L’irresistibile fascino della borghesia: “Straborghese” di Sergio Ricossa

Lunedì 3 marzo 2021, in occasione del nostro centodiciannovesimo evento, abbiamo presentato, nell’ambito relativo ai classici del pensiero liberale,  il libro di Sergio Ricossa “Straborghese”, insieme ad Alberto Mingardi, Nicola Porro e Mario Giordano.

Abbiamo voluto ricordare la figura di Sergio Ricossa, scomparso il 2 marzo 2016, perché è stato un grande e coerente sostenitore della libertà – difesa a proprio rischio e pericolo e nello sprezzo delle conseguenze in termini di disagi personali – e perché ha condotto una meravigliosa esistenza, improntata al rifiuto di ogni compromesso e alla denuncia di tutti i collettivismi. Spesso, con scarsa memoria, si sentono recitare formule vacue che lamentano la mancanza di maestri di libertà intellettuale, soprattutto nel nostro Paese. Ebbene, Sergio Ricossa ne è stato un esempio fulgido e il nostro auspicio è che anche i più giovani possano accostarne l’opera imparando dal suo rigore e facendo così in modo che i suoi libri, i suoi saggi, gli innumerevoli articoli e i gustosissimi pamphlet riescano finalmente ad avere maggiore successo di quando era in vita, quando ha invece dovuto scontare un’atmosfera di conformismo ideologico non disgiunto dall’attacco personale.

“Straborghese” è il ritratto di Ricossa stesso, è l’autobiografia di un borghese che esalta la propria appartenenza e invita a non vergognarsene perché i borghesi, lungo i secoli, sono coloro i quali hanno compiuto prodigi in ogni campo e hanno fatto avanzare la civiltà. Il volume è la descrizione di una tipologia umana, ma è soprattutto un arguto, acuminato e piacevolissimo profilo psicologico di quella che, ancora al tempo di Ricossa, si definiva come una “classe”. Termine che l’Autore avrebbe aborrito e che infatti, giustamente, si preoccupò di contrastare nell’opera stessa, che piuttosto si presenta come un’analisi di individui visti da varie angolature e sotto diverse sfaccettature, sempre nella orgogliosa affermazione proprio della diversità come caratteristica precipua del “borghese”.

Per capire “Straborghese”, lo si deve necessariamente situare nel contesto che ne ha visto la pubblicazione. Il 1980 fu un anno nel quale il nostro Paese era ancora immerso nell’atmosfera cupa di un terrorismo non definitivamente sconfitto e nel quadro oppressivo di una cultura egemone ed egemonizzante che accusava esplicitamente gli imprenditori, i commercianti e i professionisti, in una parola i “borghesi”, di ogni nefandezza e, sostanzialmente, di non volersi omologare all’accettazione di una presunta inevitabile presa del potere in senso assoluto della sinistra, principalmente nelle vesti dell’allora Partito Comunista Italiano. Sergio Ricossa, tra le poche coraggiose bandiere di un liberalismo minoritario in una marea intellettuale e politica conformista, insegnava Politica Economica all’Università di Torino e dalle colonne de “Il Giornale” di Indro Montanelli scriveva strali puntuti per opporsi a questo stato di cose, dalla pianificazione economica incombente allo statalismo avanzante. In quest’atmosfera e attorniato da questo preciso contesto, Ricossa  decide quindi di dare alle stampe qualcosa di profondamente inattuale, vale a dire un’esaltazione del ruolo e dei valori di chi da pressoché tutti viene trattato come uno zimbello, il borghese.

Solo per questo suo essere dimostrazione di un coraggio al limite della temerarietà il libro andrebbe letto con attenzione o, meglio, compulsato per leggervi in filigrana ciò che quegli anni hanno significato in termini di danni per la libertà individuale ed economica italiana. “Straborghese” è una testimonianza di una stagione che ha demonizzato la stragrande maggioranza degli individui di questo Paese in nome dell’ideologia di pochi, per lo più borghesi essi stessi (sommo ed ennesimo paradosso, di cui peraltro si parla ampiamente nel libro).

Tra i moltissimi pregi di questa lettura – consigliabile per chi vuole capire un mondo che stava cambiando, sospeso tra le follie post-sessantottesche degli anni di Piombo e quegli anni Ottanta che vedranno la caduta del Muro di Berlino – vi è anche la scrittura, ossia quel periodare chiaro e mai pesante, capace di avvincere il lettore attraverso una prosa pulita, un uso formidabile dello humour, dell’ironia e del senso comune, mediante una comprensibilità che è dono di coloro che non amano l’orpello o l’artificio, ma la sostanza dell’espressione.

I diciassette (brevi) capitoli di “Straborghese” conducono il lettore lungo un viaggio che riserva sorprese spiazzanti: ad esempio, ci viene illustrato “Perché è inutile ammazzare i borghesi”, visto che al tempo i borghesi venivano uccisi in quanto tali, o perché l’apparentemente insospettabile Garibaldi debba essere considerato un appartenente alla categoria, o ancora, “Perché i “crumiri” vanno salvati”, tanto per citarne alcuni. Il percorso di citazioni, aneddoti, curiosità, storie e inascoltate lezioni di economia meritano davvero l’attenzione dei fortunati lettori che vi si imbatteranno: rimarranno colpiti nel trovare così tante caratteristiche di se stessi.

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