Quelli che si opposero al fascismo

Si è tenuta il ventiquattro aprile scorso la duecento diciottesima serata di Lodi Liberale con la presentazione del libro ”Il Dissenso al Fascismo. Gli Italiani che si ribellarono a Mussolini (1925-1943)” di Mario Avagliano e Marco Palmieri, alla presenza dello stesso Marco Avagliano, storico e giornalista, di Giuseppe Parlato, Professore di Storia Contemporanea alla Università Internazionale di Roma e di Andrea Giuseppe Cerra, Dottore di ricerca in Scienze Politiche all’Università di Catania
Il testo di Avagliano e Palmieri affronta forse per la prima volta in maniera organica, e ricorrendo ad un amplissimo spettro di fonti, il tema del dissenso al fascismo, laddove sono stati lo studio della costruzione del consenso e del consolidamento del regime ad aver ricevuto nel passato più ampia attenzione e letteratura.

Tra i pregi di questo prezioso e approfondito studio, oltre allo spostamento del focus sul dissenso vi sono la completezza e la linearità cronologica, che consentono di apprezzare e comprendere l’evoluzione delle forme, delle caratteristiche e dei protagonisti del dissenso al fascismo manifestatisi a partire da quell’importantissimo punto di svolta rappresentato dall’omicidio Matteotti, dalla successiva rivendicazione politica di Mussolini e dalle conseguenti “leggi fascistissime” del 1925.

Quindi, l’analisi degli avvenimenti degli anni ‘20 e, di seguito, l’ostilità verso il progressivo avvicinamento alla Germania Nazista, alle iniziative belliche degli anni ’30, fino ad arrivare all’esplosione della critica, che indebolisce il “fronte interno” dopo le prime sconfitte nella seconda guerra mondiale e che porterà il Sovrano a procedere all’arresto di Mussolini ed alle conseguenti drammatiche vicende della guerra civile.
Il concetto di “dissenso”, come affrontato dal libro e come sottolineato da Giuseppe Parlato nel corso della serata ricopre uno spazio politico e sociale molto più ampio di quello coperto dall’ ”antifascismo” in senso stretto.

Vi sono infatti incluse non solo le azioni espresse sia nelle sedi istituzionali che nella società dai protagonisti della politica, ma tutte le forme collettive ed individuali di resistenza anche passiva, di opposizione alle politiche del regime volte a modificare usi, costumi, abitudini di singoli cittadini e famiglie, e tese ad incidere sulla loro vita, e sullo svolgimento delle attività quotidiane, dallo studio al lavoro, dalla vita civile a quella militare, attraverso la propaganda, il controllo poliziesco, la repressione.

Ecco quindi che viene analizzata, nei primi capitoli, la variegata composizione del campo delle forze politiche che già si sono opposte al fascismo dopo l’emanazione delle leggi “fascistissime”. Vengono senz’altro ricordati i grandi protagonisti storici e la loro azione di opposizione al regime. Scorrono gli storici leaders socialisti costretti alla fuga all’estero per evitare il carcere: Nenni, Saragat, Turati, Pertini.

I leader del Partito Comunista d’Italia Gramsci e Terracini costretti invece al carcere mentre Togliatti si rifugerà a Mosca. Don Luigi Sturzo per i Popolari, verso il quale il Vaticano stesso, proiettato verso il Concordato, (come ben descritto nel capitolo V) esige che “cessi qualsiasi forma di collaborazione con il Popolo (giornale del Ppi n.d.r.), esca dal Partito Popolare e si allontani da Roma”.

Ecco il campo dei liberaldemocratici con Gaetano Salvemini minacciato durante le sue lezioni all’Università di Firenze, Giovanni Amendola aggredito dagli squadristi e che morirà in Francia, così come succederà a Piero Gobetti. Ecco nel campo dei Liberali la fondamentale presa di posizione di Benedetto Croce che su sollecitazione di Amendola, firmerà e promuoverà il “Manifesto degli intellettuali antifascisti” e proseguirà nella stesura della sua “Storia d’Italia”, mai digerita dal regime. Ecco Luigi Einaudi che firmerà il Manifesto insieme a Croce e si dimetterà dal “Corriere”, dopo l’allontanamento di Luigi Albertini.


