La fine delle responsabilità individuali

E’ con piacere che informiamo Lei e i lettori de “Il Cittadino” del secondo evento della stagione 2019 – 2020 dell’Associazione Lodi Liberale, evento che si è tenuto lunedì 14 ottobre scorso e che ha visto la presentazione del libro di Carlo Nordio “La stagione del l’indulgenza ed i suoi frutti avvelenati”. Erano presenti, oltre all’Autore, ex magistrato dalla lunga carriera contraddistinta da inchieste di vasta eco, anche Nicolò Zanon, giudice della Corte Costituzionale, ed Angela Maria Odescalchi, presidente dell’Ordine degli Avvocati della provincia di Lodi. La serata costituiva un evento formativo proprio per gli avvocati che sarebbero intervenuti.

Il libro rappresenta una sorta di analisi delle problematiche del nostro Paese dall’angolo visuale di un magistrato da sempre in prima linea sia nell’esercizio rigoroso della sua carica sia nel difficile tentativo di comprendere i meccanismi della giustizia in Italia. Esso, inoltre, rappresenta un contributo sicuramente stimolante alle riflessioni intorno alla nostra situazione in quella che, senza tema di esagerazione, si può a ben diritto definire estremamente delicata sotto tutti i punti di vista.

Se preliminarmente siamo invitati a non cedere agli allarmismi e a valutare con sereno equilibrio lo stato delle cose, se viene rilevata una pervasiva e squilibrante colpevolizzazione a ogni costo, anche laddove non ve ne sia un’effettiva fondatezza, d’altro canto è indubitabile una comune sensazione di latitanza delle istituzioni preposte a dare risposte e a fornire soluzioni ai problemi. Tralasciamo le valutazioni che questo tipo di sensazione potrebbe ingenerare, almeno per ora, e mettiamo conto di citare un passo estremamente chiarificatore dell’impostazione generale del libro e delle posizioni del suo Autore: “All’origine di questo indebolimento delle istituzioni vi è una sostanziale indulgenza. Questo termine non va inteso in un senso restrittivo, come perdonismo benevolo e assolutorio, ma nel suo significato più ampio di concessione benigna, cioè di condiscendenza indifferente da parte della politica al dispiegarsi di fenomeni che invece avrebbero dovuto essere affrontati con le virtù tanto care ad Edward Gibbon: il cervello per capire, il cuore per decidere e il braccio per eseguire”.

Il libro, pertanto, si sofferma sulle ragioni, le cause e le tappe di questa decennale incapacità. Con una metodologia: “[…] servirsi del raziocinio individuale senza asservirsi all’emotività collettiva”.

Partiamo proprio da questo programma metodologico per chiederci quante volte, nel corso del tempo, nella vita politica, sociale ed economica italiana si è ceduto a posizioni dettate dall’emotività collettiva (ma potremmo dire anche dall’ideologia preconcetta, dai pregiudizi imperanti, da punti di vista frutto di mode pseudo intellettuali) e non ci si è serviti di una ragione applicata, della lezione dell’esperienza, e dalla conseguente valutazione delle necessità? Riteniamo di non esagerare affermando che la risposta porta a un numero talmente numeroso di esempi da non poter essere riportati per esteso. Interroghiamoci, inoltre, non troppo retoricamente quando abbiamo assistito all’indulgenza intesa come “condiscendenza indifferente da parte della politica” e otterremo esempi altrettanto numerosi.

La giustizia italiana ci offre un insieme di problematiche realmente gravi, che dovrebbero essere risolte: il cittadino è esposto con poche tutele e scarse garanzie alla complessa macchina delle indagini, dei controlli e, addirittura, della carcerazione preventiva, mentre risulta d’altro canto difficile assicurare la detenzione e la pena a buona parte dei colpevoli. Il sistema giudiziario italiano si avvale di un codice penale obsoleto e da riformare, con sanzioni previste in forma molto grave contrapposte alla loro progressiva edulcorazione prima dai giudici e poi dalla effettiva messa in atto, che è improntata a varie forme di perdonismo. Se ci rendiamo consapevoli che questo quadro sconfortante è inserito in un meccanismo di istanze e ricorsi, di gradi e contestazioni, di dilatazioni dei tempi intollerabili, non sorprenderà che sia diffusa la sensazione di una drammatica impossibilità di avere giustizia.

Carlo Nordio ci conduce di fronte alle tragedie non solo della gestione ed amministrazione della giustizia, ma anche alle sempre più palesi difficoltà che emergono da una società sottoposta a flussi migratori come pure ad una sempre più invasiva presenza dello stato a discapito dei diritti degli individui. Siamo sommersi da leggi, talvolta contraddittorie e comunque innumerevoli, molto spesso aventi per oggetto tematiche che potevano essere risparmiate alla codificazione. Le garanzie dell’individuo devono essere sempre rispettate e le pene devono poter essere chiare, certe ed eseguite. L’iperlegificazione, emanazione di interessi politici e anche di lobby, ha creato più di una paralisi in molti settori, essenzialmente a motivo del timore di incorrere in reati o in responsabilità insostenibili per il rischio che comportano nel l’assetto normativo vigente.

Con meritoria quanto sicuramente sofferta lucidità, la seconda parte è intitolata “Sfiducia nello Stato e dello Stato”. In essa si evidenziano le molte storture di una Repubblica che mostra sinistre crepe su ogni fronte del vivere civile, capace di rendere possibili casi eclatanti, commentati come significativi segnali di erronee prese di posizione politiche, ma soprattutto come cartine da tornasole di un malessere generale.

Dunque, che fare? È ritenuta possibile una via di uscita da questo che sembra adombrarsi come un quotidiano, caleidoscopico, multiforme vicolo cieco?

La risposta dell’Autore è presente lungo tutta l’opera ed è affermativa. Senza nascondersi le immense difficoltà, anzi proprio affrontandole con <<cervello, cuore e braccio>>, per riappropriarci delle potenzialità della nostra tradizione e tornare capaci di gestire con oculatezza e rispetto dell’individuo il sistema politico-giudiziario.

Non si prospetta, certo, un compito facile, ma è un compito che va intrapreso per evitare pericolose derive i cui segnali sono già molto evidenti in tutti gli ambiti.

L’Autore non teme di sostenere punti di vista lontani dal mainstream politicamente corretto che impera in questi tempi. Nè si lascia intimorire dalle difficoltà di riformare settori tanto complessi, fornendo ipotesi di soluzioni. La depenalizzazione, come visto, di aree impropriamente sottoposte alla codificazione, depenalizzazione che deve essere accompagnata ad una semplificazione di ogni fase dell’attività giudiziaria. Sfrondare le molte leggi improprie presenti è un altro passo suggerito, per non far morire la gestione ordinaria di ipertrofia, ergo di lentezza esasperante, ergo di ingiustizia. A seguire, una maggiore – ed effettiva, verrebbe da aggiungere – devoluzione di molte funzioni ora in mano alla burocrazia al cittadino, ai privati, ai singoli. Ne verrebbe non solo una superiore efficienza, ma anche una più consona adeguatezza. Infine, e qui l’invito è rivolto a tutti i componenti del corpo sociale, viene auspicata una maggior attenzione per un’etica delle responsabilità finalmente applicata. Ci fa piacere chiudere con alcune parole contenute nel libro che sono in sintonia con una visione liberale: “Accontentiamoci dello Stato di diritto. Dello Stato, cioè, che si autolimita e che […] detta le regole della propria attività ai fini di tutelare i diritti degli individui”.

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