Lunedì 8 luglio abbiamo concluso la nostra stagione 2018/2019 presentando il libro “Morire di aiuti” insieme a uno dei due coautori, ovvero Antonio Accetturo (Ricercatore presso la Banca d’Italia), Carlo Stagnaro (Senior Fellow dell’Istituto Bruno Leoni) e Roberto Brazzale (Imprenditore).
Il pamphlet è, significativamente, sottotitolato “I fallimenti delle politiche per il Sud [e come evitarli]”. Si tratta quindi di una ricerca che, sulla base di tutta una serie di dati econometrici, mostra la sostanziale inefficacia e il manifestarsi di effetti negativi in conseguenza dell’applicazione delle politiche centrali per il tentativo di rilancio economico del Mezzogiorno.
Siamo di fronte a più di trent’anni di evidente e palese fallimento delle politiche di sviluppo territoriale per il Sud del nostro Paese, evidenza conclamata dallo sperpero di ingenti risorse quando non dalla folle distribuzione degli aiuti. Eppure dopo più di trent’anni di questi errori, di queste inefficienze, di questi sprechi, non c’è nessuno o quasi che metta in discussione l’impianto e soprattutto la logica che sovrintendono a queste operazioni.
Produttività e occupazione non aumentano, mentre si moltiplicano corruzione, contiguità con la malavita organizzata, frustrazione e sfiducia. Non uno degli strumenti pianificati per consentire alle zone più arretrate della nostra penisola di colmare, in una qualche maniera, il proprio gap ha dato, non solo gli effetti attesi, ma neanche un minimo, significativo accenno positivo. I fondi pubblici spesi – che, giova ricordarlo a coloro che volutamente lo dimenticano, sono di tutti noi – non hanno avuto ricadute positive, né a livello locale né a livello nazionale. La strategia adottata per il lancio o il rilancio del Sud è stata una sola, i trasferimenti di denaro pubblico sotto varie forme e in vari aspetti.
Il lavoro che abbiamo presentato si chiede se le politiche pubbliche di finanziamento adottate fino ad ora siano state efficaci e se abbiano raggiunto i loro obiettivi e la risposta, realisticamente, a entrambi i quesiti è assolutamente “no”. Queste politiche, oltre a non funzionare da un punto di vista della produttività e dell’occupazione, hanno anche prodotto risultati negativi, incentivando la corruzione, la criminalità, la commistione tra malavita e istituzioni, minando inoltre il senso civico dei cittadini.
Tra le cause dello strutturale fallimento vi è quello che viene definito come “un contesto istituzionale debole”, unito a una deleteria sovrapposizione di ambiti che finisce per inibire, o addirittura eliminare, la possibilità di intervento di taluni programmi che, forse, se lasciati agire, potrebbero mostrare una certa qual efficacia.
Nel volume non viene mai messo in dubbio una sorta di perno attorno cui costruire un’alternativa che finalmente funzioni: secondo gli autori basta attuare una maggiore rigorosità nell’azione dello Stato per giungere a risultati auspicabili. Quella che viene ritenuta essere un’ipotesi di soluzione del problema economico meridionale è, sostanzialmente, il raggiungimento di una semplificazione che sistemi il cosiddetto “quadro istituzionale” (mediante una fortificazione delle strutture rappresentative allontanandole dalle consuetudini della corruzione, il tutto unito a una razionalizzazione degli ambiti), ma soprattutto la creazione di condizioni rigorose e certe per il reperimento di una vasta messe di dati che gli economisti, dopo attente valutazioni e ponderate riflessioni, consegneranno ai rappresentanti della politica, in un vivo e fecondo rapporto. La qualità istituzionale locale deve naturalmente essere una precondizione altrettanto indispensabile per evitare comportamenti illegali, ma soprattutto per consentire che le misure indicate siano rese fattive.
Come sottolineato più volte e come emerso dalla ricerca, le politiche di sviluppo locale si sono finora contraddistinte per il distacco da un’analisi preliminare seria e scientificamente fondata. Un’analisi economica complessa, che tenga conto di ciò che il contesto dice, senza possibili e voluti fraintendimenti. I temi delle infrastrutture, del capitale umano, dell’istruzione vanno affrontati mediante un approfondimento oggettivo e basato sulle più avanzate tecniche di rilevazione e di definizione econometrica.
Ci sia consentito però ricordare come l’impostazione liberale classica si caratterizzi per un orientamento vòlto, più che a migliorare o ad aumentare gli ambiti della presenza statale, a restringerla, a favore delle libertà individuali e dell’ordine di libero mercato. Riteniamo, infatti, che la soluzione di tutte le varie problematiche che affliggono lo sviluppo e il progresso del nostro Paese non sia un ennesimo accrescimento della presenza pubblica (nel volume mai messa in discussione, ma anzi ritenuta, insieme alle analisi degli economisti, come la panacea cui sempre rivolgersi), quanto piuttosto un rivolgimento copernicano dell’intera questione che affidi alle forze spontaneamente emergenti di un’economia di libero mercato, e quindi con un arretramento della mano statale e politica, la chiave per il riscatto del nostro Mezzogiorno.