Il vecchio mondo è nel Mondo Nuovo

Lunedì quattro settembre scorso abbiamo presentato, in occasione delle serate dedicate ai classici del pensiero liberale e libertario, “L’antico regime e la Rivoluzione” di Alexis de Tocqueville. Erano con noi Giovanni Giorgini, professore di Storia delle dottrine politiche presso l’Università di Bologna, Mario Tesini, professore di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli Studi di Parma e Roberto Giannetti, professore di Storia delle dottrine politiche presso l’Università di Pisa. Siamo di fronte ad uno dei testi più rilevanti ed originali della storiografia politica e sociale, un vero e proprio spartiacque sia nella trattazione intorno al macro evento “Rivoluzione francese” che nella storia del pensiero critico intorno ad un’intera età, con implicazioni dalla portata talmente significativa da uscire dai limiti pur ampi e profondi relativi all’oggetto del componimento. E pur trattandosi di un’opera non terminata causa l’aggravarsi delle condizioni di salute di Tocqueville e la morte sopraggiunta prematuramente, siamo comunque in presenza di una serie di intuizioni, oltre che di un ideale filo che lega le varie parti dell’opera, di valore assoluto. Questo libro, che cerca di studiare la Rivoluzione nelle sue componenti, nelle sue cause, nelle sue istanze interne e nelle sue ripetizioni, non si presenta come una cronaca di quel complesso di momenti, situazioni, accadimenti che sancirono della Rivoluzione quello stigma di frattura epocale tra un’epoca ed un’altra, tra un mondo ed un altro, quanto piuttosto uno studio della stessa mediante l’individuazione delle cause politiche, sociali e culturali che condussero i francesi e la nazione al tipo di esiti che, di fatto, si verificarono. L’opera presenta una complessità formale e sostanziale davvero rilevante e nello spazio di una necessariamente breve recensione, come l’uso e l’opportunità nello specifico chiede di fare, non si può certo pretendere di esaurire nemmeno lontanamente la sua ricchezza, vastità e  profondità. Ogni capitolo, infatti, di cui è composta l’opera può presentare spunti di indagine e motivi di riflessione di qualità tale da essere di per sé stessi oggetto di discussione. E le stesse tesi di fondo, come pure le coordinate critiche che al lavoro soggiacciono, potrebbero, per originalità e proprietà di esposizione, costituire a loro volta lo scenario di ulteriori riflessioni, quali sempre Tocqueville è in grado di suscitare. Ci limiteremo, allora, ad un resoconto di semplice commento dell’impianto strutturale dell’opera, per notare come, nel primo libro – dei tre di cui è costituito “L’antico regime e la Rivoluzione” – l’Autore rilevi la contraddizione dei giudizi iniziali sulla Rivoluzione e come essa sia stata impropriamente definita come un evento teso a distruggere il potere religioso, ma, anzi, come la Rivoluzione stessa abbia un’impronta marcatamente politica secondo modalità di tipo religioso. Solo questo basterebbe sia a ridefinire molte interpretazioni accettate anche ai nostri giorni che a presentarsi come uno strumento di indagine nuovo, ossia una categoria di lettura che mescola sapientemente piani interpretativi differenti per definirsi come una chiave ermeneutica nuova, feconda e capace di aprire orizzonti. Nel secondo capitolo si assiste alla disamina del periodo che ha preceduto la Rivoluzione come a quel  momento che, amministrativamente, politicamente, giuridicamente e socialmente, è in grado di spiegare la Rivoluzione stessa, che è un evento dalle caratteristiche molto meno “rivoluzionarie”, se si passa il gioco di parole, di quanto comunemente si ritenga. Il terzo libro si occupa del XVIII secolo, ossia dell’immediata prossimità dell’evento, e di esso vorremmo ricordare, fra le molte perle, la rilevanza data alla componente intellettuale nello svolgersi degli accadimenti. 

Non cesseremo mai di mettere in rilievo l’eleganza linguistica di Tocqueville, un’eleganza che non è mai dissociata dalla resa concettuale e dalla capacità di porre vividamente di fronte al lettore le sue idee e l’analisi delle sue tesi. Questa eleganza, che si concreta in una capacità tipica di scrivere bene, in una modalità sintattica e grammaticale estremamente propria, con uno stile subito riconoscibile, è parte integrante del fascino e della presa che le posizioni di Tocqueville continuano ad esercitare e di cui possiamo, tra i molti, dare esempio con il titolo del terzo capitolo proprio del libro terzo : “I Francesi vollero le riforme prima di volere la libertà”. In questo modo, tanto sintetico quanto efficace, viene al contempo espressa un’analisi in una forma alta ed icastica.

Quando si recensisce un’opera come questa sono inevitabili l’incompletezza e la sensazione di aver reso un servizio solo parziale alla grandezza di quanto trattato. La speranza è che i nostri lettori decidano di andare da questo resoconto necessariamente parziale al piacere dato dalla lettura del testo.

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