Liberalizzazioni, uno strumento necessario per liberare le energie

Anche quest’anno Lodi è stata la prima città italiana a promuovere pubblicamente, dopo la presentazione nazionale, la nuova edizione dell’Indice delle liberalizzazioni, curato dall’Istituto Bruno Leoni, discutendone lo scorso 15 dicembre insieme a Massimiliano Trovato e Oscar Giannino.

L’Indice è uno studio comparato sull’apertura dei mercati alla concorrenza nell’Europa a 15: Italia, Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Regno Unito, Irlanda, Svezia, Finlandia, Danimarca, Austria, Paesi Bassi, Lussemburgo e Belgio. Per misurare il livello di concorrenza, calcolato su dieci settori economici (carburanti, gas naturale, lavoro, elettricità, poste, telecomunicazioni, televisione, trasporto aereo, trasporto ferroviario e assicurazioni), i ricercatori hanno analizzato il contesto normativo nei diversi paesi concentrandosi non sugli elementi “pro concorrenziali”, il cui impatto effettivo è di difficile interpretazione, ma piuttosto sull’esistenza di ostacoli alla concorrenza. Il confronto fra i diversi paesi dà come risultato un indice generale di apertura alla concorrenza: nel 2014 l’Italia non risulta più il paese meno liberalizzato dell’Europa a 15, come era nel 2013, avendo ora superato Lussemburgo e Grecia e ponendosi pari merito alla Francia. Questo nostro modesto passo in avanti non deve però essere un motivo di consolazione perché ciò non è dovuto alle nostre virtù, ma al peggioramento degli altri paesi.

È interessante sottolineare la metodologia seguita dai ricercatori dell’Istituto Bruno Leoni nel creare questa classifica dei diversi paesi: i valori vengono espressi in percentuale di apertura alla concorrenza. Il 100% rappresenta idealmente il contesto normativo ottimale, ovvero quello del paese più liberalizzato che adotta le migliori pratiche effettivamente esistenti a livello europeo e che viene utilizzato come benchmark di riferimento per gli altri paesi. L’Indice si esprime sia per i vari settori che in una misura generale, come media. Ciò che balza immediatamente all’occhio è che i paesi che si collocano nelle peggiori posizioni, ovvero Grecia e Italia, siano anche quelli che soffrono di più la crisi economica, mentre constatiamo che paesi come Svezia e Gran Bretagna, in testa alla classifica, sono quelli che hanno avuto una migliore performance economica negli ultimi anni. L’Italia non è il paese migliore in nessuno dei settori analizzati, mentre occupa l’ultima posizione in un settore (la televisione) e la penultima in altri tre (carburanti, lavoro e poste). Come leggiamo nell’introduzione: «se questo Indice ha un senso, ce l’ha nella misura in cui dà un piccolo contributo a spingere l’Europa e l’Italia a “copiare” i mercati energetici britannici, a prendere spunto dai Paesi Bassi per quanto riguarda poste e telecomunicazioni e dalla Svezia nel trasporto ferroviario».

Dobbiamo sempre tenere a mente che quanto più la concorrenza è libera, tanto più il rischio economico ricade sulle spalle degli operatori di mercato. In tal modo saranno i consumatori a fare giustizia delle diverse scelte di investimento, premiando quelle che soddisfano i loro gusti e punendo le altre. Al contrario, quanto più un mercato è “controllato”, tanto più questo si traduce in una socializzazione, esplicita o implicita, del rischio. Questo può comportare una deresponsabilizzazione delle imprese, che rischiano meno per gli errori commessi, a scapito di tutti i cittadini, che invece ne pagano le conseguenze. La presenza degli ostacoli alla concorrenza è quindi una delle principali cause del ristagno economico, come appare chiaro se compariamo la situazione di uno stato poco liberalizzato, come l’Italia, con quella degli Stati virtuosi.

Liberalizzare un settore economico significa sostanzialmente garantire tre cose: libertà di entrata, libertà di esercizio e libertà di uscita.

La libertà di entrata viene garantita quando non esistono barriere – normative, regolatorie, fiscali o parafiscali – che impediscono o limitano l’ingresso in un settore economico. In questo modo la concorrenza esistente assicura il massimo in termini di efficienza, bassi prezzi, innovazione e soddisfacimento dei bisogni del consumatore/utente. Lo stesso ruolo viene svolto dalla pressione esercitata dalla concorrenza potenziale dei nuovi attori economici che potrebbero decidere di entrare in un mercato, attratti dai profitti registrati dalle imprese presenti o perché pensano di poter fare meglio di esse.

La libertà di esercizio è garantita quando le imprese presenti in un settore hanno la possibilità di prendere decisioni autonomamente senza dover cedere le leve fondamentali alle autorità regolatorie, soprattutto in termini di innovazione di prodotto e di processo.

La libertà di uscita viene spesso dimenticata ma è fondamentale perché garantisce che funzionino correttamente i meccanismi economici di incentivi e sanzioni che si traducono in profitti e perdite. Quando non funzionano vuol dire che esistono imprese che sono sottratte al giudizio dei consumatori, che si esprime nelle scelte di acquisto o meno dei beni e servizi proposti. In questo caso si producono sia una vera e propria “tassa”, a carico dei contribuenti che sono costretti a sovvenzionare imprese inefficienti, che una distorsione della concorrenza, a discapito delle imprese migliori esistenti sul mercato e dei potenziali competitori.

Le liberalizzazioni quindi, aprendo i mercati alla concorrenza, sono uno strumento necessario per stimolare le energie imprenditoriali e contribuire in questo modo al ritorno della crescita economica, cosa di cui il nostro paese ha un dannato bisogno.

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