Il complesso rapporto fra liberalismo e democrazia in Giovanni Malagodi

Si deve alla meritoria iniziativa della Fondazione Luigi Einaudi la ripubblicazione, pei tipi di Rubbettino, del volume di Giovanni Malagodi “Massa non-massa. Riflessioni sul liberalismo e la democrazia” (2024).

Il volume raccoglie alcune riflessioni sparse dell’ex leader del partito liberale. Ma, come il sottotitolo del libro suggerisce, esiste un filo conduttore tra i vari saggi, perché tali sembrano esser presi uno per uno i singoli contributi.

E tale filo conduttore è il rapporto tra liberalismo e democrazia, rapporto fondamentale e, come si comprende leggendo il testo e – aggiungiamo – come si riscontra soprattutto al giorno d’oggi, troppe volte frainteso con esiti preoccupanti sia per la democrazia che per il liberalismo.

Ora, per discorrere di tale rapporto sarebbe necessario governare adeguatamente non solo le idee politiche ma, e soprattutto, la storia. Il raffronto con lo stato del dibattito politico quotidiano dovrebbe far comprendere quanto tale necessario presupposto sia divenuto oggi del tutto assente. Ma torniamo a Malagodi cui, tra le altre cose va riconosciuto di aver agito in politica per vocazione sincera e non per vanità ed esibizionismo.

E’ proprio il senso del divenire storico, ad esempio, a far correttamente interpretare a Malagodi il ruolo che ebbe l’altro grande liberale del processo di unificazione dell’Italia, il conte Cavour.

In Cavour, infatti, la democrazia era vista come la conseguenza necessaria del principio di libertà tanto che la salvezza dell’una e dell’altra non poteva che esser solidale. E questo è tema ancor oggi di immensa attualità, tanto immensa da esser negletto.

Così, nel saggio dedicato a liberalismo e democrazia, Malagodi pare sintetizzare il dibattito al tempo esistente tra la lettura di Croce del rapporto tra liberalismo e liberismo economico e quella di Einaudi. A prescinder dal fatto che le due posizioni erano meno inconciliabili di quanto non si voglia credere o far credere, Malagodi ha chiaro il punto di caduta: “Anche come fede politica, il liberalismo non è necessariamente legato a determinate istituzioni o atteggiamenti politici astrattamente concepiti. […] un liberismo eterno e assoluto non è parte necessaria del liberalismo. Ma come Einaudi e Röpke hanno dimostrato in modo definitivo, vi sono alcuni aspetti della natura umana che non possono mai essere dimenticati, e nelle moderne tecniche sociali ed economiche sono insiti alcuni pericoli dai quali il liberalismo si deve guardare molto attentamente se non vuole marciare fino in fondo sulla “via della schiavitù””.

Miglior sintesi non poteva esser resa. E tale sintesi è ottenuta avendo Malagodi perfettamente metabolizzata la portata del dibattito. Se libertà e democrazia non possono che esser solidali, la realizzazione della democrazia, nelle forme della democrazia liberale, porta con sè la formulazione di domande ed istanze volte ad ampliare il contenuto sostanziale delle libertà. E’, all’evidenza, la portata propria dei diritti sociali che, per definizione ed a differenza delle libertà civili e politiche, non si accontentano di un semplice dovere di astensione, tramite l’affermazione di una libertà negativa. I diritti sociali sono, come direbbero i giuristi, pretensivi: chiedono un intervento specifico e questo intervento può – e di norma deve – giustificare anche la ricerca delle risorse necessarie per il suo finanziamento.

Con buona pace dei trinariciuti, nessun liberale coerente potrebbe mai negare che questa sia una esigenza compatibile con la democrazia liberale ed anzi funzionale a realizzare una maggiore libertà. E torna in giuoco la teoria del “punto critico” einaudiano, che Malagodi perfettamente conosceva. Non si tratta di una misura fissa ed eterna come una idea platonica. Ma si tratterà piuttosto di una misura che può variare in relazione ai tempi ed alle circostanze. Si chiude un cerchio ideale tra il presupposto einaudiano ben temperato, quello necessario la via della schiavitù hayekiana, e lo storicismo crociano.

La freschezza, che è poi: l’attualità, della riflessione malagodiana è sintetizzata nel catalogo dei “problemi di ordine tecnico” che il liberalismo è chiamato a risolvere (sono le pagine 51, 52). Lo spazio di questa recensione non consente una lunga citazione, ma merita di esser osservato come già al tempo in cui questi saggi vennero scritti (e il riferimento poc’anzi richiamato è del 1961, Relazione tenuta alla Mont Pelerin Society), Malagodi avesse chiaro che le tecniche delle comunicazioni di massa avrebbero richiesto discipline rigorose. Si legge “la tecnica moderna per la diffusione delle notizie e delle opinioni può diventare strumento di bourrage des crânes ad uso dei duci delle democrazie totalitarie”.

Riletto oggi questo ammonimento – aperto alla possibilità di un uso diametralmente opposto delle medesime tecniche e quindi favorevole alla affermazione dei valori della democrazia liberale – ci si rende conto perché l’idea liberale abbia per sé l’eternità.

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