Lo sguardo dello scienziato politico Miglio sulla realtà del secondo dopoguerra

Lunedì primo luglio abbiamo presentato, in occasione delle serate dedicate ai classici del pensiero liberale e libertario, “La lezione del realismo”, di Gianfranco Miglio. Erano con noi Damiano Palano, professore di Filosofia politica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Luigi Marco Bassani, professore di Storia del pensiero politico all’Università Telematica Pegaso e Carlo Marsonet, assegnista di ricerca presso l’Università di Torino. Siamo di fronte ad uno scritto che raduna interventi di Miglio dall’immediato secondo dopoguerra al 2000, ossia poco prima di morire, interventi che spaziano dalla politica internazionale alle complesse vicende che hanno contribuito alla creazione dell’Unione Europea fino al ruolo della storia e dei fatti che hanno avuto una rilevanza in un lasso di tempo tanto multiforme quanto significativo : l’Italia e l’Europa che escono dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale, che si posizionano nelle prime fasi della ricostruzione con il fondale spettrale del sorgere di una nuova contrapposizione in blocchi, la Guerra Fredda che dividerà il mondo fino al crollo del comunismo. E se questo crollo ha avviato inevitabilmente una nuova stagione a livello internazionale, generando scenari di speranza e di libertà, ciò non di meno la lucida analisi dell’Autore, che guarda con lo sguardo attento dello scienziato politico la realtà che gli si para dinnanzi, non manca di rilevare più le occasioni perse che le opportunità acquisite. Questa “lezione di realismo”, poco incline a concedere facili entusiasmi o, per meglio dire, attenta a mantenere una predisposizione scientifica e a non lasciare il più possibile che la propria facoltà analitica sia pregiudicata dal velame dei condizionamenti, si orienta indifferentemente sia sul contesto del Vecchio Continente che, particolarmente, su quell’Italia che, dopo il boom economico, non si dimostra capace di affrontare la giusta stagione delle riforme ed una rinnovata età di etica civile. È indicativo, in questo senso, come il nostro Paese, una nazione plurima, di per sé portata come poche altre ad una soluzione costituzionale di tipo federale per ragioni storiche, ideali e di costume, un Paese che avrebbe dovuto abbracciare Carlo Cattaneo e il suo federalismo, di fatto abbia consacrato il proprio Risorgimento al mito dell’unificazione, prima, e poi dell’accentramento burocratico, della statalizzazione, del nazionalismo. Le motivazioni sono state sviscerate con completezza e con notevole capacità critica anche nella lunga carriera politologica del professor Miglio, che ha messo a servizio della cultura la sua vasta erudizione, in grado di spaziare attraverso una miriade di autori per lo più sconosciuti alle nostre latitudini. In alcuni casi, poi, ne ha fornito le prime edizioni critiche, sdoganando per settori di spesso angusti interessi le riflessioni di Max Weber o di Carl Schmitt, per citarne solo un paio.

Leggere questi interventi, quindi, non è solo una tonificante immersione nelle considerazioni di un filosofo della politica e analista del diritto di grande vaglia. diametralmente opposto da quell’immagine caricaturale fornita dai media al tempo della sua discesa nell’agone politico, ma è anche capire, per via indiretta, come le ingenerose e spesso interessate stereotipizzazioni del suo pensiero non corrispondano affatto al valore ed  alla qualità effettiva dei suoi contributi. Miglio non indulge, non si mostra accondiscendente o suadente, non strizza l’occhio alle sirene della cultura italica, ma mantiene un rigore, una disciplina, un atteggiamento fermo e misurato in linea con i migliori, e rari, esempi di intellettuali anche dei suoi tempi. In questi scritti, allora, si troveranno molti spunti ed un esempio metodologico rigoroso. Si troveranno le riflessioni interessantissime intorno al campo precipuo del diritto, che deve incentrarsi e deve essere a sua volta incentrato sul contratto e sullo scambio, quindi su una dimensione privatistica piuttosto che su impostazioni tipiche del positivismo giuridico, che consentono l’infiltrazione, quando non il condizionamento, della sfera politica, legislativa, in una parola “pubblica”. Allo stessa stregua, ed improntate alla medesima dirittura etica, si troveranno le censure e le critiche operate verso l’ideologia, mediante una condanna di utopismo che risulta tanto più grave quanto formulata da uno studioso tanto serio e “realista”, appunto, come Gianfranco Miglio. E a completamento di questo ideale percorso che potremmo definire “uno sguardo disincantato sul mondo”, le riflessioni di Miglio sul vero status della politica : il tentativo di accaparrarsi seguiti potenziali mediante, ancora, la creazione di ideologie generaliste e vacue. Siamo, come si vede, lontani dai voli ideali, e vacui, di altri suoi colleghi, distanti dalle interessate elucubrazioni teoriche slegate dalla realtà tipiche di molti suoi contemporanei; siamo, piuttosto, in una zona confortante, dove ciò che si para alla vista viene chiamato con il suo nome e dove il rispetto verso le cose è una forma del rispetto che si ha verso se stessi e verso il proprio lavoro. Un grande scrittore inglese del XVIII secolo, amico di Adam Smith, Samuel Johnson, scrisse che “il patriottismo non è l’ultimo rifugio delle canaglie, bensì degli imbecilli”. Abbiamo la sensazione che Gianfranco Miglio avrebbe sottoscritto il senso di questa citazione, tanto quanto siamo certi ne avrebbe ampliato lo spettro all’ideologismo di tutti i partiti e di molti colleghi.1

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