I liberisti italiani e il tramonto dello Stato liberale

L’opera di Tedesco “La proposta antiprotezionista. I liberisti in Italia dalla crisi di fine Ottocento al fascismo” è una dettagliata e fondamentale inchiesta storica; straordinariamente chiara sugli effetti nefasti prodotti delle scelte dirigiste e protezioniste sia nel breve che nel lungo periodo. Anzi, nel lungo periodo tali effetti diventano tragici.

In questo volume si riconosce l’attenzione e il rigore, in passato rappresentato da autori come Renzo De Felice o Rosario Romeo, nel raccontare come un gruppo di economisti e imprenditori convinti delle proprie idee e con una forte carica morale abbiano cercato di influire e suggerire una via liberale alle decisioni economiche.

È importante sottolineare la carica morale dell’agire dei liberisti radicali per togliere quella pretesa degli statalisti di tutte le epoche che di volta in volta, passando da socialismo a fascismo, da fascismo a comunismo e poi alle teorie keynesiane, hanno giustificato e nobilitato le azioni di esproprio di beni e diritti, limitando il diritto naturale di produrre ricchezza. Con la forza della ragione, vengono quindi indicate le cause del mancato progresso economico, del ritardo della crescita del sud Italia, nel sistema socialista di imposizioni dall’alto di indirizzo economico.

Le classi politiche, quelle illiberali, sono sempre state affette dalla presunzione di potersi sostituire al corso naturale del mercato e del progresso e della crescita economica.

È qui possibile traslare di un secolo gli avvenimenti portandoli dalla fine ‘800 alla fine ‘900 per avere la fotografia dell’analisi politico economica e soprattutto morale dell’Italia.

L’autore, non si limita alla storia del pensiero economico, ma racconta quel periodo storico di crisi dello stato liberale di fine ‘800 dalla caduta del Governo Crispi e inizio ‘900 fino al fascismo; dove tutte le proposte e le speranze d’influenzare un cambiamento in senso liberista si scontrano con le politiche d’intervento dello stato in tutte le attività economiche.

L’opera racconta l’evoluzione economica post-unitaria nel confronto fra la scuola di pensiero liberista e quella statalista, dove il movimento liberista radicale, o movimento antiprotezionista, è fautore di proposte,  come il tentativo di rigenerazione di un Partito Liberale che si facesse promotore di battaglie economiche volte a riformare un sistema tributario che, insieme all’applicazione dei dazi, dei monopoli e dei sussidi, aveva creato gravi distorsioni, arricchendo e impoverendo le imprese a seconda di chi fosse beneficiato dall’interventismo statale.

Questo progetto realmente riformista, sebbene apparentemente accolto sotto alcuni aspetti nel periodo giolittiano, non troverà l’attenzione e l’attuazione delle proposte di riforma essendo in contrasto con gli interessi dei gruppi di potere politico ed economico arricchitisi grazie alle politiche protezionistiche.

Gli autori di questa proposta, i liberisti radicali, nel quale sono presenti gli intellettuali che ambiscono a coinvolgere il ceto medio secondo l’esperienza inglese in contrapposizione a quella tedesca, sono gli unici a comprendere che la reale situazione di contrapposizione sociale e scarsa ricchezza, sperequazione si era creata con il continuo intervento statale per indirizzare o peggio favorire la creazione di settori produttivi prima inesistenti a scapito dei settori esistenti e produttivi. Oltre che, con un sistema tributario ed una tassazione che espropriava risorse e capitale per realizzare opere statali di dubbia utilità.

La soluzione è stata proporre una riforma antiprotezionista e una riforma tributaria inserite in un vasto progetto di democratizzazione delle istituzioni.

Il riferimento culturale è la Gran Bretagna, che è vista e considerata la società produttiva e antiautoritaria per eccellenza, con la guida esemplata dal filosofo Herbert Spencer e la sua contrapposizione delle visioni di società militare, autoritaria, in sintesi bismarckiana, come appunto quella germanica e quella della Gran Bretagna sperimentata nel commonwealth, votata alla libertà d’impresa, al libero commercio come motore della produttività.

Il lavoro svolto, la storia dei liberisti radicali, gli studi e le pubblicazioni dei liberisti radicali, sebbene apparentemente sembrino finire con l’avvento del fascismo inteso anche come vittoria dello statalismo che purtroppo non è affatto esclusivo del fascismo, lasciano un immenso patrimonio culturale, che rappresenta l’unica strada per una vera riforma liberale dello stato che abbia veramente l’obiettivo di democratizzare, liberare e rendere disponibili a tutti le risorse economiche.

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