Inefficacia e stagnazione come cifre della seconda Repubblica : proposte per superarle

Nella serata numero duecento otto dell’associazione Lodi Liberale, è stato presentalo il libro di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro “Molte riforme per nulla”, sottotitolo “Una controstoria economica della seconda Repubblica”, alla presenza degli autori e con la partecipazione di Oscar Giannino, giornalista politico ed economico, attualmente editorialista de “il Foglio” oltre che di Alessandro De Nicola, Senior Partner dello studio legale Orrick e Presidente di “The Adam Smith Society”.


Alberto Saravalle è professore di Diritto dell’Unione Europea presso l’Università di Padova, già Consigliere giuridico del Sottosegretario di Stato per gli Affari Europei. Carlo Stagnaro e’ tra i fondatori dell’Istituto Bruno Leoni ed attualmente Direttore delle Ricerche presso lo stesso Istituto.


L’eloquente sottotitolo del libro di Saravalle e Stagnaro non solo ci indica su quale periodo storico sia concentrata l’analisi degli autori, ma ci introduce al fatto che qualcosa di peculiare e’ avvenuto solo nel nostro Paese proprio in quel periodo e che questo qualcosa ha i contenuti negativi della perdita’ di competitività del Paese stesso, della perdita di attrattività, della mancata crescita, della mancata modernizzazione: ecco il “Nulla” cui il titolo principale fa riferimento.

Un “Nulla” che si è materializzato non gia’ per carenza di attività normative da parte dei Governi che si sono succeduti, ma anzi nonostante i numerosi interventi legislativi intercorsi nel periodo, i quali si sono rivelati spesso, parziali, incoerenti, interrotti a metà strada, qualora non esplicitamente male indirizzati o dannosi: “Molte riforme per Nulla”.


Lo studio prende le mosse dalla posizione privilegiata ancorché fragile che l’Italia si era saputa conquistare durante gli anni ottanta e fino ai primissimi novanta. Era il periodo della “quarta potenza economica”, dell’Italia che seguiva gli USA, il Giappone e la Germania per Prodotto Interno Lordo. Da allora, come ci ricordano gli autori, “il PIL pro capite in termini reali è cresciuto del 57,4% negli Stati Uniti, del 40,4% nell’Eurozona e solo del 14,9% in Italia”. Situazione ancora peggiore se si analizza il più ristretto periodo che va dal 2000 al 2019 pre-pandemico: in tale periodo, il PIL pro-capite italiano “è passato da 27mila euro a…. 27mila euro” ovvero, caso unico in Europa, risulta essere del tutto stagnante.

Chiedersi come e perché tali circostanze si siano potute verificare è dunque tema di particolare attualità, perché offre risposte ad un quesito che giace nella mente, nell’esperienza, nel portafogli e nelle qualità di vita di tutti gli Italiani, i quali empiricamente sperimentano, nella scadente qualità dei servizi pubblici, nella accresciuta disoccupazione giovanile, nel declino dei salari reali, nell’incertezza del futuro, il senso ed il significato che la sola freddezza dei numeri può soltanto lasciare intuire.


Sempre nella prima parte del libro, la peculiarità dell’esperienza italiana porta gli autori a sfatare uno dei miti più ricorrenti, quello che vuole che le problematiche italiane siano il risultato di variabili esogene, ovvero di imposizioni o condizionamenti da parte di soggetti esterni, tipicamente Unione Europea, BCE, Mercati Finanziari. Da teli enti, sono in realtà promanate opportunità come dimostrano i risultati conseguiti dai Paesi soggetti agli stessi vincoli ed a alle stesse regole del gioco. Una prima opportunità’ e’ stata rappresentata dal completamento di quel “grande mercato interno che comportava l’abolizione entro il 31 dicembre 1992, di tutte le rimanenti barriere fisiche, tecniche, e fiscali” all’interno dei paesi aderenti all’Unione. L’Unione monetaria del 2001 ha quindi portato ad un abbassamento drammatico del costo del denaro, vantaggio particolarmente sensibile per gli stati ad alto indebitamento come l’Italia. Su tali basi, nell’Unione Europea, “gran parte degli stati membri approfittò del contesto favorevole per trasformarsi”.

