La questione dei beni comuni e della sfera individuale

Nella nostra 90esima serata di lunedì 29 giugno abbiamo presentato il libro di Carlo Lottieri “Beni comuni, diritti individuali e ordine evolutivo” insieme all’autore (Professore di Filosofia Politica all’Università di Verona), Angelo Maria Petroni (Professore di Logica e Filosofia della Scienza a La Sapienza Università di Roma) e Stefano Moroni (Professore di Urbanistica al Politecnico di Milano). Si tratta di un libro di grande valore che declina una serie di riflessioni davvero stimolanti e aggiornate su uno dei grandi pilastri del liberalismo, ossia la proprietà, un istituto che è indubbiamente sotto attacco, preso di mira e talvolta persino disprezzato, non rendendosi pienamente conto di cosa significherebbe uno scenario dominato da possibili alternative. Infatti, la proprietà è necessaria per ogni sistema di giustizia e per ogni progetto sociale che non siano semplicemente aleatori. La proprietà è il fondamento delle nostre vite, è coessenziale ad esse, tanto coessenziale da farne parte inscindibilmente. La proprietà in tutte le sue forme: proprietà di uno, di alcuni o di molti. Il libro parte dall’analisi della proprietà individuale, ma poi si allarga a una serie di riflessioni che delineano un quadro molto chiaro che vede in primo luogo la condivisione della tesi liberale della proprietà, ossia che ogni soggetto ha pieno titolo di sé e del proprio lavoro.

È singolare, e paradossale allo stesso tempo, constatare come la proprietà sia sempre accettata e non certo osteggiata nella pratica, ma costantemente contestata nella teoria secondo motivi differenti, ma principalmente per istanze egualitaristiche. Anche qui, l’Autore ci conduce nella definizione precisa della questione, fornendo il contesto concettuale e offrendo con brillantezza e chiarezza una serie di argomentazioni volte alla salvaguardia della proprietà nella sua versione più adeguata. L’istituto della proprietà consente la convivenza fra gli uomini, favorendone la cooperazione senza il ricorso alla forza e alla violenza. Ci si sorprende, pertanto, di come la proprietà possa essere contestata, o attaccata, se tanto le dobbiamo, se nella sua definizione tanta parte della nostra storia vi si è affaticata e buona parte dei nostri progressi e del nostro benessere le devono essere grati. Ma la sorpresa cessa di essere tale nel momento in cui si pensa che le principali opposizioni alla proprietà arrivano proprio da frange ideologizzate, incapaci di fare autenticamente i conti con la realtà, o da vere e proprie eredità “tribalistiche” (in senso hayekiano).

La proprietà sorge in maniera spontanea in una società libera proprio perché libertà e proprietà sono componenti che si nutrono reciprocamente per vivere e prosperare insieme. Da una società libera vengono non solo la proprietà singola, ma anche le proprietà condivise, come pure i beni comuni. Assetto proprietario e beni comuni non sono affatto in opposizione fra loro. Anzi, secondo la disamina dell’Autore, è proprio dall’assetto proprietario che i beni comuni derivano la loro struttura e la loro giustificazione. Questi ultimi, infatti, rappresentano una forma specifica di proprietà stessa, ne sono un’emanazione.

Ci sentiamo perciò di consigliare un libro tanto denso e profondo quanto scorrevole. Non è naturalmente possibile in questa sede sviscerare i molti spunti che in esso sono contenuti (dalla proprietà al plurale alla critica puntuale della proprietà collettivizzata sotto l’egida di una fantomatica moltitudine, da una cornice concettuale che ci presenta limpidamente lo “status quaestionis” fino allo stimolante capitolo sulle nuove città private come comunità volontarie), ma ci auguriamo di aver tratteggiato un’anticipazione di interesse. Ci sia consentito, a completamento, il sottolineare uno dei punti sui quali l’opera insiste e che può essere considerato come una delle cifre dell’intero lavoro: ci riferiamo al necessario equilibrio che deve essere tenuto in conto ogni volta che si affronta la questione della proprietà, che è una commistione e una compenetrazione di preferenze individuali relative al proprium e di inequivocabile socialità comune. Tutto il contrario di chi ne denuncia un approccio egoistico con effetti negativi sulla società come fanno i “benicomunisti” attuali che non sono altro che i marxisti del ventunesimo secolo che, a ragione, si vergognano di definirsi tali dopo le tragiche e tremende dimostrazioni della storia sugli effetti provocati dai regimi che hanno mal compreso, contestato, non rispettato e quindi costantemente violato e represso l’istituto della proprietà, vero e proprio strumento di libertà e progresso dell’umanità nel corso dei secoli.

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