Stati Uniti e Francia: le differenze fra le loro Rivoluzioni

Lunedì 4 luglio abbiamo presentato, in occasione della rassegna dedicata ai classici del pensiero liberale e libertario, il libro di Friedrich von Gentz “L’origine e i princìpi della Rivoluzione Americana a confronto con l’origine e i princìpi della Rivoluzione Francese”.

Erano con noi Luigi Marco Bassani, professore di Storia delle Dottrine politiche presso l’Università degli Studi di Milano, Paolo Luca Bernardini, professore di Storia Moderna presso l’Università degli Studi dell’Insubria e Dario Caroniti, professore di Storia delle Dottrine politiche presso l’Università di Messina. Si tratta del primo studio comparativo intorno a questi due eventi epocali, veri e propri snodi della contemporaneità; uno studio dalla lucidità e dalla capacità di analisi davvero rilevante, che ha avuto un peso rilevante nella storia intellettuale.  Esso inaugura tutta una serie di lavori che mettono tra loro vicini fatti, cause ed esiti che portarono gli Stati Uniti all’indipendenza dalla madrepatria inglese con quel complesso di fattori, contesti ed accadimenti che stravolsero la Francia e l’Europa nell’ultimo trentennio del XVIII secolo.

Sia fin da subito precisato: il primo saggio che si occupa di raffrontare le due cosiddette Rivoluzioni, separate da un Oceano e da un quadro politico, giuridico e filosofico toto coelo differente, ossia questo scritto di Friedrich von Gentz, al tempo giovane esponente dell’aristocrazia prussiani impegnata nello sforzo riformatore e scritto e dato alle stampe proprio nel 1800, è un contributo contro corrente rispetto a molta parte della letteratura successiva sulla materia. Mentre, infatti, dopo Gentz non mancarono coloro che vollero vedere sia molte più somiglianze che non differenze nei due eventi sia il carattere di anticipazione dell’una (quella Americana, iniziata prima e già ampiamente conclusasi al momento in cui von Gentz faceva uscire il saggio) rispetto all’altra (quella Francese, ancora in opere all’inizio del XIX secolo e oltre), le tesi contenute in quest’opera si configurano proprio per essere diametralmente opposte sia ad una sostanziale convergenza sia ad una relazione di interdipendenza o di subalternità.

Questo scritto è debitore principalmente delle idee contenute ne le  “Riflessioni sulla Rivoluzione Francese” di Edmund Burke, del 1793, il primo (a sua volta) grande scritto all’origine del pensiero conservatore come sostanziale identificazione con la critica alla Rivoluzione d’Oltralpe. È con questa lettura, principalmente (ma anche con altre, visto l’ottimo livello di erudizione e stile raggiunto dall’aristocratico prussiano), che von Gentz si pone per interpretare i due accadimenti, così complessi e stratificati, e per rilevare le sostanziali differenze più che le occasionali, e rare, somiglianze. Il lavoro di von Gentz ha rappresentato innanzitutto una originale lettura della Rivoluzione Americana come movimento di difesa ed inevitabile autoprotezione rispetto agli atti compiuti dal governo inglese e dalla Corona contro le loro stesse colonie. Atti che si sono configurati esattamente come un sovvertimento delle consuetudini, del diritto, delle norme e dei diritti cui tanto gli inglesi tenevano al punto da farsene espressione prototipica nei caratteri della Gloriosa Rivoluzione del 1689. Proprio gli atti perpetrati ai danni e contro i sudditi britannici posti negli Stati Uniti rappresentano la più palmare ed evidente ingiustizia di cui i governanti ed il Parlamento di Londra si resero responsabili durante le varie fasi dello scontro e, ancor di più,  sono una palese violazione di quello che era lo spirito britannico e le loro stesse relazioni con i connazionali d’Oltreoceano.

Questo aspetto ha indotto ad interpretare la rivoluzione americana come una difesa, da parte dei coloni, delle più autentiche e tradizionali libertà costituzionali, come la ripresa, insomma, in una terra che voleva obbedire fino all’ultimo sopruso all’autorità della Corona, del vessillo della Rivoluzione incrementa della fine del XVII secolo e dei suoi grandi valori. Al contempo, il testo è altrettanto originale e stimolante nel fornire una lettura della Rivoluzione Francese come di un fenomeno aggrovigliato, distruttivo, offensivo, violento, privo di linee guida che non fossero vaghe, indeterminate, inconsistenti, utopistiche.

La storia stessa delle rispettive origini, delle cause scatenanti, delle motivazioni di fondo, degli obiettivi e delle profonde identità ideali da una parte, ideologiche dall’altra, mostra, ad avviso dell’Autore sia la grandezza e l’auspicabilità dell’esito confederale della grande democrazia repubblicana americana sia le molte criticità ed i pericoli insiti in un esperimento sociale e politico dai risultati aberranti, inumani e sterminatori. La storiografia successiva agli eventi ha premiato, donandole quasi l’aura di una dogmatica sacralità laica, la Rivoluzione Francese, assurgendola a icona indiscutibile di un mondo e di un uomo nuovi, i cittadini dello stato pervasivo, onnicomprensivo, egualitario.

La Rivoluzione Americana è rimasta sullo sfondo, mal compresa, spesso vilipesa ed in ogni caso mai messa nelle condizioni di presentare il suo volto di alternativa ad uno status quo sempre più fallimentare. È significativo che non si rifletta mai, nel panorama politico ed intellettuale, al fatto che esiste la possibilità di uscire dai pantani e dalle secche del nostro sistema: dando una possibilità, per esempio, a quegli esempi che tanto bene hanno operato negli Stati Uniti, ma che hanno dato anche una formidabile prova di sé in un paese tanto vicino quanto dimenticato come la Confederazione Elvetica.

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