Lo scorso martedì 21 novembre, durante la 48esima serata di Lodi Liberale, abbiamo presentato il libro di Dario Fertilio “Il virus totalitario” insieme all’autore e a Luigi Compagna, Professore di Storia delle Dottrine Politiche presso la LUISS Guido Carli di Roma e Senatore della Repubblica.
Uno dei pregi principali del libro è quello di mostrare come il totalitarismo non si sia affatto estinto, nascondendosi piuttosto sotto maschere inaspettate sotto i nostri occhi e rappresentando quindi “un nemico sempre in agguato” da riconoscere e da combattere. Da un’analisi superficiale del panorama internazionale, si potrebbe essere indotti a credere che la nostra epoca, il secondo decennio del XXI secolo, non sia caratterizzata – se non per poche, circoscritte eccezioni – dalla persistenza del totalitarismo, almeno nelle sue forme più eclatanti e violente. Invece, ritenere che con la caduta di fascismo, nazismo e comunismo, gli uomini si siano liberati della vessazione violenta di alcuni regimi rappresenta semplicemente una pura illusione. Innanzitutto, lo scenario politico mondiale ci mostra un intricato complesso di componenti, spesso perfino una commistione fra ideologie e pratiche di potere storicamente finanche opposte: si pensi al nazicomunismo di alcune ex repubbliche sovietiche oppure all’autoritarismo nazionalistico-nostalgico della Russia putiniana. La realtà è complessa e sfugge alle facili catalogazioni e ai trionfalismi da “fine della storia”, ripresentando spettri appena chiusi nell’armadio o nuovi volti del potere assoluto. Fra questi rientra sicuramente il terrorismo islamista che, con le sue matrici ideologiche e storiche, mostra significative e rilevanti somiglianze con il bolscevismo della Rivoluzione d’Ottobre e con il nazionalsocialismo hitleriano. La Guerra Santa, il Califfato, la paura, l’aspirazione universalistica al sovvertimento, l’esibizione agghiacciante della violenza, le tragiche scene quotidiane sui teatri di guerra sparsi ovunque, ma soprattutto nelle città occidentali, rappresentano oggi, nelle nostre vite, una delle forme presenti che ha assunto il tentativo di imporre una volontà di sopraffazione sugli individui.
A questo totalitarismo articolato, che, non dimentichiamolo mai, ha dichiarato una guerra di conquista alle società occidentali, si devono aggiungere le sfumature più o meno accentuate ed inopinatamente sopravvissute dei due precedenti e maggiori totalitarismi novecenteschi: il marxismo-leninista e il nazionalismo razzista e xenofobo. Lungi dall’essere reperti di un passato sepolto, queste forme di dominazione hanno saputo adattarsi, vivere nuove vite, crescere in nuovi contesti o rinascere da piante apparentemente estirpate.
Il contributo di Fertilio è un ampio resoconto, basato su autorevoli contributi e dettagliato da una ricerca puntigliosa su quello che potremmo definire come uno dei grandi fenomeni sociali e politici, dalla Rivoluzione francese in poi. Tutto il libro porta avanti un’analogia tra il fenomeno totalitario, nella sua genesi, nella sua affermazione, nel suo sviluppo e nella sua deflagrazione, e la patologia virale, per come si mostra nella sua complessità biologica di organismo parassitario. Ma nelle pagine si possono trovare anche utili coordinate sulle linee teoriche del fenomeno, con prese di posizione capaci di fornire interessanti spunti di riflessione. Allo stesso modo, il contributo si sofferma sulla forza spaventosa del totalitarismo e, quindi, sui pericoli ad esso annessi che vanno sempre paventati, per non cadere nella fascinazione esercitata da questo vero e proprio strumento di devastazione.
Nell’ultima parte viene illustrato il termine della parabola e i rimedi indicati per affrontare questo pericolo continuamente presente nelle società umane. In particolare, l’invito a diffidare di ideali che mirino a trasformarci, che evochino mondi nuovi e una nuova palingenesi. Il richiamo alla continua vigilanza e al non illudersi di poter estirpare il male dal mondo, lo sviluppo di un’indipendenza e di una capacità critica quanto più possibile personali. Il convincimento fermo e incrollabile nella necessità della lotta, che è una scelta morale di opposizione al dominio. Una lotta che non deve essere condotta emotivamente, ma con una mente fredda e determinata. Una lotta che non deve riconoscere false giustificazioni sociologistiche al campo nemico. Non dobbiamo quindi permettere tatticismi da realpolitik, né deroghe dalla giustizia, né contenimenti che lascino l’iniziativa all’avversario, o tregue, che di fatto sono funzionali al rafforzamento del nemico. C’è bisogno di una strategia che sia tesa ad ampliare i confini mondiali del libero mercato, della libertà, della certezza del diritto, della società aperta, gli unici veri antidoti al totalitarismo.