Ma è forse nel dissenso che si manifesta nelle attività professionali o minute della vita civile che troviamo l’originalità dello studio di Avagliano e Palmieri. Molto significativa è l’analisi delle risposte date dell’élite intellettuale alle azioni del regime dirette del controllo della cultura attraverso l‘Università’ e la Scuola. In tal senso, molti intellettuali italiani esprimeranno, sì, la loro contrarietà alla propaganda e all’indottrinamento del regime, ma lo faranno spesso con azioni individuali e non coordinate, elaborando ciascuno una risposta diversa e personale.

Così sarà ad esempio, il caso della risposta, nel 1931, alla richiesta di Giuramento di Fedeltà imposta dal regime ai professori universitari. Pochissimi saranno coloro che non lo firmeranno, ovvero 12 in tutto il Paese, mentre nella maggior parte dei casi i docenti avvertiranno la necessità di “non correre il rischio di dover lasciare l’Università ai soli docenti fascisti”, con ciò però favorendo la propaganda di regime che avrà gioco facile nel sostenere che “gli avversari non esistono più” e che ”l’intellettuale sbandato…sparisce dalle nostre Università”, mentre ancora nel 1934 gli studenti del Guf di Torino esortano Mussolini a liberarli “dalle inguaribili pecore rognose del vecchio antifascismo che ancora permangono all’Università”.


Il dissenso proveniente dalle base popolare e dalle famiglie come descritto nel capitolo VI si manifesta invece sull’onda delle gravi difficoltà economiche generate dalla crisi del 1929. Avagliano e Palmieri documentano come a partire dall’anno della grande crisi americana e negli anni immediatamente successivi il malcontento ed il dissenso si manifestano con strumenti diversi e di impatto crescente: mancate adesioni o partecipazioni silenti alle manifestazioni di regime, talune anche in corrispondenza di visite del Duce, (Officine di Sesto San Giovanni, Maggio 1930), occasioni queste, nelle quali era consuetudine assistere a manifestazioni di entusiastico consenso. Eventi che invece precedono le visite del Duce attraverso la circolazione di manifesti “sovversivi”.

Quindi ancora manifestazioni e disordini provocate da folle di disoccupati come a Torino, nel novembre 1930. Nel crescendo di malcontento si passa quindi da sospensioni brevi e temporanee dal lavoro (Veneto, maestranze tessili 1930), a scioperi organizzati (giugno 1931, Mondine e mietitrici a nel Vercellese, Novarese., Bolognese). Questa fase comunque ci racconta di un malcontento diffuso, di un dissenso crescete, ma anche di una opposizione ancora divisa e non organizzata. Interessanti le fonti cui attingono gli autori quando si tratta di documentare le azioni e espressioni della base popolare: note prefettizie, verbali della polizia politica, comunicazioni interne di funzionari del PNF, note ministeriali.
E’ poi proprio da queste stesse peculiari fonti che vengono ricavati i documenti che attestano la presenza di forme di dissenso popolare, polverizzate e diffuse e certamente di più difficile controllo da parte del regime (“Una crepa difficile da contenere rispetto alle ambizioni di controllo totalitario…”) quali, barzellette, filastrocche, scritte sui muri, sui vespasiani e nei più diversi luoghi pubblici, volantini, insulti, parodie, storpiature di parole ed acronimi.

Tra queste, particolarmente significativa in merito al consenso ricevuto dal regime la storpiatura di P.N.F che da “Partito Nazionale Fascista” diviene “Per Necessita Familiare”. Ricche sono qui le testimonianze che evidenziano come ad utilizzare queste forme di dissenso siano appartenenti a tutte le classi sociali: operai, lavoratori in genere, commercianti, piccola borghesia, professionisti.


