Il mercato come processo dinamico

Lunedì 3 aprile, in occasione delle serate dedicate ai classici del pensiero liberale e libertario, abbiamo presentato “Concorrenza e imprenditorialità” di Israel M. Kirzner.

Erano con noi Lorenzo Infantino, professore di Filosofia delle scienze sociali presso la LUISS Guido Carli di Roma, Giandomenica Becchio, professore di Storia del pensiero economico presso l’Università degli Studi di Torino e Adriano Gianturco Gulisano, professore di Relazioni internazionali presso l’Università IBMEC di Belo Horizonte. La figura e l’opera di Israel Kirzner, esponente della derivazione “americana” della Scuola Austriaca di economia e scienze sociali, quel ramo, in particolare, che ha promanato dal fecondo insegnamento di Ludwig von Mises, sono stati e continuano ad essere un riferimento per tutta una serie di riflessioni, in particolare per quelle che si concentrano sull’impresa e la figura dell’imprenditore, oltre che sui meccanismi del mercato.

L’Autore, sicuramente non noto al grande pubblico e tuttora vivente, ha ricevuto l’onore di essere ammesso nel novero ristretto dei nomi che potevano aspirare al Nobel per l’economia, ma Kirzner, nonostante i suoi indubbi meriti, non ha mai ricevuto il premio. E sebbene questa sia stata la sua prima opera pubblicata in Italia, nell’ormai lontano 1997, il nome e le teorie di Kirzner sono note da tempo anche nel nostro Paese, generando interesse e reazioni che, anche quando opposte nelle conclusioni e nei punti di partenza, riconoscono tutte il prestigio e la serietà dello studioso.

In quest’opera, lo studioso statunitense anche se londinese di nascita si concentra sugli aspetti microeconomici e questo lo porta, sul solco del suo principale maestro Ludwig von Mises, ad avere un punto di vista estremamente critico nei confronti della teoria dominante riguardo il sistema dei prezzi, vale a dire l’analisi dell’equilibrio.

Secondo questa impostazione, fatta propria dalla maggior parte degli studiosi e delle scuole e, nelle sue coordinate più importanti, nemmeno discussa o posta a tema, il mercato assume le sue caratteristiche ideali o più consone all’utilità o, ancora, più efficienti, se assume una forma per così dire ipostatizzata, una ideale configurazione di equilibrio fra i diversi, complessi fattori che compongono il mercato stesso.

Una sorta di “via mediana” tra le diverse componenti di cui è costituito il mercato stesso, nei suoi dati, nelle sue azioni, nei suoi attori e nelle sue risultanze. Ora, fin dall’esposizione di questa teoria tanto fortunata quanto paradossale, si può percepire quanto essa sia più vicina ad un’ipotesi, ad una costruzione mentale, ad un istogramma che non, piuttosto, come ci si aspetterebbe, ad una descrizione effettiva o quanto meno il più fedele possibile della realtà.

La teoria dell’equilibrio è una lettura strumentale della realtà, orientata a molti fini, ma certo si tratta più di una forzatura che della visione di ciò che abbiamo quotidianamente tutti sotto gli occhi. Kirzner sostituisce a questa teoria dell’equilibrio, elegante, ma forzata, una visione del mercato in quanto processo. Vale a dire, una interpretazione più affine e più calzante al mondo delle cose, delle relazioni fra uomini, della vita.

Non siamo più in una prospettiva funzionale, vòlta a “far tornare i conti” e a mettere a posto teorici e decisori politici. Siamo sbalzati in un orizzonte vivo, palpitante, reale. Siamo, cioè, all’interno di una delle grandi intuizioni della Scuola Austriaca di economia che, in questo caso, diventa capace di estendere ai campi delle scienze umane in genere le proprie riflessioni. Parlare del mercato in questi termini e trattarlo secondo questa prospettiva significa, fra le altre cose, valutare nella sua giusta importanza sia il ruolo dell’impresa che, soprattutto, il ruolo dell’imprenditore all’interno di quel grande ecosistema chiamato “mercato”. Un ecosistema ricchissimo e difficilmente ingabbiabile in schemi, ma di cui si possono intuire tendenze e linee dalla osservazione delle sue molte componenti.

La pretesa, infatti, di esaurirne dall’alto la comprensione e tracciarne lo sviluppo è destinata, oltre che a rivelarsi fallace, anche a mostrare un’essenziale presunzione, ben posta in luce da un altro dei maestri di Kirzner, Friedrich August von Hayek. Se il mercato, quindi, è meglio definito attraverso un’opzione interpretativa che lo relazioni ad un processo, ad una dinamica in cui sono inseriti molteplici fattori che in ogni istante si stratificano, esso acquista una valenza molto meno adeguata ai piani e molto più rispondente all’oggettiva complessità del vissuto, con la comprensione (intesa come immissione) di dimensioni che nella tradizionale visione non trovano spazio.

In questo senso, come si accennava, va vista una definizione finalmente esaustiva della centralità dell’impresa e del ruolo dell’imprenditore come attori ineludibili dell’analisi economica. inevitabilmente, accanto a questa descrizione di impresa ed imprenditore con tratti finalmente prù rispondenti alla concretezza delle situazioni, troviamo l’auspicio che venga finalmente implementata e resa davvero operante una libera concorrenza di mercato, quanto più lontana, nelle sue dinamiche strettamente operative e pertinenti, dall’influenza deleteria delle istituzioni pubbliche. La storia del pensiero economico, nelle sue implicanze fattuali e metodologiche, ha posto la figura dell’imprenditore, dell’impresa e della concorrenza come oggetti, a vario titolo, di riflessione.

Parallelamente, e simmetricamente, il ruolo delle istituzioni, dello stato, del monopolio e delle politiche economiche è finito spesso sotto la lente di ingrandimento, ma Kirzner ci sa fornire una ricostruzione lineare, chiara, intellegibile. L’auspicio è che il suo non resti un nome per specialisti, ma una lettura quanto più possibile allargata.

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