Un conservatore sui generis: Barry Goldwater

Lunedì 19 ottobre l’Associazione Lodi Liberale ha presentato il libro di Barry Goldwater “Il vero conservatore”. Erano presenti Antonio Donno, già Professore Ordinario di Storia delle Relazioni Internazionali, Luigi Marco Bassani, Professore di Storia delle Dottrine Politiche presso l’Università degli Studi di Milano ed Andrea Mancia, Direttore de “L’opinione”.

Crediamo che non sia inutile ricordare i tratti salienti della figura di Barry Goldwater. Imprenditore, eroe della Seconda Guerra Mondiale dell’Aeronautica Militare Americana, di seguito Governatore a più riprese della natia Arizona, nel 1960 fece uscire questo saggio, divenuto in breve tempo il libro di riferimento del mondo conservatore e repubblicano degli Stati Uniti dell’epoca. Analizzeremo più oltre il libro. Serva, comunque, ricordare la candidatura alla Presidenza del Paese, la nomination, il suo scontro con il Presidente uscente Lyndon Johnson e la sua netta sconfitta alle elezioni presidenziali del 1964. Se Goldwater dovette incassare l’arresto della sua ascesa verso Washington, arresto che ne pregiudicherà irrimediabilmente le future chances relegandolo ad una dimensione più locale e ristretta nell’agone politico di Oltreoceano, i frutti delle sue intuizioni e delle istanze di cui si faceva antesignano, saranno raccolti e resi operativi, per molti versi, da Ronald Reagan sedici anni più tardi. Il percorso politico ed intellettuale di Barry Goldwater non può essere definito né come quello di un conservatore di retroguardia né come quello di un liberale classico all’europea o, men che meno, come un liberal americano.

La sua fu una posizione che seppe tenere insieme alcune parti dell’anima libertaria americana, un feroce antisovietismo, un deciso anticomunismo, il favore accordato alla tradizione conservatrice, l’apertura verso molti diritti civili in gestazione proprio negli anni delle proteste e delle rivolte sociali. Ma Barry Goldwater volle guardare soprattutto all’esempio e allo spirito dei Founding Fathers, ossia di quel nucleo di valori estratti dalla Costituzione, dalla Proclamazione di Indipendenza e dagli Emendamenti. Insomma, quel complesso di peculiarità che aveva reso grande l’America e che ne faceva una delle guide del mondo libero. Se l’evolversi delle posizioni di Goldwater lo rese un conservatore per molti versi atipico, d’altro canto egli seppe come pochi altri dare voce a quell’America vera e profonda che diffidava del potere centrale, che aveva dei valori sentiti, che poteva vantare, per l’appunto, una <<coscienza>> della difesa della triade proprietà-libertà-perseguimento della felicità. In questo contesto, ogni categoria sociale (e la società viene ritenuta sicuramente più importante dello Stato, soprattutto quello federale) riceve, nell’impostazione di Goldwater, un adeguato riconoscimento, perché ogni categoria ha diritto alla sua fetta di libertà, di libertà e di felicità.

Il libro parla proprio di questo, con semplicità e forza, con un linguaggio schietto e diretto. Parla dell’illiceità, da parte di ogni organismo sovraindividuale, di prelevare con la forza imposte che non siano concordate, proporzionali e corrette nella quantità. Si interroga sul meccanismo della tassazione, anticipando quella che sarà una grande tematica di ogni riflessione lontana dalla pedissequa accettazione operata dalla sinistra di tutto il mondo. Definisce i limiti del Welfare, per porre dei freni ad un meccanismo che, dal New Deal, ha posto le premesse ad un’intromissione sempre più invasiva dell’autorità pubblica nella vita dei singoli e ad una dilatazione incontrollata della spesa pubblica. Ha posto l’accento sulla questione educativa, sui programmi educativi e su una Scuola omologata, standardizzata, poco libera.

Su tutto questo, e con dovizia di dettagli, si intrattiene il libro, che è insieme un programma ed una guida per l’America di un periodo inquieto, ma che seppe trasformarsi nel presagio per la rinascita degli anni Ottanta. La versione americana constava anche di una sezione dedicata al federalismo, tanto importante nella storia degli Stati Uniti e tanto importante per il nostro Paese, sezione non presente nella versione italiana. Tuttavia, la parte più cospicua, almeno da un punto di vista dello spazio dedicato, era quella conclusiva, intitolata, significativamente, “La minaccia sovietica”.

Giova ricordare che nel 1960 si era in piena Guerra Fredda, esposti al pericolo concreto di un’ecatombe nucleare su scala planetaria e che dall’altra parte della barricata, rispetto al mondo libero, all’Occidente della democrazia e del capitalismo, c’era una superpotenza ostile, incardinata su princìpi opposti, posseduta da una smodata volontà di potenza, repressiva nei confronti di ogni dissenso e capace solo di pianificare piani di espansione. Tutto questo in un clima che, a motivo delle giuste e piene libertà di espressione tipiche del nostro mondo, poteva annoverare molti fiancheggiatori del comunismo interni all’Occidente.

La storia ha emesso il suo verdetto e sicuramente senza paradossalità un grande ammiratore di Goldwater come Ronald Reagan è stato, non a caso, il Presidente che più ha fatto per chiudere la stagione del comunismo sovietico. L’auspicio è che non ci si dimentichi mai qual era la vera natura del comunismo, un aspetto perfettamente chiaro a Barry Goldwater 

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