Le radici cristiane del concetto di ricchezza

Friedrich von Hayek, uno dei massimi esponenti della scuola austriaca e Nobel per l’economia, disse: << se i socialisti capissero l’economia non sarebbero socialisti>>.
Questa affermazione non è una semplice massima riferita ai soli socialisti, ma perfettamente calzante anche per i meglio vestiti keynesiani.
In quest’opera dal titolo “Per Dio e per il profitto” di Samuel Greeg sarà, per l’ennesima volta, comprensibile la differenza di metodo scientifico di studio fra le due principali scuole di economia. Quella socialista, aprioristica, sorda e negazionista delle esigenze dell’uomo e la scuola austriaca frutto di una continua ricerca filosofica sui benefici dell’azione umana e pienamente consapevole dei diritti naturali dell’individuo.
E se utilizzassimo il titolo, evocativo, di una delle più importanti opere di Ludwig von Mises, “L’Azione Umana”, avremo una chiave di lettura illuminante per questa opera.
Lo scritto trattando la questione del prestito del denaro e se l’applicazione degli interessi sia moralmente accettabile, affronta 2500 anni di storia, a partire da Aristotele, per spiegare come il rapporto fra economia e morale cristiana sia stato profondamente e attentamente affrontato dalla teologia morale alla ricerca della ragionevolezza dell’azione umana.
È infatti al cristianesimo dell’Europa medievale e ad una delle sue massime espressioni, il monachesimo, cui si devono i meriti per il progresso e la ricchezza economica e morale, sebbene oggi in forte declino, dell’occidente.
Samuel Gregg evidenzia come nella ricerca del bene, del male, della libertà e del bene comune, la cura per la giustizia e la povertà siano argomenti costanti che permeano le riflessioni delle scritture, dei padri della chiesa dei teologi medioevali e dei pensatori cristiani.
Ed in questa ricerca critica sulla natura delle azioni dell’uomo, se siano moralmente accettabili gli strumenti che hanno consentito all’umanità la possibilità di aiutare milioni di persone a fuggire dalla povertà, dalla fame, dalle carestie, dalla scarsità di beni e ottenere straordinari successi sulla base del rispetto e della consapevolezza della proprietà privata e dei suoi inesauribili benefici.
Ed è proprio la produzione di ricchezza e l’eccesso di ricchezza, non utilizzabile per soddisfare i bisogni primari, che può essere utile e utilizzabile rendendola disponibile, anche con strumenti finanziari, per la creazione di nuova ricchezza.
Gregg dimostra come la fede cristiana e la ragione, lungi dall’essere destinate a produrre instabilità economica e crisi finanziarie, possano dar vita a istituzioni bancarie, pratiche e strumenti finanziari generatori di ricchezza e morali; come avvenuto durante il boom economico italiano degli anni 50 e 60 caratterizzato da una chiara identità cristiana nella volontà di sconfiggere la povertà attraverso la creazione di ricchezza

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