Guglielmo Ferrero, un grande analista da non dimenticare

Lunedì 3 giugno abbiamo presentato, in occasione delle serate dedicate ai Classici del pensiero liberale e libertario, “Potere”, di Guglielmo Ferrero. Erano con noi Lorenzo Castellani, professore di Storia delle istituzioni politiche presso la LUISS Guido Carli di Roma, Angelo Panebianco, professore emerito di Scienza politica presso l’Università di Bologna e Antonio Campati, ricercatore di Filosofia politica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Guglielmo Ferrero, al di là di una relativamente ristretta cerchia di studiosi e specialisti, è ancora, nel nostro Paese, una notorietà limitata, sicuramente non adeguata al suo valore intellettuale ed alla sua dirittura morale. Ben pochi, infatti, sanno che all’inizio del XX secolo, Ferrero fu tra le personalità maggiormente conosciute all’estero, principalmente per i suoi lavori storici su Roma antica (“Grandezza e decadenza di Roma”, in cinque volumi pubblicati tra 1902 e 1906), nota a tal punto da ottenere eclatanti successi di pubblico e di critica nei suoi tour di conferenze, che lo portarono a girare l’Europa, ma anche ad avere una formidabile fortuna nelle Americhe, in particolare gli Stati Uniti. Questi successi, e la rilevanza dei suoi lavori sia da un punto di vista contenutistico che stilistico, lo portarono molto vicino, in più occasioni, al conferimento del Nobel. La sua formazione era stata di tipo particolare per il milieu imperante nella cultura italiana dei suoi tempi. Infatti, si era avvicinato al circolo positivista di Cesare Lombroso e ne aveva condiviso gli interessi per gli aspetti sociali dell’antropologia, analizzando la condizione femminile nell’Italia umbertina ed immediatamente post-unitaria. Contemporaneamente, anche in virtù di una spiccata attitudine personale, sviluppò un intransigente spirito critico nei confronti del malaffare della politica del periodo, politica incarnata significativamente dalla commistione tra interessi protezionistici e velleità coloniali. La figura che Ferrero riterrà sempre come il simbolo di questi illeciti accordi fu Francesco Crispi e la sua adesione al socialismo riformista e moderato fu la naturale conseguenza di un rigetto e di un’ostilità nei confronti di un contesto di scarso valore morale. Nei suoi viaggi in Europa, Ferrero avvertiva un clima differente, e la sua propensione si orienta verso la storia, cioè verso  l’analisi delle condizioni e dei contesti, la comprensione delle radici entro cui situare quello che con chiarezza avvertiva come il clima di crisi che preludeva alla Grande Guerra. I suoi lavori lo testimoniano ed i suoi interventi ne fanno fede, mostrando, come sempre, una dirittura ed un coraggio che lo fecero essere sempre un oppositore sia del fascismo nascente che del fascismo trionfante. Per queste sue posizioni ebbe dei gravi fastidi, compreso l’esproprio dell’amata casa, oltre che l’inibizione ad esprimere le proprie idee. Fu per lo straordinario intervento del Re del Belgio che, nel 1930, Guglielmo Ferrero, il prestigioso studioso italiano noto in tutto il mondo, potè espatriare e divenire un esule a Ginevra, dove ottenne quella cattedra che il suo Paese non gli garantì mai. Da questo momento, e fino alla fine della sua esistenza, nel 1942, Ferrero si dedicò allo studio e all’insegnamento, ma anche alla pubblicazione di importanti opere ed all’opposizione strenua al regime mussoliniano. Il suo precipuo campo di indagine divenne la Francia tra Settecento ed Ottocento, attraverso una riflessione approfondita intorno all’Antico Regime monarchico, alle fasi rivoluzionarie e, soprattutto, intorno alla decisiva figura di Napoleone Bonaparte. E in questo campo di indagine trovò i semi e le spiegazioni per comprendere ciò che gli si presentava davanti agli occhi, in Italia ed in Europa : il diffuso disordine, la trasformazione del concetto di legittimità, la crisi dei valori, il crescente autoritarismo, il personalismo del potere. Nel frattempo, era venuto in contatto con le teorie elitiste, ma soprattutto con gli esponenti di questa nuova impostazione interpretativa, in particolare Gaetano Mosca e questo fatto, insieme alla visione che la società ed il contesto del vecchio Continente gli stavano fornendo, lo indurranno ad un mutamento nelle posizioni ideali, passando da un moderato socialismo, con cui si era caratterizzato alle origini, ad un cauto conservatorismo. Ferrero, tuttavia, mantenne ben chiaro e saldo il suo ancoraggio alla democrazia, alle radici liberali del vivere civile e alla necessità di mantenere sempre viva una dialettica impostata sui diritti e sulla libertà. I frutti principali della sua permanenza in Svizzera sono da considerarsi quelli emersi dalla trilogia comprendente un’ampia riflessione sulla Monarchia, la Rivoluzione, il bonapartismo, la Restaurazione, ma soprattutto gli esiti delineati all’interno della sua ultima opera, “Potere”, pubblicata proprio pochi mesi prima di morire. Qui il concetto di legittimità come pure la densa analisi intorno al potere sono condotti con precisione e chiarezza, oltre che con uno stile piano ed accessibile. Le intuizioni di Ferrero intorno al rapporto tra Potere e Paura, tra Autorità e Sicurezza, e le sue considerazioni in merito a quella particolare simbiosi biunivoca che ne viene generata, ci consegnano un Autore dall’interesse ancora vivissimo. E le sue considerazioni circa una fenomenologia della Legittimità ce lo restituiscono nella statura di un intellettuale capace di descrivere ed al contempo di avvertire i suoi contemporanei ed i suoi postumi.

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