E questo non valse solo per i “new entered” ovvero il lungo elenco dei paesi dell’est che partivano da condizioni di arretratezza e supportati da risorse comunitarie, ma valse, ad esempio per la stessa Germania individuata dalla stampa economica europea (The Economist), ancora nel 1999 come “The sick man of the Euro”.
Che cosa ha quindi impedito all’Italia di trasformarsi? Quali sono le aree critiche in cui l’Italia e’ rimasta in stato di immobilità se non di vera e propria arretratezza condizionando negativamente il proprio sviluppo? Sono queste le analisi svolte nella parte tematica del libro. Ecco dunque l’ analisi dello stato della Pubblica Amministrazione nel nostro Paese, della Giustizia Civile, della Concorrenza, delle Partecipazioni Pubbliche, della normativa e del mercato del Lavoro, delle Pensioni, della Politica Industriale, del Fisco. Ecco l’analisi delle criticità che caratterizzano queste aree, delle riforme effettuate nelle medesime, dei successi ottenuti, degli insuccessi, delle retromarce, delle decisioni errate ed in controtendenza rispetto alle direzioni assunte nel panorama internazionale.


E cosi si osserva come la Pubblica Amministrazione abbia avuto ben quattro interventi dell’era Bassanini (1997-1999) per poi passare agli interventi del Ministero Brunetta (2008) e e del Ministero Madia sotto il governo Renzi. Pur con i pregevoli intenti sono rimasti irrisolti i temi della digitalizzazione, adeguata formazione, qualifica del personale, rinnovamento generazionale. Ancora nella Giustizia ed in ispecie quella civile gli autori sottolineano come un sistema giudiziario funzionante sia “biglietto da visita di un Paese” e come in Italia dopo plurimi interventi legislativi il sistema Giustizia resti ancora affetto da eccesso di durata dei procedimenti, eccesso di litigiosità, incertezza normativa, e pessima tecnica legislativa. Le leggi sulla Concorrenza, speso introdotte su sollecitazione europea e transitate attraverso gli esempi delle “lenzuolate” di Pierluigi Bersani, si sono poi arenate prima su episodi solo simbolicamente significativi come il referendum sull’acqua del 2011 o le concessioni balneari, ma giungono poi alla retromarcia a tutto campo dei Governi Conte a partire dal 2018 e con retromarcia personale dello stesso Bersani.

Le Partecipazioni Pubbliche dopo alcuni tentativi di successo nel campo delle liberalizzazioni (Energia, Telecomunicazioni, Alta velocità) sperimentano il ritorno in grande stile dello Stato attraverso Cassa Depositi e Prestiti. Le normative sul Lavoro, nella ricerca di una flessibilità coerente con gli orientamenti internazionali (“cambiati permanentemente” come sottolineano gli autori) e’ dovuta transitare anche attraverso i drammatici eventi degli omicidi D’Antona e Biagi, e dopo l’esperienza del Jobs Act renziano (“too much of a good thing”) sopporta la totale “retromarcia politica e culturale” dei governi Conte. Non diverso l’andamento in tema di Pensioni che dopo il risanamento Fornero vede l’Italia tornare ad essere il paese con il peso della spesa pensionistica più alto d’Europa in proporzione al PIL (15,6%).

E cosi in ambito Fiscale, una delle aree in cui gli italiani maggiormente attendono precise risposte ed uno Stato meno esoso, si sono succeduti interventi, mai di natura organica, volti ad agganciare con chiarezza e semplicità l’onere fiscale alla capacita contributiva, ma interventi parziali, limitati, legati alla logica delle “detrazioni” ad hoc ed ai “bonus”, strumenti entrambi tanto soggetti alla scarsa trasparenza ed alle influenze corporative quando non esplicitamente clientelari.


E’ quindi attraverso in un ritorno ad alcune istanze indicate nella prima parte del libro che gli autori individuano gli elementi peculiari della loro risposta. In particolare, non solo le indicazioni tecniche e settoriali che pur si trovano nelle aree di intervento trattate, ma soprattutto la richiesta di leadership e di ownership che gli autori formulano alla nostra classe politica. Che finalmente quest’ultima adotti gli interventi innovatori e modernizzatori necessari non tanto e non solo perché vincoli esterni spingono in quella direzione. Ma perché essa si voglia fare garante e responsabile dell’attuazione ed esecuzione di tali interventi. Perché si assuma l’onere politico e morale di condure il Paese fuori dalla stagnazione, perché spinga le forze migliori a gettare il cuore oltre l’ostacolo e a rientrare nell’agone competitivo internazionale ove il numero di paesi che ci hanno superato appare ogni giorno più consistente.

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