La conclusione del sistema marxiano” di Eugen von Böhm-Bawerk. Erano presenti Raimondo Cubeddu, già professore di Filosofia Politica presso l’Università di Pisa e Senior Fellow dell’Istituto Bruno Leoni, Giovanni Pavanelli, professore di Storia dell’Economia e del Pensiero Economico presso l’Università di Torino e Valerio Filoso, professore di Scienza delle Finanze presso l’Università degli Studi Federico II di Napoli.

Questo saggio risale al 1896 e fin dall’uscita si pose come un contributo di assoluto livello, sia per quanto concerne il valore specifico sia in rapporto, particolarmente, al suo bersaglio polemico, ossia la critica ad ogni pretesa dell’economia marxiana di costruirsi come scienza. Diciamolo subito, a scanso di equivoci e per fornire una sintesi chiara quasi come una sentenza: il contributo di Eugen von Böhm-Bawerk coglie nel segno in ogni ambito nel quale si appunta e rappresenta una critica all’economia di Karl Marx tale per cui l’intero impianto teorico e filosofico del pensatore di Treviri ne escono irrimediabilmente compromessi. E’ bene, tuttavia, precisare che l’intento principale dell’Autore del saggio non è tanto e solo il distruggere Marx e l’intera sua struttura quanto, piuttosto, evidenziare l’importanza, la centralità e la fondatezza della nuova economia della Scuola Austriaca di cui Böhm-Bawerk fu uno dei principali esponenti, ponendosi, dopo il fondatore Carl Menger, a capo della seconda generazione. Non ci si limitava a criticare, tanto per dire, la teoria del valore e del plusvalore di Marx, quanto, piuttosto, si affermava e veniva dimostrata una nuova teoria del valore, quella che era stata generata dalla rivoluzione marginalista e dalla teoria soggettiva.

La dimensione oggettiva e materiale dell’impostazione marxiana veniva smontata con metodo e precisione, non lasciando in piedi nulla. Allo stesso modo, le posizioni relative al saggio medio del profitto ed ai prezzi di produzione venivano rivelate nella loro autentica natura, ossia come infondate ed inconsistenti. Ad un tratto è come se venisse fatto cadere un velo, un drappo dietro il quale si celasse un coacervo di fumisterie ed incompetenza. Ma, soprattutto, sotto il quale fino ad allora aveva potuto stagliarsi una pericolosa mistificazione travestita da scientificità. Il prosieguo della critica non fa che corroborare e rafforzare l’impostazione iniziale: esistono, a livello di ulteriore conferma, diverse contraddizioni interne al sistema marxiano, la principale delle quali è la difficoltà a spiegare la relazione fra valore-lavoro, tempo e guadagno. Più che una difficoltà, mantenendo le categorie marxiane ci si trova di fronte ad una vera e propria impossibilità, che è stata lasciata gravitare in una sorta di limbo intellettivo senza che, probabilmente, ci si sia resi conto della natura della problematica, e non poteva che essere così, viste le caratteristiche spesso poco approfondite delle analisi messe sotto la lente di ingrandimento. Ma con grande equilibrio, Böhm-Bawerk non ritiene che il vero nocciolo della confutazione al sistema marxiano risieda in uno o più auto contraddizioni presenti all’interno, quanto, piuttosto, in una serie di errori inemendabili compiuti in piena consapevolezza, in più riprese e frutto di ben precise coordinate teoriche ed ideologiche. Marx ha mostrato lungo tutta la sua opera, ed in particolare ne “Il capitale”, il suo frutto più ampio (sebbene incompiuto), una serie di errori logici e metodologici marchiani, che tolgono forza, persuasione e peso all’intero suo sistema.

Innanzitutto, pur avendo, in virtù delle sue posizioni sul valore-lavoro, dovuto compiere la scelta verso l’esperienza per avallarle, si è reso presto conto di come proprio l’esperienza si prendesse la briga di respingerle e quindi si è rivolto verso strumenti metodologici di fatto incompatibili, per statuto loro proprio, con la natura delle ipotesi stesse da cui era partito. Marx, qui come altrove, rinuncia ad ogni analisi che possa confutare le sue tesi, le ignora volutamente per evitare di dover ammettere tutte le aporie a cui va incontro il suo castello e, nella pratica, per mantenere in piedi l’impalcatura di carte che ha costruito. Ecco come mai evita con metodo, questa volta sì scientifico, ogni definizione razionale degli argomenti che tratta, scegliendo una posizione preconcetta, ideologica e malferma ad un’indagine obiettiva e seria.

Il saggio termina con la curiosa apologia compita da Sombart per Marx. Prescindendo dal merito di questa difesa specifica, inconsistente tanto quanto la teoria che cerca di salvare, essa può servire come riflessione intorno ad un punto molto importante e che può essere esplicitato in questo modo: come mai la produzione di un pensatore come Marx, che si è rivelata compromessa nelle sue linee guida ed in tutti i suoi capisaldi, ha potuto contare su una fortuna tanto incongrua quanto indubitabile fino, addirittura, ai nostri giorni. Ebbene, sono sicuramente molti i motivi e di essi sarebbe sicuramente stimolante discutere. Basti, in questa sede, dire che la difesa di Marx ed il fascino che sembra esercitare inalterato a dispetto di tutto sembrano nutrirsi proprio del disinteresse verso un’analisi scientifica e rigorosa.

Commenta l'articolo

commenti