Benedetto Croce e la dimensione etica del liberalismo

Lunedì 19 dicembre abbiamo presentato, in occasione della rassegna dei classici del pensiero liberale e libertario, il libro di Benedetto Croce “Etica e Politica”. Erano presenti Marta Herling, segretario generale dell’Istituto italiano per gli Studi Storici, Giancristiano Desiderio, giornalista e Corrado Ocone, filosofo. Il libro è, in realtà, la raccolta di quattro gruppi di saggi (“Frammenti di etica” del 1922, “Elementi di politica” del 1925, “Aspetti morali della politica” del 1928, cui Croce antepose il “Contributo alla critica di me stesso” del 1918) e fu pubblicato nel 1931.

Nel lasso di tempo che copre la stesura del primo saggio e la pubblicazione dell’intera raccolta la vicenda biografica di Benedetto Croce e la storia del nostro Paese ebbero una serie di momenti di incredibile rilievo. L’ormai maturo, prestigioso e conosciutissimo filosofo aveva elaborato molte delle coordinate teoriche e speculative della sua parabola di studioso dalle prime ricerche alla fine del XIX secolo fino al primo ventennio del XX, in corrispondenza con l’ascesa ed il declino dello stato liberale. l’emergere dei grandi movimenti ideologici di massa e l’entrata nella Prima Guerra Mondiale della civiltà fino ad allora ritenuta inattaccabile. La crisi delle coscienze, i disordini e le rivolte, le tensioni sociali e politiche accompagnarono il burrascoso inizio degli anni Venti, mentre Croce, Senatore già da oltre un decennio, assumeva la carica, retta solo per un anno, di Ministro della Pubblica Istruzione. Non mette conto qui tracciare una sintesi del ruolo che Benedetto Croce ebbe in quegli anni e nei successivi. Basti dire che, nella sua veste di intellettuale italiano più conosciuto al di fuori dei nostri confini, seppe far sentire la sua voce ed avviare un vero e proprio magistero laico, nel quale i valori della libertà, della laicità, del rispetto e delle virtù civiche cercarono di fare fronte alla marea montante del totalitarismo fascista. Dopo il delitto Matteotti, significativamente avvertito come punto di non ritorno, di opposizione ferma senza compromessi, come il momento in cui la società e la cultura dovessero riscattarsi da queste barbarie imperdonabili, Croce elabora queste riflessioni, che non hanno un unico denominatore, ma che possono essere sintetizzate nella necessità dell’elaborazione continua e incrollabile di un granitico ancoraggio etico.

Nella tragedia che funesta l’Italia, che passa da una monarchia parlamentare di stampo liberale ad una dittatura resa possibile dalla violenza, dagli appoggi interessati e dalle viltà, dal desiderio di sicurezza e dal culto dell’uomo forte, Benedetto Croce, da parlamentare, da politico e da filosofo impegnato, espresse con chiarezza il suo pensiero. Un pensiero che emerge con linearità da questi scritti; una voce che costituisce l’opposizione ufficiale, forte e stentorea, ad un regime tanto miserabile quanto progressivamente radicato. La lezione di Croce rappresentò l’esempio per uomini e donne che non consegnarono le loro menti al facile consenso o alla comoda acquiescenza. Mussolini stesso, pur consapevole di quanto Croce gli fosse avverso, non pensò mai di soffocarne la voce o di esiliarlo, di imprigionarlo o, men che meno, di eliminarlo. In questo non era certo mosso da ammirazione, sicuramente, quanto piuttosto da calcolo per le immense conseguenze che, a livello di immagine, simili atti avrebbero significato per la sua gestione del potere davanti all’Europa ed al mondo. Sicuramente lo controllò, lo spiò, ne registrò minuziosamente le mosse e le frequentazioni. E cercò, per quanto gli fu possibile, di isolarlo, di rendergli la vita difficile. Ma le idee e l’esempio di un sicuro, riconosciuto, incrollabile avversario del fascismo come Croce costituirono una delle linfe vitali per il riscatto morale, prima che politico, di una nazione prostrata dall’obbedienza e dalla servitù. Le sue idee, idee ancora una volta di libertà coniugate in una dimensione etica calata nella storia e nella contingenza, fecero da insegnamento per molti che, sotto diverse bandiere e militando in campi anche opposti, costituirono i cittadini della futura Repubblica.

Come membro della Costituente, presidente del rinato Partito Liberale e guida culturale di una parte dell’intelligenza laica del Paese, fu anche capace, da laico convinto, di comprendere il peso, l’eredità e la forza della tradizione cristiana nello stesso contesto di una nazione aconfessionale. al lettore moderno è, forse, richiesto uno sforzo di comprensione linguistica e sintattica, visto il complesso e per certi versi desueto periodare crociano. Ma se si riesce ad andare al di là di queste difficoltà contingenti e superabili, il frutto della lezione e l’interesse per idee nutrite da uno spessore civico di altri tempi resta impagabile e premia per la fatica effettuata. Tra i molti contributi di rilievo, che qui è davvero impossibile citare nella loro interezza, sia consentito ricordare il saggio “Liberismo e liberalismo”, in quanto esso diede corso ad un confronto di idee (non si può parlare di polemica tra i due, che si stimavano ed avevano alta considerazione reciproca) fra Benedetto Croce, appunto, e Luigi Einaudi, altra grande anima intellettuale e morale di questa prima metà del Novecento liberale italiano. Leggere, comprendere e provare a contestualizzare il confronto servirebbe ad evitare malintesi e, soprattutto, letture spesso pretestuose ed infondate

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