Il testo di Avigliano registra quindi il recupero nei consensi da parte del regime che si realizza con la guerra in Etiopia e la costituzione dell’Impero. Presto tuttavia i mancati benefici o le mancate ricadute positive dell’impresa etiope per la popolazione si manifestano e la progressiva caduta dei consensi prosegue. La popolazione che dopo la vittoria di Adis Abeba “si riversa in strada a festeggiare” sperimenta poi “il divario tra realtà e propaganda”. La guerra in Spagna inoltre, pur in proporzioni diverse (44.000 militari circa a sostegno di Franco e 5.000 volontari circa nelle Brigate Internazionali) vedrà gli Italiani presenti nelle penisola iberica su fronti contrapposti.

La circostanza creerà difficoltà nell’azione dei militari inviati da Mussolini quando non determinerà documentati casi i di abbandono della divisa. Altre testimonianze riportate riguardano inoltre la significativa ripresa, con la guerra di Spagna, della opposizione antifascista realizzata in particolare attraverso l’utilizzo del mezzo radiofonico.


Le leggi razziali del 1938, assieme agli italiani che manifestarono solidarietà alla popolazione ebraica, videro però un generale clima di indifferenza e pochi casi di protesta o opposizione. Questi ultimi risulteranno “del tutto minoritari, isolati e raramente degni di nota” (Cap X), esercitati per lo più da singole personalità che per la loro posizione ed il prestigio riuscirono ed ergersi quali espliciti oppositori delle politiche razziste del regime. E, come riportano Avagliano e Palmieri, Benedetto Croce sarà sprezzantemente definito per le sue posizioni “giudeo onorario”. Raffaele Mattioli, Amministratore Delegato della Comit, riuscirà a proteggere, inviandoli all’estero, dirigenti e quadri della banca colpiti dalle eleggi antisemite. Il Cardinale di Milano Idelfonso Shuster, che pur a suo tempo benedì le partenze per l’impresa d’Etiopia ora denuncia che la politica razziale “indietreggia di due millenni” la storia del mondo.

Non mancano però gli autori, di segnalare come “la classe degli intellettuali che ha fortemente appoggiato la campagna razzista, con uno sconfortante elenco di adesioni alla politiche del regime che comprenderà negli anni giornalisti, scrittori, scienziati, artisti, docenti, e accademici (fra gli altri Giulio Piovene, Giorgio Bocca, Indro Montanelli, Eugenio Scalfari, Enzo Biagi, Antonio Ghirelli, Giulio Carlo Argan, Concetto Pettinato, Giovanni Spadolini, Mario Missiroli, Maria Luisa Astaldi, Aldo Capasso, Alfio Russo) fa registrare pochissimi casi di dissenso”.


Ma sono le sconfitte della seconda guerra mondiale, a partire dall’invasione della Grecia, che, dopo l’entusiasmo “suscitato dalle vittorie lampo tedesche” (cap.XI) aprono la strada della esplicita manifestazione della opposizione al regime. Numerosissime le testimonianze dei militari che rilevano impreparazione e disorganizzazione delle truppe e motivazione nel campo avversario. Quindi le dichiarazioni raccolte tra i familiari dei soldati morti al fronte, le proteste nei confronti dei razionamenti alimentari conseguenti alle contingenze belliche.

E ancora, le documentazioni dei boicottaggi delle produzioni destinate al supporto della guerra. Sorprendente la sorpresa, nel 1943, tra le file delle gerarchie fasciste con Roberto Farinacci che scrive a Mussolini “Avviene l’inverosimile…ovunque si inveisce contro il regime e si denigra non solo questo o quel gerarca ma addirittura il Duce”. Il 25 Luglio 1943 l’arresto del Duce. E dopo l’8 Settembre il dissenso diviene Resistenza.


Nell’insieme, in tutte le tappe descritte il testo di Avagliano e Palmiero ci viene offerto un quadro completo ed inedito, una prospettiva nuova, della cangiante temperatura del dissenso al fascismo, delle presenze che l’hanno caratterizzato, delle contradditorie posizioni di alcuni grandi protagonisti e alla fine, della faticosa e drammatica marcia della nazione per trovare la via d’uscita dalla dittatura.

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