Debito pubblico, un pericolo potenziale di alta portata

Lo scorso lunedì 12 giugno abbiamo presentato il libro di Carlo Cotarelli “Il macigno” insieme all’autore (Direttore Esecutivo del Fondo Monetario Internazionale) e a Luigi Marco Bassani (Professore di Storia delle Dottrine Politiche presso l’Università degli Studi di Milano). Molti sono i buoni motivi per leggere questo volume. 

Il primo è la lievità espositiva con la quale l’Autore affronta una serie di tematiche economico-finanziarie di non agevole comprensibilità. La loro oggettiva difficoltà è legata anche a una certa qual insofferenza a considerare questi aspetti, che pure hanno tanta importanza e rilevanza sulla nostra vita quotidiana e che, perciò, dovrebbero essere conosciuti meglio. Cottarelli, anche per la sua familiarità non disgiunta dalla preparazione e conoscenza del settore che ne fanno uno dei maggiori esperti internazionali in materia, scrive in maniera piana e comprensibile, avvicinando anche il profano a un mondo di implicazioni economico-politiche di cui essere pienamente consapevoli.

Il secondo è proprio nella tematica, che potrebbe essere sintetizzata al meglio dal sottotitolo “Perché il debito pubblico ci schiaccia e come si fa a liberarsene”. Siamo di fronte, quindi, a un’analisi dei motivi per i quali siamo gravati da questo imponente e spesso mal compreso carico e, al contempo, ci viene fornita una via non troppo dura per uscire da un’impasse che, allo stato delle cose, è pericolosa per noi e per le generazioni a venire.

Comprendere di cosa precisamente si parla quando si cita “il debito pubblico” (che, a grandi linee, è il totale di quanto le pubbliche amministrazioni hanno preso in prestito nel passato, cioè la passività degli organismi statali), conoscerne l’ampiezza, capirne la genesi e i motivi del continuo accrescimento, avere contezza di chi lo detiene, sono tutte informazioni che, al di là dell’interesse specifico, ci servono per capire che siamo in una situazione economica difficile, anche e soprattutto per questa vera e propria spada che pende sul nostro capo. Cottarelli illustra con dovizia di dettagli, senza peraltro indulgere nell’allarmismo, i motivi per i quali siamo in una situazione di effettiva difficoltà e di potenziale default.

Una crisi sul mercato dei titoli di Stato è possibile. Inoltre, un debito pubblico come quello italiano trascina verso il basso la crescita economica e ne funge da deterrente, oltre a rendere difficile la riduzione della ormai insostenibile pressione fiscale. Il maggior pericolo, tuttavia, è l’accettazione della cultura del debito, cioè il non propugnare più modalità virtuose di gestione dei conti pubblici, ma entrare in una logica insana di spesa incontrollata e di disinteresse politico. Tanto più che ogni anno il debito pubblico cresce, e questo avviene perché annualmente lo Stato spende di più di ciò che incassa, creando quindi costantemente deficit pubblico che si somma al preesistente livello di debito pubblico.

Vengono, di seguito, passate in rassegna le possibili soluzioni: l’uscita dall’euro, il ripudio del debito (vale a dire, il mancato rimborso dei titoli del debito pubblico e il non pagamento dei relativi interessi), la mutualizzazione del debito (i nostri partner più virtuosi si accollano il rischio del nostro debito), le privatizzazioni (l’alienazione a privati del patrimonio pubblico necessario per ripianare il debito), la pratica dell’austerità (il taglio della spesa pubblica o l’aumento delle tasse, la razionalizzazione dei costi e regole ferree di bilancio), l’aumento della crescita economica (attraverso l’implementazione di riforme strutturali). Ed è davvero di gratificante interesse leggere le illuminanti sintesi compiute dall’autore di quanto citato in precedenza, sottolineandone al contempo la sua posizione estremamente sobria ed equilibrata.

In quello che è il capitolo finale, Cottarelli delinea il senso del percorso compiuto fornendo le proprie conclusioni, che si si possono condensare in tre principali: la prima invita a prendere consapevolezza il prima possibile che il debito pubblico italiano, altissimo sia in termini relativi che assoluti, è già un peso esiziale, oltre a rappresentare un pericolo potenziale di ampia portata.

La seconda ci invita a non percorrere scorciatoie, che sono spesso basate su una scarsa o nulla previsione degli effetti a medio e lungo termine, non facendoci illusioni su possibili altruismi o credendo che basti vendere i gioielli di famiglia per mettere i conti a posto.

La terza è l’equilibrio di una combinazione di austerità fiscale in grado moderato e riforme che stimolino il tasso di crescita del nostro Prodotto Interno Lordo. Ciò significa arrivare a un innalzamento graduale, ma costante, del tasso di crescita del PIL nel lungo periodo seguito da riforme strutturali effettive in accordo con un accantonamento (risparmio) delle entrate tributarie, il che significa attuare una vera e propria politica virtuosa non più orientata alla spesa. La prospettiva dovrebbe essere quella del bilancio in pareggio in tre anni con un debito che scende di 3 punti percentuali annui. In fondo, si tratterebbe di essere morigerati e di non spendere le maggiori entrate che derivano dalla maggior crescita. Il tutto senza assolutamente aumentare le tasse. Peraltro abbiamo la fortuna di essere ancora in una congiuntura di tassi di interesse bassi e in queste condizioni un programma come questo può avere le maggiori probabilità di funzionamento.

Per concludere vale la pena di citare un famoso passo tratto da “La ricchezza delle nazioni” di Adam Smith che è presente all’inizio del quarto capitolo: “La pratica dell’indebitamento ha gradualmente indebolito ogni Stato che l’ha praticata”. Ci sembra il giusto monito per tutti coloro che, in tutti gli schieramenti, sostengono la morale e la pratica del debito come risposta a tutti i problemi posti dalla realtà.

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