Le radici liberali dell’emancipazione femminile

Lunedì 7 marzo abbiamo presentato, nell’ambito dei classici del pensiero liberale e libertario, il libro di Mary Wollstonecraft “Sui diritti delle donne”. Erano con noi Roberta Adelaide Modugno, professore di Storia delle Dottrine politiche presso l’Università di Roma Tre, Giandomenica Becchio, professore di Storia del pensiero economico presso l’Università di Torino e Marzia Coppola, avvocato.

Non è sempre noto a tutti che i movimenti di emancipazione femminile, le battaglie per la parità dei diritti, gli scontri per ottenere l’uguaglianza di fronte alla legge da parte delle donne, i grandi dibattiti sul lavoro, il suffragio, la rappresentanza, hanno le loro radici nelle elaborazioni teoriche, nelle sensibilità coraggiose e nella testimonianza vissuta di molte donne che sostenevano idee liberali. Una di queste, non l’unica, ma sicuramente fra le prime, fu Mary Wollstonecraft, che visse nella seconda parte del XVIII secolo e che condusse un’esistenza fuori dai canoni cui erano relegate le donne sue contemporanee. Non ci dilungheremo sulle sue vicende esistenziali, non tanto in quanto esse non possano fornire eccezionali spunti di interesse, quanto per concentrarci più sulla sua dimensione intellettuale, che presenta motivi per compiere una serie di riflessioni. Il libro presentato, “Sui diritti delle donne”, venne pubblicato nel 1792 e si configura sia come un potente atto di accusa nei confronti del sistema sociale e politico, discriminatorio e penalizzante nei confronti dell’universo femminile, sia come una rivendicazione della dignità di un sesso che non risponde alle convenzionalita’, che non è solo “gentile” o “remissivo” o “debole”, ma che, invece, ha in sé forza ed intelligenza necessari allo sviluppo umano.

Può sembrare inconsulto, oggi, ricordare lo stato di degradazione fisica, psicologica, morale, politica e sociale cui dovevano soggiacere le donne. Se oggi tutto questo può sembrare una dimensione impossibile ed inaccettabile, lo dobbiamo anche allo sforzo di donne come Mary Wollstonecraft, che si impegnarono strenuamente per sollevare, al posto che spetta loro, la dignità e soprattutto i diritti naturali delle donne. E se oggi la via di un’autentica parità può dirsi intrapresa, lo dobbiamo ai prodigi, in taluni casi perfino ai sacrifici di donne straordinarie come questa indomita londinese. Essa seppe misurarsi anche polemicamente con grandi ingegni suoi contemporanei e non mancò di alzare i suoi strali verso Edmund Burke, ma soprattutto Jean Jacques Rousseau. Se verso il conservatore irlandese oppose il suo intransigente repubblicanesimo, verso il pensatore ginevrino articolò una critica molto complessa, che investe l’antropologia e soprattutto la pedagogia rousseauviana. Definire la donna ed il suo ruolo come subalterni all’uomo, porla in una posizione pressoché ancillare in virtù di gravi pregiudizi e di un incoercibile maschilismo, furono aspetti puntualmente colpiti dalle argomentazioni della Wollstonecraft. Merita particolare considerazione il rilievo, da lei insistentemente posto in luce, relativo all’aspetto pedagogico, all’educazione conferita fin dalla più tenera età, dove i ruoli ed i disallineamenti nei diritti vengono posti ed inculcati come originari e non più emendabili.

La stessa società, in seguito, relega le donne ad una dimensione di fatuità, dove ad essere centrali sono solo l’esteriorità e l’aspetto fisico, il tutto puramente in una funzione che potremmo definire prettamente funzionale ai desideri maschili. Le considerazioni presenti nel libro, talora espresse con una franchezza sferzante, mantengono intatte, in alcuni punti, la loro opportunità anche in un’epoca come la nostra. E ciò sembra valere sia per gli uomini che per le donne.

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