Grandi figure alla ricerca della libertà

In occasione del nostro 71esimo evento abbiamo avuto il piacere e l’onore di presentare l’ultimo libro del professor Lorenzo Infantino, “Cercatori di libertà”. Alla presenza dell’Autore e di Salvatore Carrubba abbiamo avuto modo di assistere a quello che potremmo definire un viaggio nel pensiero liberale, attraverso i suoi principali autori.

Il libro è una raccolta di saggi apparsi tra 2012 e 2019 su grandi figure quali Hume, Constant, Mises, Hayek, Leoni, Nozick, Ortega y Gasset, Settembrini ed Einaudi. Ma il volume è anche incentrato sui rapporti che queste figure hanno sviluppato durante la loro esistenza e il loro percorso intellettuale. Per cui sarà di grande interesse, ad esempio, scoprire i contorni della vicenda che ha portato David Hume ad ospitare un esiliato Jean Jacques Rousseau e giungere poi a comprendere i motivi profondi di una rottura che è, prima di tutto, dettata dalla radicale diversità su tutti i punti del dibattito culturale dell’epoca. “Sullo stato di natura, sul contratto originario, sulla proprietà privata, sul denaro, i commerci, le arti, la città, il lusso e su ogni altra questione, fra Hume e Rousseau c’era un’irriducibile contrapposizione. E ciò era ovviamente dovuto al fatto che il primo era un “esploratore” che intendeva estendere il più possibile il territorio della libertà individuale di scelta, mentre l’altro intendeva esattamente cancellare quel territorio”, così si esprime inequivocabilmente l’Autore. I profili esaminati si caratterizzano per essere, dunque, “cercatori di libertà” piuttosto che propalatori di verità. Il dato di partenza è un programma metodologico basato sull’azione degli individui come base per la lettura dei fenomeni sociali imperniata sulla scarsità, sull’ignoranza, sulla fallibilità e sulla limitatezza della conoscenza umana. Ed è per questo che è necessaria la cooperazione sociale, in un quadro di significativa incertezza caratterizzato da esiti che possono essere intenzionali o inintenzionali. Da questi presupposti metodologici discende “una teoria politica che assegna al potere pubblico una funzione di complemento nei confronti della cooperazione sociale volontaria e che pone come garanzia della libertà individuale di scelta la conseguente e rigorosa limitazione di quel potere”.

Queste sono conclusioni tanto in linea con l’autentica tradizione liberale quanto disattese nell’attuale quadro politico-legislativo. E sono concetti tanto incentrati sul principio di realtà quanto calpestati e vilipesi dal pensiero dominante che estende generalmente sempre più il dominio del potere pubblico.

Nelle illuminanti pagine dedicate a Benjamin Constant, viene poi istituito l’inequivocabile rapporto tra il pensatore nato a Losanna e la grande tradizione di ricerca che si origina nell’Atene del Nord, in quella Edimburgo settecentesca dove la folta schiera dei moralisti scozzesi ha in David Hume ed Adam Smith i suoi più rinomati rappresentanti.

Accanto a questo indirizzo, ve n’è un altro, nella produzione dell’Autore, che è stato studiato in tutte le sue componenti. Stiamo parlando della Scuola Austriaca, quel paradigma interpretativo della vita sociale che rappresenta una visione più ampia della semplice denominazione economica. Ecco, allora, i lavori su Ludwig von Mises e su Friedrich August von Hayek, ai quali tutte le riflessioni convergono sempre come luci sul cammino delle scienze sociali, come autentici “cercatori di libertà” non prescrittivi.

Per concludere questa fatalmente stringata sintesi del contributo in esame, ci sentiamo senza dubbio di citare le parti relative a due grandi figure di liberali italiani, ossia Luigi Einaudi e Bruno Leoni. Di entrambi vengono messe in risalto le connessioni e i debiti intellettuali con la Scuola Austriaca oltre che con alcuni dei suoi principali esponenti, mentre vale davvero la pena di riflettere sulle molte implicazioni connesse alla complessa posizione europeista di colui che sarebbe diventato il secondo Presidente della Repubblica Italiana.

Al giorno d’oggi pressoché tutti i commentatori, gli analisti e tutti coloro che hanno un ruolo nella elaborazione del complesso delle scienze sociali non fanno che declinare con labili varianti il refrain dell’interventismo, della necessità della mano pubblica, del potere sovraindividuale. Non viene nemmeno posta la questione di una limitazione del potere, né viene lontanamente messa in dubbio la sua presenza o il fatto che esso possa generare dei pericoli. È questo il motivo per cui contributi come quelli del professor Infantino sono tanto più rari quanto più necessari.

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